lunedì 13 agosto 2018

Chi diavolo sei?

(racconto ispirato alla Sfida numero 3. Torna Ethan del brano scritto per la parola Glissare, dopo più di un anno da quel racconto. Brano scritto in auto, qualche elemento dalla realtà c'è ma manca un personaggio che si è perso, a meno di non considerarlo in senso metaforico... direi che stavolta sono arrivata al livello intermedio, l'argento)
 
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.

 
– Dobbiamo parlare di quello che è accaduto laggiù.
Sto ancora tremando, non riesco a crederci. Ethan fissa la strada, senza parlare. Troppo assorto a guidare nella nebbia.
– Per favore – aggiungo.
– Non c’è niente da dire – ringhia lui.
Lo osservo come se non lo avessi mai visto in vita mia. E in effetti, è come se fosse uno sconosciuto, per me. Nonostante gli anni che abbiamo passato assieme.
– Ethan…
Mugolo il suo nome. Solo in quel momento lui si volta a fissarmi. I suoi occhi hanno pupille allungate circondate da un’aureola dorata, come quelli di un serpente.
Trattengo il respiro e lui torna a fissare la strada.
– Non puoi dimenticare? Sarebbe tutto più facile se lo facessi, credimi.
Scuoto la testa. Mi aggrappo alla cintura di sicurezza, come se avesse potuto trattenere non solo il mio corpo, ma anche la mia confusione.
– Evangeline è… – Non riesco a finire, mi manca la voce. Vedo i capelli rossi di Ethan assumere una sfumatura più cupa. Non credo che riuscirò mai ad abituarmi a questo nuovo lui.
Ma il mio amico, o quello che ne ha preso il posto, non dice niente.
Perciò tocca a me parlare. – Che cos’era? Quella cosa, quando Evangeline è scomparsa? E poi tu hai cominciato a… oh, ti prego, dimmi qualcosa!
– Non è morta, se è questo che vuoi sapere – brontola Ethan in tono cupo.
– Ah no?
– No – ribadisce lui.
– E allora dove…?
Aggrotto la fronte, fissando il mio amico. I suoi capelli sono completamente neri, e ora anche la pelle è più scura, mentre i lineamenti del volto sembrano più marcati. No, davvero, non mi ci abituerò mai.
Non mi risponde. Tento un altro approccio.
– Che cos’hai fatto? Laggiù, quando ti sei… trasformato?
– Dovresti smetterla di fare domande e dormire. Sei esausto.
Sbuffo, rivolgendo lo sguardo alla nebbia che avvolge il mondo fuori dall’abitacolo. I fari non riescono a penetrare per più di qualche metro nell’oscurità lattiginosa.
– Intendi dire che sto cominciando a sragionare? Che mi sono inventato tutto? Dio santo, guardati, Ethan, tu sei…
Allungo le mani, i palmi in alto. Non riesco a trovare la parola.
Lui sogghigna. – Non credo che ti convenga pronunciare quel nome in mia presenza. Potrei anche incenerirti, sai? – mormora, con voce roca. Lo fisso, a bocca aperta. Forse ho trovato la parola che stavo cercando.
– Il diavolo?
Se si fosse voltato e mi avesse detto “Piacere, Lucifero” non mi sarei stupito.
– Corretto solo a metà – replica lui con amarezza. I suoi tratti si addolciscono, la carnagione si fa più rosea. I suoi capelli ora sono biondi. Quando si gira, gli occhi sono azzurri e la pupilla è normale. Il ritratto dell’innocenza.
– Mio padre lo era. Un angelo caduto.
Distolgo lo sguardo e lo rivolgo al finestrino alla mia destra, cercando di scorgere qualcosa nella nebbia. Forse non è stata una grande idea lasciare che fosse lui a guidare. Mi rattrappisco sul sedile, scorgendo un cartello con la scritta “La Tana del Diavolo” che mi sfila accanto e si allontana alle mie spalle. – Stiamo andando da lui ora, non è così?
– No – replica Ethan, senza rallentare. – Stiamo andando dall’unica persona che può aiutarci a riprenderci Evangeline. Stiamo andando da mia madre.

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