giovedì 16 agosto 2018

Questo è il posto

(racconto ispirato alla Sfida numero 3. Scritto non proprio nel luogo che ho inserito nel racconto, ma abbastanza vicino. Prima volta che ci andavo, quindi di sicuro non ho mai scritto lì. E stavolta piuma d'oro, ho messo sia i dettagli che i personaggi persi... in un modo inconsueto)
 
 
Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
 
 
Non era lì che volevo andare. Glielo dissi.
– Ok. Questo, decisamente, non è il posto a cui stavo pensando. – L'ombra grigia delle rocce che incombevano su di noi pareva rovente dopo il brevissimo lampo di gelo della dimensione di passaggio. Mi aggrappai al corrimano d'acciaio della passerella e mi sporsi a guardare in basso, nelle viscere della forra. Decine di metri più in basso scorreva un ruscello. Non l'avrei mai notato, non fosse stato per il flebile scroscio dei suoi fiotti. Mi raddrizzai e fissai la parete di roccia che avevo di fronte. Una risata nervosa mi sfuggì dalla gola. – Be', almeno non ti ho fatto finire dentro un muro di pietra.
– Impossibile – ribatté la sua voce calma.
Mi voltai. Riuscivo appena a distinguere il suo profilo: sopra di noi, un masso incastrato tra i due lati del canyon ci riparava dalla luce. – Scusa tanto, ma questa è una cosa nuova per me. Allora, dove ho sbagliato? E dove siamo finiti, esattamente?
Lui non rispose.
Infilai la mano nella tasca dei pantaloni. Almeno avevo portato il cellulare, e una delle due risposte la potevo trovare da solo.
Oppure no.
– Connessione internet assente. Perfetto.
Scossi la testa, poi usai il cellulare come una torcia per rischiarare i dintorni.
I suoi occhi neri mi fissavano. Era inquietante per quanto sapeva essere inespressivo. E giovane.
Anche se in quest'ultimo caso, la prima impressione era del tutto errata. Era ancora difficile da capire per me, ma da quanto mi aveva detto, la sua età non poteva essere calcolata con nessuna unità di misura.
– Sei stato tu a guidarci nel salto – mi disse. – Tu sai dove hai sbagliato.
– Ok. – Mi grattai la testa, poi mi guardai attorno in cerca di indizi. – È chiaro che questa non è la tua stanza a Tessonnì o come si chiama – borbottai, fissando un rivolo umido che colava giù lungo la roccia, foderata in quel punto da alghe rosse. Strusciai la mano libera sulla pietra, mi girai e avanzai lungo la passerella. C'era qualcosa di familiare nelle sporgenze e nelle volte di roccia che mi costringevano ad abbassarmi e contorcermi sulla stretta passerella. Un refolo mi giunse alle narici, portando tracce d'acqua e di verde. Corsi in avanti quando il passaggio si allargò abbastanza da consentirmi di vedere nella penombra, e mentre scendevo i gradini di metallo il ruggito di una cascata che precipitava in una conca mi assordò. Non sentivo i suoi passi lievi, ma sapevo che lui mi seguiva. La sua presenza era come un ronzio nel retro del mio cranio, anche se la sua barriera mi impediva di percepire i suoi pensieri. Per fortuna: da quando aveva spezzato la mia, era diventato difficile isolarmi.
Intorno a me, nel frattempo, la luce rischiarava le pareti, che si spalancarono in un canyon più largo, bordato da felci e noccioli che si protendevano sulla sommità in una tenda verde. Una cascata d'edera affiancava una pioggia di gocce che risplendevano al sole. – Ma questo è...
Mi voltai a guardarlo. Lui era un passo dietro di me.
– Questo è il posto – gli dissi.
Lui annuì.
Era il luogo dove ci eravamo incontrati. Facevamo entrambi parte dello stesso gruppo in una visita guidata. Due estranei che non avevano scambiato più di qualche parola. Ma lui aveva capito che eravamo uguali, e in seguito mi aveva aiutato a scoprirlo.
– Stavo pensando alla tua stanza – riflettei ad alta voce, mettendo via l'ormai inutile cellulare. – A te. A noi. È questo il collegamento, ciò che ci ha fatti finire qui? – gli chiesi allargando le braccia.
– Ci sei quasi. – Finalmente, si era deciso a darmi una mano. – Ma il ricordo di una persona non può deviare un salto. Inoltre, io ero con te.
– D'accordo, non è quello il motivo. Ma allora cosa? Avevo ben chiaro in mente la tua stanza, ne sono sicuro, so com'è fatto il letto, l'armadio, la libreria, e quel tuo vecchiume di un orologio a pendolo...
Mi interruppi, guardando oltre lui, verso lo stretto pertugio tra le pareti di pietra. Quello era il posto, e l'angolazione giusta. Schioccai le dita. – Ma certo! La foto sulla parete!
Lo vidi annuire.
Avevo immaginato la sua stanza rivolto verso quella foto incorniciata. E all'ultimo, il paesaggio della foto aveva riempito la mia coscienza, sostituendo l'immagine della sua camera.
Era così che ci eravamo persi.
Lui mi tese la mano, e indicò la lunga passerella di fronte a noi, le grate che tintinnavano a ogni nostro passo. – Ora che lo sai, ti va di riprovare?
Con un cenno d'assenso, afferrai la sua mano. – Sì. Torniamo a casa.
Incrociai le dita, augurandomi di non sbagliare di nuovo. Ricostruii nella mia mente nei minimi dettagli l'immagine di quella stanza, ma da un'altra angolazione, una che non includesse quadri o foto. Poi presi la rincorsa e feci il salto.

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