lunedì 2 marzo 2020

La soffitta


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Marta mi sorprese alle spalle, facendomi trasalire. Le bottiglie impolverate e i soprammobili di vetro che avevo nello scatolone tintinnarono quando mi salutò con un sonoro: – Ehilà Amelia! Anche tu qui?
E dire che, a scuola, nemmeno mi parlava. Come tutti gli altri, del resto.
Non mi aspettavo di trovare qualcuno di loro al mercatino dell'antiquariato della terza domenica del mese, e invece, eccola lì.
– Oh, ehm, ciao! – Mi girai a metà, cercando di proteggere con il braccio e con la spalla il contenuto dello scatolone, un'accozzaglia di vecchiume scadente, al suo sguardo.
Avrei dovuto sapere che non era possibile, e infatti lei si alzò in punta di piedi e sbirciò oltre la mia spalla.
– Sei venuta a svuotare la soffitta? – mi chiese.
La soffitta, appunto. La soffitta c'entrava, ma tutta quella roba non veniva da lì. Perché la nostra soffitta era viva, e aveva regole tutte sue.
Ma questo a lei non lo potevo dire. Avrei anche potuto lasciarle credere che ero venuta al mercatino per liberarmi di qualche cianfrusaglia, se in quel momento mia madre non fosse arrivata con una giostrina di latta in una mano e un vecchio orologio da tavolo mezzo rotto nell'altra.
– Ne ho trovati altri due! – cantilenò, nel depositarli nel mio scatolone, prima di rituffarsi tra la folla che vagava da un banchetto all'altro.
Sbirciai Marta, che mi fissava con un sopracciglio inarcato.
– Mia zia ha la passione per questa anticaglia – le spiegai in fretta. Era una scusa già collaudata, che avevo imparato a memoria anni fa. – La restaura e poi la rivende. In qualche caso fa dei regali agli amici, e ogni tanto uno o due pezzi se li tiene, almeno per un po'.
– Ah – fece Marta, poco convinta. Doveva aver notato che in mezzo al resto c'era anche una decina di riviste con le pagine macchiate dall'umidità, che puzzavano di muffa e stantio in modo soffocante.
Non certo il genere di oggetti vintage degni di una seconda occasione.
– Be', mi sa che devo andare. – Marta indietreggiò di un paio di passi, prima di girarsi con un "ciao!" e sparire via di corsa.
Sospirai. Sapevo che il giorno dopo la classe avrebbe avuto un pettegolezzo di più da diffondere sulla mia famiglia. Era comunque meglio della verità che tenevamo accuratamente nascosta.
E la verità era che eravamo lì per fare scorta di tutta la cianfrusaglia più economica che potessimo trovare, perché l'ultimo scatolone era finito da due giorni, e la soffitta aveva fame.
E quando aveva fame, non era consigliabile andare di sopra senza averla prima nutrita. Il prozio Ascanio, che era salito in soffitta cinquant'anni prima e non ne era più sceso, avrebbe potuto testimoniarlo. Se mai lo avessimo trovato.
Qualcuno avrebbe potuto argomentare che era meglio chiuderla a chiave, quella porta, e non andare in soffitta mai più, se era così pericoloso. Ma la soffitta ci serviva.
Da lì veniva tutta la magia della mia famiglia.

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