sabato 20 maggio 2017

Horror vacui

La lettera H è una delle bestie nere della lingua italiana! Gli unici termini, e sono anche molto pochi, che si possono trovare sotto questa iniziale sono o generalmente noti, e dunque non vanno bene per questa "rubrica" del sabato, o sono mutuati da lingue straniere. Ma penso di aver trovato un buon compromesso con questa. O queste. Sì, perché tecnicamente sono due, ma contano per una...

Horror vacui loc. lat.; in it. loc. sost. m. (solo sing.) Paura dello spazio vuoto, libero da oggetti, disadorno o anche, per estensione, del silenzio.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Come si può intuire dall'immagine, la mia prima idea per il brano che accompagna questa parola (o espressione) era qualcosa di fantascientifico/post-apocalittico/horror. Poi ho preferito un altro tipo di racconto, con altri protagonisti e altri problemi.


Non volevo essere invadente. Insomma, già prendevo in prestito il pianoforte del locale la mattina, quand'era chiuso e nessuno lo usava, solo per il piacere di sentire di nuovo le dita sui tasti.
Ma il giorno in cui Karin mi invitò di sopra non riuscii a pensare a un buon motivo per rifiutare.
Karin mi guidò lungo il corridoio senza parlare. O almeno, non credo stesse parlando. Sarebbe stato dannoso oltre che inutile: rischiava di svegliare la sua coinquilina. Aprì la porta in fondo a destra, mi fece entrare e la richiuse.
La chiamai, tendendo le mani. Non mi piaceva restare da solo nel buio. Incespicai in qualcosa, poi sentii il suo tocco sulla schiena e mi calmai.
Karin accese la luce.
La stanza era piccola, stretta e lunga. Sulla destra un letto singolo, accostato alla parete. In fondo, un armadio bianco con un'anta aperta. A sinistra una scrivania sotto una finestra. E ovunque, sul pavimento, sulla scrivania, sul letto, sullo scaffale lungo la parete sopra quest'ultimo erano ammassati alla rinfusa mucchi di vestiti, pupazzi, soprammobili, cianfrusaglie da turisti come conchiglie, sfere di vetro con la neve, modellini di monumenti.
Karin mi aggirò e attese che la guardassi prima di formulare con le labbra: "Scusa per il disordine. Sheila dice che non riesco a sopportare di lasciare uno spazio vuoto. Forse perché ce n'è troppo nella mia mente, che non voglio ce ne sia fuori. Lo chiama il mio horror vacui." Karin scrollò le spalle, si chinò e raccolse gli indumenti sparsi per terra.
– Horror vacui. Sì, il terrore del vuoto – mormorai. – Ti capisco. A me prende quando sono al buio.
Karin infilò i vestiti in una cesta di vimini accanto la porta, poi tornò di fronte a me. Vidi le sue labbra ricominciare a muoversi. "E dice che la musica è un altro modo di riempire quel vuoto. Di riempirmi di bei ricordi..." Le sue labbra si piegarono in una smorfia. "Scusami. Scusa, io non volevo..."
– Va tutto bene, Karin. Tranquilla.
Bei ricordi. Era tutto ciò che restava a me, della musica.

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