lunedì 4 marzo 2024

Non sono tatuaggi


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Ivan Samkov da Pexels


La stazione spaziale di Cetus Primo era stranamente silenziosa in quell'ora astrale, tanto che era possibile avvertire non solo il ronzio a bassa densità dei motori gravitazionali, ma perfino le vibrazioni trasmesse al pavimento dell'occasionale accensione di un razzo propulsore che si attivava automaticamente per correggere l'orbita secondo i calcoli stabiliti dall'Intelligenza Centrale. Il sibilo dei gas nei tubi luminosi e l'odore stantio dell'aria riciclata che circolava nei condotti mi stavano già causando un fastidioso cerchio alla testa, ma non avevo alternative.
Se volevo incontrare il Tatuato, dovevo farlo in territorio neutrale, lontano dall'autorità di qualsiasi pianeta.
Non mi sarei risolto a tanto se i miei precedenti piani non fossero falliti. Avevo mandato un sicario Nemeciano con una leggendaria mira infallibile che li aveva mancati, avevo inviato una compagnia di avvelenatrici Antociane che avevano finito con l'essere ricoverate sul pianeta Lazarus per "intossicazione irreversibile", avevo perfino scatenato loro contro il Collettivo delle Macchine che dopo un'inseguimento inconcludente attraverso il pianeta Tempesta aveva concluso che era economicamente più vantaggioso rinunciare a riscuotere il loro credito e limitare le perdite.
Dopo che quei tre piantagrane avevano fatto esplodere il Divoratore che flagellava da tempo immemore il pianeta trappola ormai conosciuto soltanto con il nome di Morte Bianca, a causa del deserto d'ossa accumulate nel tempo dal Divoratore, non mi restava altra scelta.
Il Tatuato era un mercenario maledettamente costoso, ma era il migliore sulla piazza. Su di lui circolavano poche notizie, che fosse frutto di un esperimento durante le guerre di Aldebaran, del quale ero riuscito a scoprire soltanto il nome in codice, "Buco Nero", e cosa per me più interessante, che non aveva mai mancato di portare a termine un incarico. Non c'era personalità di spicco o spia nemica che non fosse riuscito a individuare e far sparire, tanto che i mandati sulla sua testa si moltiplicavano, ma nessuno sembrava in grado di catturarlo.
Eppure, quando me lo trovai di fronte, pensai subito che non fosse difficile da riconoscere, anche in mezzo alla folla. Massiccio e glabro, la sua pelle era interamente ricoperta da una fitta tela di tatuaggi, prevalentemente volti di alieni urlanti, corpi contorti dal dolore e qua e là membra in decomposizione e qualche teschio o uno scheletro intero. Molto intimidatorio, non c'è che dire.
– Bei tatuaggi – mi complimentai con lui, non appena mi si fermò di fronte e mi squadrò. Io non ero altrettanto spettacolare, potevo passare per un essere umano anche se non lo ero, e la mia forza stava proprio lì: nell'anonimato.
Lui fece una smorfia e ribatté in tono basso e minaccioso: – Non sono tatuaggi.
– Ah sì, e cosa sono?
– Vittime – fece il Tatuato, truce.
Scrollai le spalle. – Senti, non mi importa se hai il vizio di farti dei disegnini dei tuoi trofei, a me importa soltanto che tu sia in grado di eliminare questi tre.
Trassi dalla mia valigetta un foglio olografico con le registrazioni che avevo ottenuto facendo sorvegliare la capitana in bianco, l'ex militare in divisa nera e l'Arturiano.
– Nessun problema – riferì il Tatuato, dopo aver dato un'occhiata sbrigativa alle immagini.
– Sta' attento. Non sembrano granché, ma quei tre hanno già fatto fuori la bestia della Morte Bianca, le Letali Sorelle di Antocia e... beh, all'Infallibile Nemeciano non è successo niente, a parte che ha cambiato nome e si è unito a un circo spaziale per la vergogna. Adesso fa il clown.
E sono anche l'unica voce in perdita che il Collettivo delle Macchine abbia mai registrato nell'intera storia della loro esistenza, pensai, ma quello non contava. A nessuno interessava ciò che faceva il Collettivo delle Macchine, a meno che non avesse un debito da saldare a quegli implacabili strozzini.
– Nessun problema – ripeté il Tatuato. – Tu puoi pagare?
Scoppiai a ridere. Avevo le mani in pasta in più affari di quanti tatuaggi lui avesse nel corpo.
Sbirciai nei dintorni. La plancia di scambio era deserta, a quell'ora, ma di tanto in tanto una porta scorrevole si apriva con un sibilo e un alieno ne usciva fuori, diretto alle altre sezioni della stazione spaziale. Inservienti che spingevano i carrelli levitanti, o contrabbandieri con un carichi di merce illegale nell'hangar delle loro navette, o affaristi senza scrupoli disposti a tutto pur di arricchirsi ed eliminare i propri nemici: erano tutti abbastanza intelligenti da girare al largo da me e dal Tatuato.
– Nessun problema – gli dissi, ripetendo le sue stesse parole. – Ma devo essere sicuro che sto spendendo bene i miei soldi, perché non mi stancherò mai di ripeterlo, ma quei tre impiastri sono talmente astuti, o fortunati, che il Nemeciano, le Antociane, i migliori assassini della galassia non hanno saputo...
Mentre parlavo, vidi il Tatuato digrignare i denti in una smorfia sempre più rabbiosa, finché non mi zittì sbottando: – Io non sono Nemeciano o Antociano! Io! Sono! La Fine!
Di scatto il Tatuato allungò una mano ad afferrare la testa di un piccolo Adhariano in divisa da meccanico che gli era incautamente passato accanto mentre puntava alla sezione dei condotti alle mie spalle. L'alieno strillò un verso acuto dalla bocca tubolare e agitò i tentacoli, ormai sollevati da terra, e si contorse per un paio di secondi mentre la sua testa triangolare era già scomparsa nell'enorme mano del tatuato. In un lampo, il resto del corpo azzurrognolo dell'Adhariano venne risucchiato, e un grumo si spostò sottopelle sul braccio del tatuato, dal polso fino alla spalla, lì dove i tatuaggi esistenti si scostarono per far posto a un nuovo disegno, estremamente realistico, di una testa di Adhariano con i tre occhi e le tre orecchie spalancate attorno alla bocca urlante.
– Non sono tatuaggi – constatai a quel punto, comprendendo finalmente che cosa aveva inteso dire "il Tatuato", e anche il nome in codice dell'esperimento in cui lo avevano creato, Buco Nero.
– L'ho detto, io – replicò il Tatuato, tornato alla calma dopo quella dimostrazione. Fece una smorfia, e si diede una lieve pacca sulla spalla, borbottando: – Sta' zitto!
– Sono... ancora vivi? – indagai nell'indicare i tatuaggi, una mera curiosità scientifica, perché per i miei scopi, vedere come agiva era stato sufficiente. – Tu li puoi sentire?
– Si lamentano e urlano tutto il tempo, finché non sono digeriti abbastanza – brontolò il Tatuato, accennando a un teschio sull'altro braccio. – Non ti preoccupare, nessuno scappa.
Nessuno può mai sfuggire a un buco nero. Che nome azzeccato! Mi chiedevo come mai non fosse noto in quel modo, invece che come "il Tatuato". Ma forse preferiva tenere i suoi metodi segreti, perché altrimenti i suoi bersagli avrebbero capito che per usare il suo talento doveva per forza arrivare tanto vicino da toccarli.
Quella era l'unica falla nel mio ultimo piano, ma in quel momento, non ci pensai.
– Molto bene, non ho più dubbi che tu sia la persona adatta all'incarico – gli riferii, dopo essermi preso un attimo per la connessione al sistema bancario neurale. – Ho già trasferito la cifra in crediti che hai richiesto come anticipo sul tuo conto, attendo solo di vedere i tuoi tre bei nuovi... tatuaggi... e avrai il resto. Mi scuserai se non ti stringo la mano, ma non ci tengo a farti da decorazione per il resto della mia, a quel punto breve, vita.
Pensavo fossero crediti ben spesi, e che il Tatuato sarebbe davvero stato la fine di quei tre rompiscatole.
Col senno di poi, avrei fatto meglio a risparmiarli.

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