lunedì 19 febbraio 2018

Il ponte

(racconto ispirato dall'esercizio Scene da brivido)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non ci riesco.
Sono a metà del ponte quando mi blocco. Non posso andare avanti. Non posso tornare indietro. Non posso muovere un passo in una qualsiasi direzione. I miei piedi sono pesanti come macigni, impossibili da sollevare. Sudo freddo, e ho la bocca secca.
Sento le mani stringere forte i cavi, l'acciaio che mi graffia la pelle. Tento di chiamare mia sorella ma riesco solo a balbettare mentre lei va avanti, sempre più lontana. Cammina tranquilla, senza nemmeno tenersi, e mi chiedo come diavolo faccia a non sentirlo. C'è il vuoto, sotto di noi.
Un abisso pronto a inghiottirci il cui fondo, se davvero esiste, si allontana sempre più dal ponte e da me.
Mi gira la testa, il ponte ondeggia. Quello stupido consiglio di non guardare giù non sta funzionando. Come faccio a non vederlo se è dappertutto? Lo vedo se guardo avanti, dritto di fronte a me, intorno alla schiena di Shana e sotto i suoi piedi, sotto questo fragile ponte. Lo vedo, anche se sui miei occhi cala un velo.
Dietro di me, sento una voce: – Shana! Shana, fermati. Tuo fratello lo sta facendo di nuovo.
La vedo, attraverso la nebbia e molto lontana. Mia sorella si gira, sbuffa, e replica: – Ancora? Andiamo, questa cosa sta diventando ridicola.
Shana appoggia la schiena ai cavi di destra, e l'appiglio sotto la mia mano oscilla. – Non... non farlo! – la supplico, allarmato. Stringo il cavo più forte e sento il sangue correre nelle vene, martellare contro i fili d'acciaio. Fatico a respirare, come se qualcosa mi stritolasse il petto, costringendomi a buttar fuori tutta l'aria e a non riprendere fiato.
Lontano, Shana trotta allegramente verso di me. Sembra sicura che le nuvole l'afferrerebbero, se dovesse cadere. Fissa la donna alle mie spalle.
Non la vedo, ma sento il suo fiato rovente mentre chiede a mia sorella: – Sicura?
Giro a metà la testa. – Sicura di cosa? Maedbe, che ti ha detto? – domando, e la mia voce ha un tono stridulo. So che Shana le ha bisbigliato nella testa, ma non so cosa, e il non saperlo mi preoccupa.
Shana è di fronte a me, con un ampio sorriso. – Per tutti gli Shanekth, Yorosh, è ora che tu impari! – esclama, e con quel sorriso compiaciuto, traditore, appoggia una mano sulla mia. Sento la scossa, la schiena che s'inarca, e perdo la presa sui cavi. Sto male, e loro sono troppo veloci per fermarle. Mi afferrano, mi sollevano, mi spingono al di là del cavo.
Le supplico di non farlo. Grido. Piango.
Tutto inutile.
Sarebbe più sensato chiedere all'abisso di non prendermi.
La mia pelle si lacera, squame verdi la ricoprono, e le due donne mi buttano di sotto.
L'aria mi sibila nelle orecchie e vedo la faccia preoccupata di Maedbe allontanarsi sopra di me, e Shana accanto a lei che urla: – Apri quelle dannate ali e vola, idiota!

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