lunedì 5 febbraio 2018

La damigella in pericolo

(racconto ispirato dall'esercizio Vorrei... ma non posso

Esito dei dadi:

Obiettivo:
1 Salvare qualcuno o qualcosa

Ostacolo
3 Un equivoco che porta il protagonista e/o altri fuori strada)

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


L'avevo vista in un sogno. Uno di quei sogni che si avverano.
Era là, in piedi nella sala della Stazione Centrale. Di fronte a lei una creatura abominevole, come ne avevo viste solo nei miei incubi peggiori, da bambino. Un gigante viscido e bianco, con le spalle larghe e un solo occhio, enorme e rosso, in una testa priva di bocca, naso e orecchie. Le braccia erano composte di tentacoli intrecciati, che si svolsero e si allungarono verso di lei. Sentii un grido e vidi la donna alzare le braccia davanti al volto.
Io ero in mezzo a loro. Avevo paura, e volevo aiutarla, ma non sapevo come, se non facendole scudo col mio corpo. Pessima idea, ma era l'unica che mi fosse venuta in mente.
Almeno lei avrebbe avuto il tempo di scappare, al contrario di me.
 
Ero passato spesso dalla Stazione Centrale, dalla notte in cui mi ero svegliato urlando dall'incubo. Cercavo lei, e il mostro, per quanto assurdo potesse sembrare. Ero sicuro che il sogno si sarebbe avverato, come i tanti altri che nel corso degli anni mi avevano lasciato quella sensazione dolceamara al risveglio. Non mi ero mai sbagliato, e temevo che, se non fossi stato lì in quel fatidico giorno, lei sarebbe morta.
Ero un idiota. Neanche la conoscevo, ma non volevo che le accadesse nulla di male, se potevo evitarlo. Nel frattempo avevo ideato un piano migliore, uno che non comprendesse il mio sacrificio, o almeno lo speravo.
Portavo sempre con me una pistola.
 
E un giorno, avvenne. Cominciò con le urla e la fuga disordinata della marea di gente che affollava la stazione. Vidi una ragazza cadere e venire calpestata, un uomo brancolare e sbattere contro la parete della sala, una madre che chiamava disperata i figli svaniti tra la folla. Al riparo dietro una colonna, aspettai che fossero passati; poi, con la pistola in pugno, m'incamminai nella direzione opposta.
Il mostro era più alto, più massiccio e più spaventoso di come mi era apparso nel sogno. Il suo candore mi abbagliava come la neve su cui splende il sole. Scaricai sul suo corpo molle tutti i proiettili che avevo nel caricatore. Non funzionò: non riuscii nemmeno a rallentarlo.
A quel punto sentii una voce di donna gridare.
– Sta' giù! No, non guardare l'occhio del ciclope, ti accecherà, guarda me!
Mi voltai e la vidi. La donna del mio sogno. La vidi alzare le braccia mentre mormorava in quella che mi parve una lingua straniera, e mentre bisbigliava, dalle sue mani emanò una nebbia in spirali di fumo che si incendiarono allontanandosi da lei e saettando verso la creatura.
E allora mi resi conto di aver sbagliato tutto. Io non ero lì per salvarla. Lei non ne aveva alcun bisogno.
Io ero la "damigella" in pericolo.

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