lunedì 26 giugno 2023

La forma della paura


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Foto di Nelly Aran da Pexels


La paura è una cosa viva. Cresce con i racconti, con le storie tramandate di generazione in generazione, si alimenta con l'esperienza di piccoli eventi negativi, sassolini che nel tempo diventano macigni. I bambini non hanno paura. Gli viene insegnato ad averla.
E se a volte è necessario, non sempre è l'insegnamento più saggio da dare.
Guarda questa brughiera odorosa di fiori selvatici, adagiata su terreni dalle morbide curve, onde d'arbusti e lievi declivi; ascolta i belati delle pecore al pascolo, e il mugghiare lontano delle onde salmastre contro la scogliera; senti il richiamo dello sparviere, le strida dei corvi, il canto del fringuello, e le note di uno zufolo lontano, che risuonano gaie dall'imponente torre di un castello; e sulla tua pelle, accogli il tepore di una giornata d'estate, il cielo velato di bianco da una bruma passeggera, che scivola come un lenzuolo nella brezza, lisciandosi le pieghe.
Non c'è paura in questo idilliaco angolo d'Irlanda.
La paura è tutta di una donna che fugge a perdifiato tra macchie d'erica e ginestra, capelli neri sciolti al vento e occhi scuri delle isole del sud, una donna scappata con la sua famiglia da una leggenda, solo per scoprire che nemmeno lì, nella pace della grande e lontana isola verde, può dirsi al sicuro dalla paura che si porta dentro. La insegue la bestia che le hanno insegnato a temere, nera e terribile, fiamme degli inferi nelle sue tre fauci, sei tizzoni accesi al posto degli occhi. Un mito che da sempre ha perseguitato i suoi antenati, puntuale e implacabile allo scoccare dei trent'anni.
Corre la donna, col cuore che le martella nel petto, il respiro spezzato, i sandali rotti. Corre col dolore nelle gambe, la fame nei polmoni e il terrore nella mente. Non ha bisogno di voltarsi, sente la bestia farsi più vicina, i latrati assordanti, il calore che quasi le lambisce i talloni, la puzza di zolfo del fiato demoniaco delle sue tre bocche.
Grida aiuto, chiama la donna, ma nessuno accorre, troppo lontano è il castello, pure se il vento conduce tra le sue spire note sparse di una melodia di zufolo. Troppo allegri i suoi abitanti, troppo vino nelle loro gole per accorgersi della sua assenza.
Incespica in una zolla, cade e si graffia le mani sugli arbusti spinosi a cui si aggrappa, ma lo slancio della sua corsa non può essere frenato da quei rami secchi che le si spezzano tra le dita e allora rotola giù dal pendio in un avvallamento del terreno. La veste lacera e sporca, si nasconde dietro una macchia di brugo a riprendere un attimo di fiato. Immobile, in silenzio.
Con la bestia che sbuffa dalle narici, ulula per spaventarla e china i musi a terra a fiutare il suo odore.
Non può restare nascosta per sempre, la donna lo sa. Così come sapeva già, dalle morti di chi l'aveva preceduta, che la distanza dalla sua terra natale non aveva annullato la maledizione né placato la sete di sangue nel mostro.
Sente il terreno tremare alle sue spalle. La donna si alza di scatto e riprende a correre a piedi nudi.
Ormai non è più paura, è disperazione. Farebbe qualunque cosa pur di spegnere l'incendio che divampa nel suo corpo e ha ormai bruciato ogni traccia di lucidità. Il sudore le appiccica addosso i brandelli della veste, i muscoli urlano di dolore, la stanchezza la rallenta, e sente che in ogni momento l'infernale bestia che la insegue può balzare su di lei, gettarla a terra e divorarla con le zanne fameliche.
Di fronte ai suoi occhi, il mare che incontra il cielo all'orizzonte le appare così placido.
È una promessa, la sua, di lavare via ogni paura.
Non si ferma la donna quando scorge dinnanzi a sé la terra cedere il posto all'aria profumata di salsedine, non cambia strada per evitare il salto dalla scogliera, non fugge a destra o a sinistra, incontro al gregge di pecore del tutto ignorato dal temibile predatore, o verso la strada che può forse condurla al sicuro tra le mura del castello.
La paura si è ormai impadronita della sua mente, e nessun posto è più al sicuro da un simile nemico.
La donna si getta con sollievo in un breve volo tra le fauci degli scogli.
Sopra di lei, sull'orlo della scogliera, nessun mostro che si sporga a contemplare l'esito della sua ultima scelta.
Un unico rimpianto nel cuore della donna, ed è che la maledizione che perseguita la sua famiglia non morirà con lei. E ha ragione.
I suoi fratelli e sorelle più giovani, a dispetto del buonsenso che i parenti irlandesi cercheranno di inculcargli, capiranno la vera cagione della sua morte, e temeranno l'approssimarsi del loro turno, e tramanderanno a loro volta le storie dei loro antenati e della maledizione del cane a tre teste ai loro figli e al suo bambino, nutrendo così la paura che ancora non aveva fino a darle forma e vita.

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