lunedì 7 agosto 2023

Luce di luna


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Julia Fuchs da Pexels


C'è una parola svedese che avevo imparato, assieme ad altre provenienti dalle più svariate lingue, a bordo della nave generazionale in cui ero nata. La parola era mångata, e definiva il riflesso della luce lunare su uno specchio d'acqua come una "strada di luna". Era una parola inutile, perché nessuno di noi aveva mai visto una luna, se non dagli schermi ad alta risoluzione della sezione osservatorio del ponte F, e comunque mai da abbastanza vicino, e dal lato giusto, per scorgerne il riflesso sull'acqua, se i pianeti attorno ai quali quelle lune orbitavano ne avessero avuta di acqua. Eppure coloro che la conoscevano avevano custodito quella parola come un tesoro, ed erano stati molto scrupolosi nel tramandarla, senza mutarne il senso o la pronuncia, alle nuove generazioni. I miei nonni non sapevano nemmeno più che tipo di paese fosse stato la Svezia, o come avevano vissuto i loro antenati in quella parte dell'antica Terra, eppure si erano assicurati che io conoscessi la parola mångata.
Forse immaginavano che, prima o poi, qualcuno di noi avrebbe di nuovo potuto usarla.
Questo pensavo, mentre cercavo di rilassarmi, la pelle nuda solleticata dalle bolle della vasca idromassaggio al limitare di spiaggia ghiaiosa di un mondo alieno. Mi riusciva difficile abbassare la guardia, nonostante la barriera che circondava il nostro avamposto e le sentinelle appostate su ogni torretta. Ci eravamo portati solo l'indispensabile sulle due navette di questa prima spedizione, materiale scientifico, pannelli e attrezzi da costruzione, armi e proiettori della barriera, kit di pronto soccorso, cibo e ovviamente una scorta di semi dalla serra idroponica per cominciare la coltivazione di un orto come stabilito nella riunione della squadra di colonizzazione. Solo l'indispensabile, a parte quel piccolo lusso, che i miei uomini erano riusciti a trafugare dalle scorte di ricambi della nave a mia insaputa. Avrei inflitto ai colpevoli una punizione esemplare, se non fossi stata estremamente grata di quel pensiero.
Li avevo comunque puniti, perché non potevo lasciar correre quell'insubordinazione, soprattutto considerando che il peso in più avrebbe potuto compromettere l'atterraggio; ma si era trattato solo di una strigliata in pubblico, dell'assegnazione al turno di guardia notturno, e di vedersi negato il beneficio di sfruttare a loro volta quel piccolo lusso sulla spiaggia.
Sospirai, scrutando le onde dell'oceano vicino, troppo vicino, e troppo vasto. Non avevo mai vissuto all'aperto, prima di allora.
– Sei pensierosa, questa sera, comandante – mormorò una voce maschile, e un braccio mi circondò mentre l'altro mi porgeva un calice colmo di un vino frizzante, contrabbandato assieme alla vasca.
Era il nostro primo anniversario, per questo la mia squadra mi aveva fatto quel regalo.
Mi piegai all'indietro mentre bevevo, la schiena adagiata al suo petto nell'acqua tiepida. Rowan apparteneva alla divisione scientifica, perciò non era obbligato a rivolgersi a me con il mio grado, ma io trovavo molto sexy quando lo faceva.
– Mmmh, non sono abituata al silenzio – mormorai, mentre lui si chinava a baciarmi dietro l'orecchio. Quello era il secondo motivo per cui ero grata di quel dono imprevisto, con cui io e Rowan stavamo festeggiando come si deve il nostro primo anniversario. Il pianeta non poteva essere definito silenzioso, perché anche dal nostro avamposto sorvegliato e riparato si udiva il fragore delle onde sulla spiaggia di sassi, e il vento che agitava il fogliame di alberi alieni fuori dalla barriera, e i richiami selvaggi delle creature che abitavano nella foresta. Ma tutto quel rumore non contava, perché non era il rumore giusto. Non riuscivo ad abituarmi all'assenza del ronzio di fondo che aveva accompagnato ogni giorno della mia vita a bordo della nave generazionale, le lievi fusa del motore che vibravano in ogni pannello e sotto ogni mio passo. Non mi ero resa conto che quel rumore esisteva finché non ne ero stata privata.
E così avevo avuto la sensazione, per i primi giorni mentre allestivamo la colonia, di avere le orecchie tappate dal silenzio. Gli scienziati che ci avevano preparato alle difficoltà che comportava l'adattamento alla superficie del pianeta ci avevano parlato di gravità, di composizione dell'atmosfera, di umidità e di possibili patogeni, oltre alla vita animale autoctona che poteva rivelarsi ostile. Non ci avevano detto che avremmo dovuto adattarci a guardare oltre, in spazi più ampi, e soprattutto al silenzio.
Il ribollire dell'acqua nella vasca, anche se era un rumore bianco di tipo diverso, attenuava almeno in parte la sgradevole sensazione.
– Già, e l'odore – biascicò Rowan, accarezzandomi la pelle sotto il pelo dell'acqua. – Quest'aria ha un odore strano. È respirabile, ma a volte preferirei portare una maschera filtrante per non doverne sentire l'odore.
– Non adesso, spero – scherzai, perché Rowan si era curvato ad annusarmi la pelle madida della spalla e i capelli bagnati.
Lui rise e mi afferrò per la vita, ma io opposi resistenza per non girarmi, non ancora.
Volevo guardare ancora un po' l'unico dettaglio di quel mondo alieno che immaginavo avrebbe sconvolto i miei antenati, quelli che migliaia di anni fa erano partiti dall'antica Terra a bordo della nave generazionale, e che invece non impensieriva affatto me. A quello, se non altro, era stato semplice abituarmi. Tanto, non avevo mai avuto una luna a rischiarare le mie notti con una strada di luce nell'acqua.
Sulle onde, lievemente scintillanti, le mångator che si riflettevano dal cielo erano due. Due lune, una più grande e candida, una più piccola e azzurrina, nell'oscurità lucente di stelle.
Appoggiai il calice vuoto sul bordo della vasca idromassaggio, poi con riluttanza diedi le spalle a quello spettacolo e accolsi tra le braccia mio marito, e lo baciai in quella notte che assomigliava così tanto, seppure in ritardo di un anno, ai vecchi racconti dei viaggi di nozze, lussi perduti nello spazio ristretto di una nave generazionale, ma che forse avremmo potuto ripristinare, per le generazioni a venire, nella nostra strana nuova casa rischiarata da due lune.

Nessun commento:

Posta un commento