lunedì 12 febbraio 2024

April


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Foto di lil artsy da Pexels


Seduta sulla panchina in mezzo agli altri viaggiatori in attesa, April chinò la testa e finse di leggere per l'ennesima volta il suo biglietto.
Sono solo una ragazza qualunque. Non sono interessante, pensava nel frattempo, concentrata al massimo nel cercare di proiettare quell'aura di banalità che avrebbe reso guardarla estremamente noioso per chiunque. Era sempre stata capace di fare cose simili, indovinare e talvolta anche influenzare le emozioni delle persone accanto a lei, e non aveva mai pensato che fosse qualcosa di speciale, almeno fino al discorso della presidente Crown, la prima donna a ricoprire quella carica negli Stati Uniti, la prima candidata indipendente a essere eletta.
E, da quanto aveva rivelato un paio di settimane fa, il primo presidente degli Stati Uniti con ascendenze aliene.
Da quel momento la caccia all'alieno era diventata lo sport nazionale. Tutti si chiedevano se il proprio vicino, il proprio collega, o addirittura il proprio coniuge, non avessero in segreto un po' di sangue alieno in corpo. Se lo stava chiedendo anche la donna in trench e tacchi alti che camminava svelta verso un autobus diretto a nord, senza dubbio nel tentativo di sfuggire agli orribili rettiliani a sangue freddo andando là dove gli inverni erano più rigidi. Se lo chiedeva il vecchio con la barba lurida che aveva pagato il suo biglietto con monetine elemosinate, ed era diretto a casa di una figlia che non vedeva da anni per salvarla da un marito che, lui lo aveva sempre sospettato, non era del tutto umano. E se lo chiedeva anche l'autista dell'autobus in partenza verso sud, destinazione Atlanta, che scrutava pensoso ogni passeggero che saliva la scaletta foderata di moquette.
Questo, April non era stata in grado di farlo fino a pochi giorni prima. Le era capitato, sì, di tanto in tanto, di sapere quello che la gente pensava, ma non lo aveva mai sentito così nitidamente nella sua testa, era stato più come un'intuizione, aiutata dal fatto che spesso sapeva con certezza che cosa provavano. Capiva il senso generale di quel che pensavano, più che le parole esatte.
Poi, qualche giorno dopo l'inquietante discorso della presidente Crown, era scattato qualcosa dentro di lei, e all'improvviso sentiva tutto. Tutto quanto, senza barriere e senza censure, pensieri che a volte la disgustavano e altre la facevano inorridire, e lei doveva far finta di niente, fare la faccia da poker, o qualcuno prima o poi avrebbe capito che in lei c'era qualcosa che non andava, che lei era una di quegli alieni. Come lo aveva capito, per prima, sua nonna materna, prima ancora che ci arrivasse April stessa.
Erano i suoi pensieri quelli che April aveva avvertito in principio, come per una specie di meccanismo di difesa, perché quei pensieri erano pericolosi.
L'avete voluta adottare, invece di avere una figlia vostra, era il discorsetto che la nonna si ripeteva in testa, con l'intenzione di pronunciarlo davanti ai genitori di April, chissà da dove viene, io ve l'ho sempre detto che è una ragazzina strana, e poi April, ma che razza di nome è, chi mai darebbe il nome di un mese a una bambina vera? Dobbiamo fare una prova, essere sicuri, dobbiamo bruciarle un dito, vedere se sotto la pelle ha delle squame da rettile.
E così April era scappata di casa, prima che la vecchia malevola potesse convincere mamma e papà a sottoporla a un giudizio da inquisizione spagnola. Era finita alla stazione degli autobus, in attesa della sua corsa, di un mezzo che la portasse lontano da lì, seduta fra tanti estranei dalla mente bisbigliante, nella cui testa si affacciava di tanto in tanto lo stesso pensiero.
Chi è alieno, chi è umano?
April alzò gli occhi quando l'autobus per Atlanta partì con un rombo sordo del motore, lasciando libera la visuale su un cartellone che ritraeva una donna in abiti discinti, sulle cui grazie qualche puritano aveva applicato striscioni bianchi per coprirne le vergogne. Quasi scoppiò a ridere per quell'antiquata forma di censura che ormai non interessava più a nessuno. Sulle strisce bianche, però, qualcuno aveva scritto con la vernice rossa "Aliena", e quello era un dettaglio molto meno innocente.
April ricordò come fin dai primi giorni dopo il discorso della presidente Crown, una volta che si era attenuato lo shock e lo scetticismo iniziale, le chiacchiere si erano diffuse a macchia d'olio e chi era troppo bello, troppo ricco, troppo talentuoso o troppo in vista era stato accusato a torto o a ragione di essere un alieno. Tutte le celebrità del passato e del presente erano state passate in rassegna.
Elvis? Alieno.
David Bowie? Alieno.
Tom Cruise? Alieno.
Mark Zuckerberg? Decisamente alieno.
Era quella la censura che la gente non era più in grado di sopportare. In molti pretendevano che fossero resi pubblici i nomi e gli indirizzi degli alieni che vivevano in segreto in mezzo a loro da anni, se non da secoli. Erano spuntati diversi cartelloni in tutta la città che pretendevano che la verità fosse rivelata. Ed era una proposta presa così seriamente in considerazione che anche il Congresso ne stava discutendo proprio in quel momento.
Per April non sarebbe cambiato un granché, qualunque fosse stata la decisione dei politici. Lei ormai non aveva altro modo di salvarsi che scappare di casa. Ignorare il brusio dei pensieri altrui, se non quei pochi che potevano rappresentare una minaccia, e proiettare quell'aura di anonimato, e fingere di non essere il mostro che era, il mostro che tutti avrebbero visto se avessero saputo cos'era in grado di fare.
Quando l'autobus arrivò, April lo raggiunse senza fretta, a testa bassa, portandosi dietro lo zainetto con tutto ciò che le era rimasto, soldi in contanti e qualcosa da mangiare e qualche vestito di cambio, e l'accendino con cui la vecchia che non osava più chiamare nonna avrebbe voluto darle fuoco.
E, in fondo, era esattamente quel che appariva, una ragazzina come tante, scappata di casa per andare chissà dove.

April non riuscì a prendere sonno in autobus. Non tanto per il rombo del motore sotto di lei o per i sobbalzi che a tratti scuotevano il mezzo piuttosto datato, né per la sensazione di doversi continuamente guardare le spalle, ma per i pensieri della gente. In uno spazio tanto ristretto, April non riusciva a evitare di cogliere i monologhi ripetitivi degli altri passeggeri. C'era chi passava in rassegna cose da fare e appuntamenti, chi ripeteva fino allo stremo la stessa conversazione terminata con una figuraccia, chiedendosi inutilmente che cosa avrebbe potuto fare di diverso per uscirne in modo migliore, chi canticchiava tra sé il tormentone del momento, più e più volte, fissando il paesaggio fuori dal finestrino, chi leggeva a mente, scorrendoli, i post sui social di conoscenti mai incontrati, che per la maggior parte in quei giorni vertevano sugli alieni e sui metodi più o meno assurdi per riconoscerli, dall'esposizione al sale, al ghiaccio o a un particolare tipo di metallo, alla rilevazione della temperatura e alla bruciatura dello strato superficiale di pelle umana, come aveva suggerito anche sua nonna.
Era come se tutti quanti stessero continuamente parlando ad alta voce in ogni istante, vicinissimi al suo orecchio, facendo a gara nel farsi ascoltare. E il peggio non erano nemmeno quelli che contemporaneamente stavano davvero parlando, dei quali April scopriva in diretta ogni piccola o grande menzogna, come le due signore attempate che si facevano i complimenti l'un l'altra per gli abiti, il trucco e l'aspetto giovanile mentre, sotto sotto, col pensiero si criticavano ferocemente per ogni capello fuori posto e ogni sbavatura del rossetto, bensì gli altri, quelli di cui April non avrebbe mai voluto conoscere la mente. Persone come il tizio di mezza età che l'aveva squadrata da dietro il vetro della biglietteria, e che mentre contava i soldi e le dava il resto aveva pensato, nonostante April fosse chiaramente minorenne, di farle una dopo l'altra una serie di proposte oscene e sempre più spinte che l'avrebbero fatta imbestialire, se April non avesse ricordato che doveva evitare a tutti i costi di dare nell'occhio, e tenere segreta la sua capacità anomala di ascoltare i pensieri altrui.
O come il viscido che sull'autobus sfogliava una rivista per adulti, commentando nella sua testa le forme delle ragazze in pose provocanti e quel che avrebbe tanto voluto fare a ognuna di loro: si sarebbe censurato se avesse saputo che qualcuno era in grado di sentirlo?
Fa' che si addormenti presto, ti prego, pensò April tra sé, con la fronte schiacciata contro il vetro. O che almeno finisca le pagine e la smetta. E meno male che di tutto ciò che passava nella testa della gente, lei sentiva solo le emozioni e le voci. Se avesse anche potuto vedere quello che certa gente immaginava, sarebbe stato molto peggio.
Ehi! Guarda che non è per niente educato origliare!
April sobbalzò nel percepire quel pensiero. Sembrava proprio che chiunque lo avesse pensato si fosse rivolto direttamente a lei, come se sapesse che lei era in grado di sentire i pensieri degli altri. La ragazzina si guardò cautamente attorno, poi si girò indietro, a spiare un gruppo di ragazzi della sua età seduti in fondo all'autobus. Quella "voce", se tale poteva chiamarla, le era sembrata una voce maschile, e piuttosto giovane.
Chi sei? provò a chiedersi April, cercando di rivolgersi a qualcun altro, qualcuno che non era lei. Per qualche istante avvertì solo i molteplici tediosi monologhi degli occupanti dell'autobus, voci di donne, di uomini, di vecchi e di bambini, tutti che parlavano a sé stessi, ma nessuno aveva lo stesso suono del pensiero che l'aveva sorpresa. Poi, come comparsa dal nulla, la voce tornò a farsi sentire.
Sei forte. Sei davvero molto forte! Non avevo mai percepito una terza generazione con il tuo talento.
Una terza... cosa? si chiese April, aggrottando la fronte.
Oh, scusa. Noi li chiamiamo "esper". Fisicamente del tutto umani, ma con un residuo del dono. Di solito hanno blande capacità extrasensoriali, e come ti stavo spiegando, non avevo mai incontrato una telepate con un talento sviluppato quanto il tuo, tra di loro.
Chi sei? ripeté April, e questa volta la domanda aveva un senso diverso, una nota di sospetto. Chi poteva sapere tutte quelle cose, chi poteva pensare in quella maniera se non un alieno, e uno che, a differenza di lei, era da sempre consapevole di esserlo?
Indovina, la sfidò la voce. Ti do un indizio: siamo sullo stesso autobus.
Spiritoso, commentò tra sé April. Era al corrente che la sua abilità non andava molto oltre i confini di quel mezzo di trasporto, a parte ogni tanto percepire il pensiero degli occupanti delle auto che gli si affiancavano su un'altra corsia, o quelli ancora più effimeri di coloro che viaggiavano in direzione opposta. April si sporse a guardare ancora i ragazzi in fondo all'autobus, ma il misterioso alieno non poteva essere uno di loro, e allora si sollevò al di sopra dei sedili a spiare i passeggeri dei posti davanti. C'era un unico ragazzo, un biondino seduto accanto a una donna bruna, e per quanto si sforzasse April non riusciva a sentire alcun pensiero da nessuno dei due, ma il divertimento trattenuto a stento che emanava dal ragazzo era lo stesso che aveva permeato quella voce mentale. Impossibile sbagliarsi.
Trovato! esultò April. Non appena lo ebbe pensato, il ragazzo si alzò e venne a sedersi sul posto vuoto accanto a lei.
April si scostò d'istinto quando se lo ritrovò accanto senza alcun preambolo né presentazione, e lo sbirciò di sottecchi con un lieve rossore che le scaldava le guance. Il ragazzo si voltò e le sorrise, poi si rilassò contro lo schienale e guardò in avanti. Per April fu come trovarsi al cospetto di un buco nero, perché non un solo pensiero sfuggiva alla sua mente, a meno che non si rivolgesse a lei in maniera diretta. Era strano, ma era anche un sollievo concentrarsi sul suo silenzio, a differenza del chiacchiericcio continuo degli altri.
Come hai capito che ero io? le chiese il ragazzo col pensiero, senza guardarla. Hai sentito il mio Latmas?
Il tuo cosa? ribatté April, cercando di adattarsi a una forma di conversazione per cui non era preparata. Non aveva mai pensato a cosa avrebbe fatto se avesse incontrato qualcuno come lei, anche se quell'evento era sempre stato una possibilità tutt'altro che remota.
Il mio fuoco, spiegò il ragazzo, e senza preavviso le afferrò una mano e se la posò sul petto. Era caldissimo, April riuscì a sentirlo anche attraverso la maglietta di cotone blu scuro, scottava come se avesse la febbre, e con un gridolino strozzato ritirò di scatto la mano.
Attorno a loro, i passeggeri iniziarono a notarli, a farsi domande, a chiedersi se il ragazzo la stesse importunando e che cosa di lui poteva averla spaventata. La parola "alieno" non si era ancora fatta largo nelle loro teste, ma April temette che prima o poi qualcuno ci avrebbe pensato.
– Troppo diretto? – le chiese a bruciapelo il ragazzo, fissandola divertito. Per la prima volta April udì la sua voce, che tuttavia già conosceva, e contemporaneamente fu catapultata in una conversazione senza alcuna idea di come rispondere, o di quale fosse l'argomento.
Nel notare la sua esitazione, il ragazzo le venne il soccorso con il pensiero. Ti sei accorta anche tu, vero, che abbiamo attirato un po' troppa attenzione? Non possiamo più stare in silenzio. Fingi di conoscermi, evita di farti notare, annoiamoli con banali discorsi da adolescenti qualunque.
April si irrigidì per non lasciarsi sfuggire un sorriso o un cenno, ma non le venne in mente nulla di banale da dire. Il suo metodo per non dare nell'occhio era sempre stato un altro, e dunque fu a quello che ricorse come per istinto, l'aura di disinteresse e noia che riusciva a proiettare nella mente di chi la circondava.
– Eravamo nella stessa classe di matematica, due anni fa – riprese il ragazzo. – Non sono mai riuscito a dirti una parola, ma ci riesco adesso. Forte che ci siamo incontrati di nuovo, Jane.
April aggrottò la fronte. Non era vero, non lo aveva mai visto in vita sua, non prima di quella corsa in autobus. Ma dopo un primo momento di incertezza, e dopo avergli fatto sapere io non mi chiamo Jane, mi chiamo April!, April rispose: – Ma sì... certo, terzo banco dell'ultima fila... sì, mi ricordo! Eri sempre così scontroso, e avevi quell'aria da teppista, ma in matematica eri bravo.
Teppista? riecheggiò il pensiero del ragazzo, sottolineando la piccola vendetta che April aveva voluto prendersi per la situazione in cui lui l'aveva cacciata. Jane, April, non importa, loro non lo sanno. Inoltre è meglio che il nome non sia memorabile.
Procedettero a turno ad aggiungere dettagli, intavolando una conversazione piuttosto ordinaria sulla scuola e la musica e i film del momento, finché le parole e l'influenza che April esercitava sulle emozioni non distolsero del tutto da loro l'interesse dei passeggeri vicini.
April tirò un sospiro di sollievo nella sua mente.
Un po' ti invidio, le rivelò il ragazzo. Hai un dono molto utile per passare inosservata, e nessuno saprà mai che lo stai usando.
La telepatia? gli chiese April.
Oh no, quello sappiamo farlo tutti, intendevo il tuo dono Earanphies sulle emozioni. Puoi usarlo quando ti pare senza problemi, io invece devo stare attento a non farmi scoprire con il mio.
Mentre lo pensava, il ragazzo trasse dalla tasca dei pantaloni il piccolo origami di una gru un po' spiegazzato e ripassò con le unghie le pieghe delle ali per distenderle, poi lo posò sul palmo della sinistra. Diede la schiena al corridoio e all'altra fila di sedili, per nascondere il più possibile agli occhi degli altri passeggeri ciò che stava per fare, qualunque cosa fosse; e infine piazzò la mano destra, a palmo in giù, qualche spanna al di sopra della gru di carta.
Ora presta molta attenzione, non lo ripeterò, sussurrò il ragazzo nella sua mente. Simon dice... sollevati!
La gru gli obbedì.
April sgranò gli occhi quando, al suo comando, la figuretta di carta si mise a levitare a un pollice dal palmo del ragazzo. Restò lì, a fluttuare tra le due mani, mentre lui agitava lentamente le dita della destra.
Posso muovere gli oggetti con il pensiero, le spiegò il ragazzo. Devo fare finta che ci sia un filo, se per caso qualcuno mi sta guardando, ma non c'è, non è un trucco da prestigiatore, è tutto vero.
Spronata da lui, April passò una mano tra quelle del ragazzo e l'origami, e alla fine lo afferrò con le dita, avvertendo dapprima una certa resistenza a muoverlo da dove si trovava, poi quella forza si allentò e lei si ritrovò la figuretta in mano.
Muovere gli oggetti con il pensiero. Per quanto fosse rischioso farlo in pubblico, April pensò con meraviglia che non c'era paragone con il poco che sapeva fare lei.
So fare quello, proseguì il ragazzo, e controllare un po' le correnti d'aria, e... se guardo qualcosa, so esattamente come funziona. Potrei smontare il motore di quest'autobus e rimetterlo a posto in un batter d'occhio, ma questo è facile da spiegare, posso sempre dire che mi ha insegnato papà. Ho preso da lui, sai, siamo entrambi Ranaissagi, abbiamo gli stessi doni, mamma invece è di uno Shanekth diverso e sa fare altre cose...
Nell'ascoltarlo parlare della sua famiglia, April fu invasa dalla tristezza al pensiero di quella da cui era fuggita, e pensò che avrebbe tanto voluto condividere così apertamente con qualcuno tutto ciò che sapeva fare da sempre, e ciò che aveva imparato a fare di recente. Tu... tu ti chiami davvero Simon? gli chiese, tanto per distogliere la mente da quell'idea assurda. Lei non aveva qualcuno con cui condividere chi era davvero, e non l'avrebbe mai avuto, era inutile starci a pensare.
Sì! rispose il pensiero del ragazzo, con la sua solita allegria contagiosa. È questo il bello, no? La battuta funziona perché è vero. Perché, come pensavi che mi chiamassi?
April fece spallucce. Non so. È che è un nome troppo comune per...
...per un alieno? Simon la scrutò con un sorriso sfrontato. April cercò in lui tracce anomale di non umanità, ma non ne trovò nessuna. Sembrava un ragazzo qualunque, all'esterno.
Nascondo bene le mie squame, scherzò Simon. April scoppiò a ridere, ma poi senza volerlo, la sua risata si fece a poco a poco amara.
Mia nonna voleva convincere i miei a darmi fuoco alle dita, per provare che io ce le avevo sotto pelle, pensò April. Aveva evitato di soffermarsi su quel ricordo per tutto il tempo in cui lui era stato lì, sapendo che al contrario degli altri lui poteva sentire tutto ciò che April pensava, anche se lei non gli si rivolgeva di proposito. È per questo che sono scappata.
Avrebbero solo finito con l'ustionarti la mano, le rivelò Simon, il cui pensiero si era fatto un brontolio serio per la prima volta da quando April lo aveva sentito nella mente. Come ti stavo spiegando, nel fisico non sei diversa da un essere umano, non hai nemmeno il Latmas, hai solo un residuo di dono che... beh, nel tuo caso, molto più che un residuo. Simon distolse gli occhi da lei e si sporse verso i sedili più avanti, da dove era venuto. Poi le afferrò la mano e le disse, a voce: – Vieni con me.
Il ragazzo si alzò e lei lo seguì senza fare domande. Avrebbe potuto portarla su un altro pianeta e probabilmente non le sarebbe nemmeno importato, ma lui la guidò soltanto qualche metro più in là. La donna con cui l'aveva visto all'inizio si era spostata e adesso sedeva accanto a un uomo biondo che somigliava moltissimo a Simon. Dalla fila davanti, la donna si girò indietro a guardarla nello spazio tra i due sedili non appena April si fu accomodata, e le sue labbra non si mossero quando la sua voce gentile le riecheggiò nella testa. Tranquilla, April. Va tutto bene. Potrai stare con noi per tutto il tempo che vorrai.
Sarà bello, la consolò la voce allegra della mente di Simon, sarà come avere una cugina. Ho sempre voluto una cugina. Magari lo siamo davvero.
Il ragazzo si sporse a posarle la testa sulla spalla, mentre ancora le teneva una mano, e con la sua vicinanza April avvertì ancora una volta quant'era caldo, insolitamente caldo, altro che rettili a sangue freddo come li definivano in tanti.
Se ti da fastidio dimmelo subito, che ci penso io a raffreddarlo, mormorò nella sua testa la voce mentale della donna dal sedile davanti.
È un po' sgradevole quando lo fa, le fece sapere l'uomo che le sedeva accanto. Ma devo ammettere che è molto utile avere una compagna che lo sa fare, in caso a qualche ficcanaso salti in mente di misurarci la temperatura per capire se siamo umani oppure no.
No, sto bene così per adesso, grazie, pensò April, sforzandosi di rivolgersi a tutti e tre.
E stava bene, davvero. Anche se prima di allora April non avrebbe mai immaginato che proprio in mezzo agli alieni di cui tutti avevano paura lei avrebbe trovato così tanto calore, e umanità, e una famiglia.

2 commenti:

  1. Bel racconto, potrebbe essere l'inizio di un bel libro.

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    1. Grazie, sono lusingata, ma... purtroppo ho già abbastanza carne al fuoco con altre storie lunghe che ho iniziato a scrivere per pensare a un romanzo su April. Ma non è detto che non torni per un secondo racconto qui sul blog se trovo l'idea giusta, o che non diventi un personaggio ricorrente... non sarebbe il primo!

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