giovedì 16 febbraio 2017

Cosa, come e perché

Penso che chiunque abbia provato a scrivere in modo continuativo ha attraversato varie fasi man mano che prendeva confidenza con carta e penna (o tastiera) e la storia da raccontare. Per quanto mi riguarda, riesco a distinguerne tre: la fase del cosa, la fase del come, e la fase del perché.

Cosa
La prima fase è stata quella del contenuto. All'inizio scrivevo le mie storie così come mi venivano in mente, nell'unico modo in cui riuscivo, o pensavo di riuscire a farlo. Mi concentravo sulla trama, sulla sequenza di eventi che costituivano il racconto. Quando effettuavo delle correzioni (raramente) ciò che cambiavo, tagliavo o aggiungevo era una scena o un avvenimento.
Scrivevo solo quando ne avevo voglia, senza metodo né scaletta; spesso cominciavo una nuova storia per poi abbandonarla quando non sapevo più come continuarla.

Come
Non ricordo quando sia avvenuto, ma a un certo punto sono passata dall'attenzione per il contenuto a quella per lo stile; o meglio, ad affiancare le due cose. Ho iniziato a riscrivere vecchie storie senza modificare la sequenza di eventi, cambiando solo il modo in cui venivano raccontate. Ho cominciato a prestare attenzione a elementi come il punto di vista, i tempi verbali, le scene e l'ordine in cui presentarle, e a sceglierli consapevolmente. Questa è la fase dei primi metodi per stimolare la creatività, degli appunti per ricordare dettagli che mi servivano più avanti nella storia, dell'impegno per finire ciò che iniziavo. Scrivevo ancora quando ne avevo voglia, ma il bello era che ne avevo voglia sempre. Scrivevo ovunque, persino al mare o in un tram affollato.

Perché
Questa è la fase in cui mi trovo ora, ed è un po' più difficile da definire delle altre due. Potrei chiamarla "la fase del motivo". Complici i laboratori, i corsi di scrittura creativa, gli articoli che quasi quotidianamente leggo ho cominciato a chiedermi perché faccio una determinata scelta invece che un'altra, sia nel contenuto che nello stile. Che effetto ottengo in chi legge? Perché quella scena è importante e non va tagliata, che cosa trasmette, sia in termine di informazioni che di emozioni? Spezzando una frase, o cambiando l'ordine delle parole, il risultato cambia, eccome.
Questa è la fase della revisione infinita, del perfezionismo, della meditazione su una virgola da mettere o togliere. Forse anche troppo.
Ma è anche la fase in cui scelgo, consapevolmente, di presentare a chi legge la migliore versione possibile di una storia, quella in cui ogni parola ha un senso e non è messa lì a caso, o solo perché non so di avere alternative. Ed è la fase in cui, da lettrice, posso comprendere le scelte di altri autori, capire perché le hanno fatte e che significato hanno, apprezzarle o criticarle.


Quando sono arrivata all'ultimo incipit del concorso, Un'unica semplice cosa, ero ancora nella fase del come, e di certo non l'ho analizzato come potrei fare adesso. Non credo mi sia passato per la mente la libertà che possono offrire quelle poche righe di monologo prive di contesto. Da quale punto di vista scrivere il racconto, da quello di chi pronuncia la dichiarazione, o da quello di chi ascolta? Qual è il tempo (verbale, e della storia), l'ambientazione, le caratteristiche dei personaggi?
Come in una battuta in un copione, solo al momento di mettere in scena il seguito avrei costruito la mia scenografia, portato sul palco gli attori, dato un senso e una risposta a quel monologo.
Che, come ho già anticipato, mi appariva tanto stucchevole da sembrare falso.

Nessun appunto di preparazione stavolta, ho preso la penna e ho scritto il racconto che potrai leggere lunedì.

Nell'attesa, che cosa ne pensi delle mie fasi? Ne hai passate anche tu di simili o di diverse?
Oppure, se non scrivi, da lettore presti più attenzione al contenuto, allo stile o al motivo per cui l'autore ha compiuto le sue scelte?

Nessun commento:

Posta un commento