sabato 9 dicembre 2017

Querimonia

Ci sono parole così formali e letterarie che sai già il tipo di personaggio o narratore che può pronunciarle. Questo è il caso di querimonia, che vedo bene in ambito giuridico o storico, un po' meno tra ragazzi comuni in un'ambientazione moderna!

Querimonia [que-ri-mò-nia] s.f. lett. Fastidioso lamento, lagnanza protratta.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


La prima cosa che questa parola mi ha fatto venire in mente è un'udienza presso la corte di un re. Forse per l'assonanza con la parola cerimonia, mi ha ricordato una di quelle scene da film in cui una fila di persone porta le proprie richieste o lamentele al sovrano. Succedeva davvero così? Non lo so, ma intanto ci ho ricamato sopra per il brano di oggi.


Ero fortunato a non essere re. Lo pensavo, nell'osservare la processione infinita di cenciosi popolani per la consueta querimonia al tribunale di Lir, nonostante nella questione la fortuna o la mancanza di essa non contasse affatto. Non ero arrivato dov'ero con la fortuna, ma con le unghie, con i denti, e con la mente. E con una sufficiente dose di veleno, quando lo avevo ritenuto necessario.
Essere re era una formalità che toccava per nascita, e che comportava spiacevoli obblighi, come dover respirare la stessa aria della plebe nei giorni stabiliti dal calendario. Il lusso era un incentivo per sopportare il fetore, per una mente che cedeva a simili lusinghe, ma l'oro e il velluto non facevano per me.
A differenza di chiunque altro, io avevo l'unica cosa che importava davvero: il potere.
– Solemestis, che cosa devo fare?
Era a me che la principessina che avevo messo sul trono al posto del vecchio re aveva chiesto consiglio, ed era a me che lo avrebbe chiesto in futuro, sempre. Era una statua di cera, malleabile tra le mie dita, e io l'avevo plasmata ancora una volta.
– Lasciateli sfogare, maestà. Molti di loro non hanno un vero problema, hanno solo bisogno di lamentarsi delle proprie sventure. Date la vostra assoluzione quando chiedono perdono, e decidete chi abbia torto o ragione quando vi domandano una sentenza.
– E se non sapessi chi è nel giusto? E se sbagliassi?
– Non vi contraddiranno, maestà. Voi conoscete la legge meglio di loro.
Non le avevo detto che non faceva differenza chi avesse scelto, che la spartizione di un paio di capre non avrebbe mandato in rovina il regno. Non le avrei tolto l'illusione di avere il potere.
La regina Skalissa poteva trastullarsi ad ascoltare tutte le querimonie che voleva e sentirsi importante nel decidere la vita di un pezzente; quanto a me, una volta che avesse preso una tale confidenza da non richiedere di avermi al fianco, avrei disertato simili, noiose udienze per dedicarmi alle decisioni che influenzavano il corso della storia.

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