sabato 30 dicembre 2017

Tabarro

Questa parola un tempo era di uso comune, ma adesso con la scomparsa del capo d'abbigliamento si sta perdendo. Una curiosità: mi è stato raccontato di recente che a contribuire alla scomparsa dei tabarri siano state le automobili. Era un capo utile per tenersi al caldo a piedi, a cavallo o in bicicletta... ma un po' scomodo da usare guidando!

Tabarro [ta-bàr-ro] s.m. 1. Ampio e pesante mantello da uomo in uso nel passato. 2. scherz. Cappotto particolarmente pesante.

Hood, di Gerardofegan, licenza Creative Commons BY 2.0. Immagine modificata con l'aggiunta di scritte.


Ho pensato di dover andare indietro nel tempo per scrivere un brano con un tabarro (l'alternativa era ambientarlo in un universo fantasy, ma ho sfruttato troppo spesso questa possibilità, ultimamente). Da qualche parte tra l'800 e il 900... lo so, non molto preciso, ma la protagonista non mi ha ancora rivelato con esattezza dove e quando e è nata.


Una volta, tanto tempo fa, quand'ero una bambina umana, Nessa si sedeva accanto al mio letto e mi raccontava storie per farmi addormentare. Erano storie diverse da quelle dei libri. Mi raccontava di Padre Inverno che uccideva il Principe d'Autunno, e del Signore dei Cervi inseguito dai Cacciatori, e del Tabarro Nero che vagava nella notte. Mia madre non voleva che mi parlasse di queste cose, perché non erano storie da cristiani e perché mi facevano sempre venire gli incubi. Perciò, quando c'era lei, Nessa prendeva un libro dallo scaffale e mi leggeva una parabola, o una di quelle favole da bambini con gli anatroccoli e le principesse; ma quando non era in casa a controllarla, alla fiamma della candela, Nessa intesseva tra le ombre del soffitto le sue fiabe pagane.
La storia del Tabarro Nero era la più spaventosa, perché Nessa diceva che fosse accaduto davvero, proprio lì dove vivevamo. Diceva che ogni anno, proprio l'ultimo giorno dell'anno, era possibile vedere per le strade della città uno straniero vestito di un tabarro nero con un ampio cappuccio che gli nascondeva il volto, e che non lasciava impronta alcuna nella neve. Nella storia di Nessa, un nonno avvertiva il nipote di non seguirlo, se lo avesse visto; ma il bambino disobbediva, inseguiva l'uomo col tabarro nero fino a strappargli di dosso il mantello, scoprire che sotto non c'era nessuno, e morire di colpo per lo spavento.
Io pensavo di essere più coraggiosa di quel bambino. Quella sera del 31 dicembre, Nessa mi stava riportando a casa quando lo vidi: il Tabarro Nero sotto il lampione, e nessun volto all'ombra del cappuccio. Sfuggii di mano alla mia tata e lo seguii.
Lei seguì me.
Il Tabarro Nero si fermò in un vicolo ad attenderci, come se volesse essere scoperto e spaventarci a morte. Allungai la mia piccola mano, ma sotto non c'era il nulla, bensì qualcosa che metteva davvero paura: un fantasma dalla pelle di alabastro, i denti, la sete.
Dopo quella notte, non sono più stata una bambina umana.

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