lunedì 23 gennaio 2023

Chiavi e serrature


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Foto di Pixabay da Pexels


Per un mese e mezzo ero rimasto sotto chiave nelle sere in cui il circo e l'area circostante erano aperti al pubblico, chiuso assieme a lei nel caravan della guaritrice in catene, a respirare il fumo aromatico dei suoi incensi e a stringere convulsamente il bordo del tavolo quando sentivo l'agitazione montarmi dentro al ritmo delle musichette ritmate e del vociare confuso che mi giungeva attutito e lontano. Su quel tavolo, ricordavo con sgomento ogni volta, lei mi aveva operato appena mi avevano trascinato qui, e certo da allora stavo molto meglio, ma non era riuscita del tutto a separare il mostro da me. Era quiescente, mi aveva detto, e da quel momento in poi spettava a me imparare a conviverci.
Mi avevano tenuto sotto chiave, nelle prime fasi di quell'apprendimento, per la mia sicurezza e per quella degli ospiti paganti, perciò mi ero perso tutto il divertimento nelle prime quattro tappe del nostro viaggio da quando mi ero unito al circo.
Poi, Antares aveva stabilito che ero pronto per il primo passo fuori dal mio rifugio, e allora mi avevano piazzato in uno dei baracchini più periferici, sotto la sorveglianza di Amaltea, la zingara con gli zoccoli caprini al posto dei piedi. Quello era il suo tratto più notevole, che lei celava accuratamente con una gonna lunga e un paio di stivali senza suola a coprili, ma avevo scoperto con il tempo che Amaltea aveva anche altre qualità, ed era il motivo per cui avevano messo lei, e non altri, al mio fianco.
– Non è strano che abbia parlato almeno due volte con Antares, e non saprei riconoscerlo se mi passasse davanti? – chiesi ad Amaltea, adocchiando il flauto di Pan che portava appeso alla cintura, e che era la mia ancora di salvezza in caso le cose si fossero messe male. – Non so nemmeno se è un uomo o una donna, com'è possibile?
Amaltea sogghignò, appoggiata con le braccia sul bancone. – Tesoro, Antares è Antares, Non c'è bisogno di sapere altro, solo che quando ti serve una mano, lui... o lei... lo sa.
Inspirai l'odore dolciastro delle mele caramellate e della macchinetta dello zucchero filato usata neanche cinque minuti prima per la seconda volta quella sera, dopo che Amaltea mi aveva fatto vedere come fare. Ci stavo prendendo la mano.
Amaltea si raddrizzò di scatto quando una figura ci raggiunse tagliando attraverso lo spiazzo dei tendoni, ma non era una cliente quella che si stava avvicinando. Era Demi.
– Amaltea! – la chiamò Demi già da lontano, alzando la voce per farsi sentire tra le note allegre della musichetta che veniva dal nostro baracchino, illuminato a giorno dalle insegne che pubblicizzavano tutte le leccornie che vendevamo. Ci raggiunse di corsa, poi disse. – Talìa ha bisogno di te nella zona delle gabbie, Sally ha di nuovo fiutato un cane e ha perso la testa!
Amaltea mise mano al suo flauto di Pan, poi mi rivolse un'occhiata dubbiosa.
– Vai, resto io con lui! – la esortò Demi.
E così, la zingara dai piedi caprini se ne andò a placare la donna gatto con la sua melodia incantata, mentre Demi, che in apparenza era l'unica persona normale di quel circo, si piazzava dietro al bancone al mio fianco.
La sbirciai, mentre mi affaccendavo attorno alla macchina dei popcorn, programmandola per produrne un'altra infornata, come se ce ne fosse stato bisogno. Demi mi metteva un po' a disagio, perché io sapevo chi era, e da quando lo avevo scoperto preferivo di gran lunga parlare con la vera lei, che con una proiezione della sua mente.
– Tutto a posto? – mi chiese Demi, scrutandomi attentamente.
– Oh? Sì, certo, tutto a posto. Non ho ancora squartato nessuno, se è quello che intendi. – Tentai di fare una battuta, che mi riuscì più lugubre e cupa di quanto volessi. – Cioè, sai... sto bene.
Trasalii allo scoppio dei primi popcorn nella macchinetta, che mi girai a fissare per non vedere più la sua fronte aggrottata.
Demi ignorò il mio nervosismo e parlò schiettamente, come aveva sempre fatto. – Tutti noi abbiamo qualcosa che ci fa scattare, come la chiave della nostra serratura. Per Sally sono i cani, i cani portano a galla la sua natura ferina. Tom... beh, già sai che cosa è meglio non fare quando c'è in giro lui. – Mi girai in tempo per vederla fare un occhiolino. Scossi la testa.
– Per te... – continuò Demi. – La tua chiave è la folla, la confusione. Troppe persone attorno risvegliano l'interesse del mostro. Ma dato che non puoi vivere in una torre, Antares mi ha incaricato di abituarti per gradi.
Sospirai, concentrandomi per la prima volta sul vociare della folla in lontananza, le risate dei bambini, le grida di eccitazione, le conversazioni confuse a voce alte. Un palpito si agiò dentro di me, ma fui svelto a calmarlo con respiri profondi, e immaginando al posto dell'aroma zuccheroso dei lecca lecca e delle frittelle il sentore di incenso che anche Demi conosceva bene.
Perché era stata lei, l'altra lei, che mi aveva fatto compagnia mentre me ne stavo isolato dentro il suo caravan.
– E per quanto riguarda te? Qual è la tua chiave, che cosa ti fa scattare?
Demi non mi rispose. Una famiglia si stava avvicinando al nostro baracchino, e la madre si protese a ordinare una frittella, un bicchierone di granita e un sacchetto di popcorn per i tre ragazzini vocianti che aveva al seguito. Mentre io ritiravo i soldi e porgevo una frittella già pronta, vidi Demi spostarsi dietro le macchine del popcorn e delle granite.
– Tranquilla, faccio io! – mi affrettai ad assicurarle, dal momento che sapevo che, sebbene sembrasse perfettamente normale e solida, Demi non era altro che un'immagine intangibile, un fantasma.
Fui piuttosto sorpreso quando, nell'affiancarmi a lei, scorsi la leva della granita tirata, con la sua mano chiusa attorno, e poi la vidi muovere le dita per aprire lo sportellino che faceva scivolare i popcorn nel sacchetto. Eppure io avevo tentato di toccarla e la mia mano le era passata attraverso.
Offrì infine entrambe le cose, sacchetto di popcorn e bicchiere di granita completo di cannuccia, su di un vassoio che tese sopra al bancone verso la famigliola, sorretto solo in apparenza dalla sua mano posata sotto. Attese che se ne fossero andati, prima di dirmi: – Con gli oggetti è facile. Le cose non sentono, non fa differenza se il tuo tocco è reale o se è un campo telecinetico. Ma tu sentiresti la differenza. Posso darti l'illusione di toccarmi, ma poi, dopo il primo istante, ti chiederesti perché la mia pelle non è calda, o non è morbida, o non è... niente, se non una barriera solida. E quel che è peggio, è che io non sentirei nulla, perciò, perché darsi la pena?
Demi sospirò, girò la schiena al bancone e vi si appoggiò, o almeno diede l'impressione di appoggiarsi al bancone con la schiena e con i gomiti. – Mi hai chiesto qual è la mia chiave, che cosa mi fa scattare. Volevo dirti il sole, perché non posso uscire alla luce senza rischiare di ustionarmi, ma non è quella la mia chiave. Non mi sarei incatenata nel mio rifugio, se avessi potuto andarmene liberamente in giro durante la notte. Ma non posso.
Demi tacque, quel tanto da lasciarmi capire all'improvviso, come in una sorta di rivelazione, che non avevo più distolto gli occhi da lei, che non mi metteva più a disagio parlare con quella forma di lei.
– E allora...? – la spronai, senza commentare quello che in fondo avevo già pensato, che di notte sarebbe stato sicuro per lei uscire dal caravan, se avesse voluto.
– La mia chiave è la tentazione di una vita normale. So che impazzirei nel tentativo di averla, se solo ci provassi. Ma allo stesso tempo, non posso sopportare il modo in cui mi hai trattato quando sono qua fuori, così, da quando lo sai. Per questo non volevo che lo sapessi.
Abbassai gli occhi. Quelle parole, come una chiave girata in un lucchetto, aprirono qualcosa tra noi. Una nuova fase, che fino ad allora non avevo considerato.
Mi rammaricai quando Amaltea tornò vittoriosa dalla sua missione e riprese il suo posto di guardiano del mostro.

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