sabato 7 gennaio 2023

Ruzzare

Ruzzare [ruz-zà-re] v.intr. (aus. avere) [sogg-v] Riferito a persone o animali, correre e saltare per divertimento.

Etimologia: etimo incerto, probabilmente di origine onomatopeica, oppure derivato da roteare mediante una forma dialettale rotjare, nel senso di "far capriole, giravolte", oppure "far girare per gioco un disco o una palla". Per alcuni sarebbe trasposto da zurrare, "essere esaltato di animo", mentre per altri potrebbe essere derivato dall'antico tedesco ruozzan, "muovere, sollevare".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di chepté cormani da Pexels


Sapevo sempre quando il mio cane aveva voglia di andarsene al parco a ruzzare, perché era lui che me lo diceva. E no, non intendo che afferrava il guinzaglio con i denti, o raspava contro la porta, o mi si sedeva accanto con quello sguardo supplichevole da cane bastonato che hanno certi quadrupedi da compagnia, la tipica "occhiata che parla da sola". No, Benny proprio me lo diceva chiaro e tondo.
– Andiamo al parco? – mi chiedeva di punto in bianco, soprattutto quand'ero impegnatissimo a fare tutt'altro. – Voglio correre un po', ci andiamo? Adesso? Ora? Su?
Quando poi mi arrendevo e prendevo il guinzaglio, pur di sentirlo stare un po' zitto - non era mai capitato che Benny parlasse di fronte a qualcun altro, tanto che a volte mi chiedevo se non fossi io a essere impazzito a furia di vivere da solo come un cane, assieme a un cane - spesso Benny aveva anche mille pretese. Cose come: – Ricordati la palla!
Oppure: – Portati qualcuno di quei bocconcini che mi piacciono tanto, che poi a correre mi viene fame!
Riuscivo a stare un po' in pace solo quando lo mollavo a scorrazzare avanti e indietro per il prato, o quando lanciavo la palla abbastanza lontano da dover attendere per un po' il suo ritorno, o quando c'erano altri cani, e allora Benny si dimenticava completamente di me e finalmente ruzzava e giocava con i suoi simili come un cane normale.
In una di quelle occasioni mi si avvicinò una ragazza, padrona di un bastardino.
– Sono come dei bambini, vero? – mi chiese, con un sorriso raggiante da "mammina di quadrupede domestico", e io annuii, le mani ficcate nelle tasche del cappotto.– Gli manca solo la parola – aggiunse lei.
– Magari! – mi venne da sbottare, esasperato dalla loquacità del mio coinquilino peloso. Lei mi guardò storto, e io mi salvai in corner spiegando: – Dico, magari avessero la parola, chissà che cosa ci direbbero!
Risi con lei, sebbene io, di cosa avrebbe parlato il mio cane, lo sapevo fin troppo bene.

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