sabato 28 gennaio 2023

Soverchio

Soverchio [so-vèr-chio] agg., s. (pl.m. -chi) lett. 1. agg. Eccessivo, esagerato. 2. s.m. Eccesso, sovrabbondanza. 3. s.m. Sopraffazione, sopruso.

Etimologia: dal basso latino latino superculus, derivato da super, "sopra".



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Al mio risveglio le immagini del sogno mi colpirono con forza soverchia, e così rimasi seduto nella luce dell'alba che filtrava in strie sottili tra le pietre, immobile, mentre lacrime silenziose mi rigavano le guance. Non avrebbe dovuto sconvolgermi, in fondo era soltanto un sogno, sebbene lo avessi fatto nel tempio di Dorania, dove la gente andava per sognare il vero e risolvere i propri problemi con l'Oniromanzia. Ma per me era diverso, perché non avevo mai dormito da quando mi ero svegliato nella Valle, non avevo mai sognato, e questo mio primo e unico sogno non aveva bisogno di essere interpretato da un sacerdote.
Non doveva essere interpretato, perché quelli erano i miei ricordi perduti.
Liri aveva ragione: avrei fatto meglio a rinunciare alla mia ricerca e accontentarmi della vita che avevo.
Trasalii quando il saggio bendato mi posò una mano sulla spalla, richiamandomi fuori dal recinto sacro dove i dormienti ricevevano l'illuminazione, dentro la luce del tempio dove le immagini notturne venivano decifrate. Lo seguii, anche se non volevo parlargli, e non ne avevo bisogno.
Non c'era nulla da interpretare nella vita di latrocini e soverchi che era appena stata restituita alla mia memoria. Avevo causato dolore e ne avevo riso, avevo accumulato ricchezze che non mi appartenevano, avevo agito spinto solo dall'egoismo e dalla cupidigia, indifferente al resto del genere umano, indifferente persino agli stessi scagnozzi su cui esercitavo il mio dominio. Ero stata una persona abietta prima di dimenticare chi ero.
E il timore di riportare quella persona con me nella Valle, ora che lo sapevo, mi lacerava.

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