lunedì 9 gennaio 2023

La sposa dubbiosa


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Terje Sollie da Pexels


Che cosa ci faceva una principessa in abito da sposa in un fast food in stile retrò è presto detto: aveva dato buca al suo matrimonio.
La sposa, seduta al tavolo in fondo, piluccava svogliatamente le untuose patatine fritte che il locale serviva in un cartoccio beige con il suo logo sopra, e intanto cercava di farsi piccola nel suo ingombrante abito bianco. Era impresa tutt'altro che semplice evitare le occhiate curiose provenienti dagli altri tavoli, quando si spicca come un razzo spaziale in un campo di cavoli.
Lei, che in quella vita e in quel mondo rispondeva al nome di Lisa Segni, sospirò e si puntellò il mento sul palmo della sinistra, mentre con la destra mosse la cannuccia nel bicchiere di coca-cola ghiacciato, traendone un sonoro tintinnio. Fuori dalla finestra le cicale si stavano svegliando sotto il cielo indaco dell'imbrunire, mentre sul bancone una vecchia radiolina funzionava soltanto per un minuto su dieci, quando una delle ragazze col grembiule e la cuffietta in testa, affaccendate a raccogliere, preparare e distribuire le ordinazioni, nel passarle accanto dava una manata alla radio, o cercava per un attimo di regolare la frequenza con le due manopole tonde, risvegliandola temporaneamente dal suo torpore fatto di scariche statiche. La musica comunque non durava mai abbastanza per coprire le chiacchiere e le risate dagli altri tavoli, e Lisa non faticava a immaginare che stessero ridendo di lei.
"Di sicuro si immaginano che me ne sto qui mogia mogia perché sono stata mollata" pensava Lisa, mentre era vero l'esatto contrario.
La porta si aprì e nel rettangolo di strada comparve una ragazza di sedici o diciassette anni fradicia da capo a piedi, i lunghi capelli scuri e gocciolanti, la pelle madida, l'abito azzurro col corpetto decorato da un disegno simile a iridescenti squame di pesce appiccicato addosso e le balze della gonna bordate d'argento che pendevano flosce e grondanti. Aveva occhi dal taglio leggermente allungato che davano un tocco d'esotico al suo volto e che avrebbero potuto suggerire un'ascendenza dall'estremo oriente, Cina o Giappone o paesi limitrofi, a chiunque non fosse stato al corrente che sua madre era una Naiade, una ninfa delle fonti.
La ragazza avanzò incurante lungo il bancone che occupava quasi per intero il lato sinistro del locale, lasciandosi dietro una scia di gocce e impronte umide, e a un'occhiataccia di una delle cameriere sbottò: – Be', che c'è? Mai capitata nel bel mezzo di una ice bucket challenge a sorpresa?
La cameriera brontolò, ma la ragazza proseguì fino al tavolo della sposa e si sedette di fronte a lei. Erano una strana accoppiata, la sposa, una donna sui trent'anni o poco più, e l'adolescente in abito da damigella, che a dispetto dell'apparenza aveva vissuto almeno un decennio più dell'altra.
– Emma – sussurrò la sposa, e bevve un sorso di coca-cola. Emma non era il vero nome dell'altra, ma era il nome con cui Lisa l'aveva conosciuta, e si sentiva più a suo agio a chiamarla così – Mi chiedevo chi avrebbero mandato a riprendermi.
– Non che ci fosse molta scelta – borbottò la ragazza, scrollando le spalle imperlate di goccioline. – Avresti potuto ignorare chiunque altro si fosse presentato qui, trattando tutti, perfino il tuo carissimo guardiano mezzelfo, come nulla più che un'allucinazione. Quanto a Julian... se aspettiamo che intervenga lei, fai in tempo a morire.
Quella frase strappò alla sposa un sorrisino. Emma aveva ragione: erano poche le persone che potevano attraversare il confine tra i mondi, e tra di loro meno ancora erano quelle a cui importava davvero che lei fosse scappata.
Una delle cameriere, probabilmente, data l'espressione schifata, quella che aveva perso quando avevano tirato a sorte, si piazzò a lato del tavolo e chiese alla ragazza fradicia se intendeva ordinare qualcosa.
– Fish&chips e una bottiglia da un litro di acqua naturale... due da mezzo, se non ne avete – rispose Emma, e attese paziente che la cameriera si fosse allontanata.
Lisa nel frattempo sbirciava gli altri tavoli, e le parve che le occhiatine, i bisbigli e le risate si fossero moltiplicati. Con l'arrivo di Emma era stato come se un sottomarino si fosse arenato sul campo di cavoli, proprio di fianco al missile spaziale, rendendo la loro presenza lì, assieme, ancora più degna di nota. Si agitò sul divanetto di pelle, a disagio.
– È per via di quello che ti ho detto quando eravamo a scuola? – le chiese a bruciapelo la ragazza. Erano state compagne di banco, ma nessuno nel fast food avrebbe potuto immaginarlo. – Perché se è per quello non mi devi dar retta, che ne sapevo io, ripeterti come vere le chiacchiere tramandate dai miei antenati di più di mille anni fa, quando dall'altra parte non c'ero mai stata se non una o due volte per poche ore, e cercando sempre di non incrociare nessuno che non fosse mia madre perché non si sa mai...
Lisa scoppiò a ridere, poi posò una mano su quelle umide dell'amica. Ricordava bene quello che Emma le aveva detto, commentando uno dei romanzi fantasy che piacevano tanto a lei, e che Emma deprecava. "Un elfo non può innamorarsi di un essere umano, sarebbe come se un uomo provasse un interesse romantico per una scimmia!"
– No, no – la rassicurò la sposa, scuotendo la testa. – Non è per quello. Non dubito che lui mi ami davvero, a suo modo. Anche se mi sopravvivrà.
La damigella in azzurro alzò gli occhi all'avvicinarsi della cameriera, le prese il vassoio di mano con un ringraziamento, e solo dopo aver bevuto un sorso da una delle due bottigliette, quando l'estranea si era ormai allontanata, chiese alla sposa: – E allora perché?
Lisa chinò il capo. Sbocconcellò qualche pezzetto di pane dalla calotta del suo hamburger.
– Sai quello che si dice della città di Laeverth, vero? – mormorò infine la sposa. Di fronte all'espressione perplessa dell'altra, soggiunse: – Laeverth non cadrà finché esisterà una figlia di Lae.
Emma fece una smorfia. Ma certo, era ovvio. Tutti sapevano che c'era un'alta probabilità che i figli ibridi fossero sterili, ed era questo il motivo per cui Sara, che in un'altra vita era stata la madre di Lisa, non aveva sposato Jossintaur il mezzelfo, e allo stesso tempo era il motivo che aveva indotto lo spaventoso drago che era l'antenato di Emma a inviare la Naiade a sedurre suo padre dopo che lui, ultimo dei discendenti del drago, contrariamente al resto della famiglia era sopravvissuto a ogni sicario che era stato inviato sulle sue tracce.
Morta Emma, la vergognosa discendenza ibrida del drago sarebbe stata cancellata.
– Laeverth è già caduta – le ricordò Emma, tra un boccone e l'altro. – E tecnicamente, da un punto di vista puramente biologico, la stirpe di Lae si è interrotta quando tu e Sara siete morte.
Dalla radio esplose qualche secondo di note ritmate, sufficienti a far trasalire Lisa, prima di ritornare al consueto brusio letargico.
– E adesso state ricostruendo la città e tu sei viva! – constatò Emma, fingendo un'espressione sorpresa nel puntarle contro una patatina. – Anche se non sei più la figlia di Sara di Laeverth ma di due a cui probabilmente prenderebbe un colpo se sapessero tutta la storia, e che darebbero di matto nello scoprire che non li hai nemmeno invitati al tuo matrimonio, e no, non dire che lo hai fatto perché non potrebbero venirci perché io potrei portarceli se non hanno paura di un po' di umidità, e c'è un elfo meraviglioso che non ti considera una scimmia e che ti aspetta ad appena un mondo di distanza. E tu te ne stai qui a mangiare un hamburger e a bere coca-cola? Per me sei matta!
Lisa si lasciò sfuggire un risolino al rimprovero della ragazzina dai capelli gocciolanti, poi si accorse che più di qualcuno si era girato a sbirciarle dai tavoli vicini, e sbiancò al pensiero che i loro vicini, che si erano fatti silenziosi, avessero ascoltato le parole che Emma aveva sbottato a voce un po' più alta. Si nascose il volto tra le mani, ma l'amica si girò a fissare i curiosi e li apostrofò con un risoluto: – Embé? Mai giocato al GDR "la principessa in fuga"? L'altra damigella è una fata, e allora?
– Emma! – sibilò Lisa, il cui volto stava in quel momento passando ai toni del rosso.
Almeno, dopo quell'uscita, non c'era più nessuno che le guardasse.
Emma riprese tranquillamente a mangiare quel che aveva nel piatto, quindi le disse: – Dovresti prendere esempio da me. Ho avuto paura di un drago per tutta la vita, ma adesso ho smesso di nascondermi.
La sposa si strinse nelle spalle. Emma non le aveva mai dato l'impressione di avere paura di qualcosa o di nascondersi da chicchessia.
– Insomma – continuò l'amica. – Hai affrontato un esercito di demoni per ben due volte, e hai paura che questi ti sentano fare discorsi strani, o... di sposarti?
– Non devo ricordarti che sono morta, la prima volta – mormorò Lisa, portando una mano sul ventre al ricordo della ferita che le avevano inflitto nell'altra sua breve e sventurata vita. – E ci avrei lasciato le penne anche la seconda, non fosse stato per il Prisma.
Emma sogghignò, si strofinò le mani e finì la prima bottiglietta. – Arashi è una forza della natura. Peccato che non l'hai potuta invitare, lei sarebbe venuta qui e ti avrebbe trascinato dall'altra parte di peso. Ma capisco che sarebbe stato di pessimo gusto invitare al tuo matrimonio la nuova regina dei demoni, dopo tutto quello che hanno combinato.
– Ad Achara non sarebbe importato – considerò Lisa, meditabonda. – E nemmeno a Jossintaur, o a Besta Rei, o a Will e a tutti gli altri di Belwil. A parte Nehert, forse. – Soffocò una risata. – E magari, se Arashi fosse venuta, sarei riuscita a vedere Julian sorridere.
– Già, magari. – Emma sbirciò il piatto dell'amica. Non aveva finito l'hamburger, ma non sembrava intenzionata a mangiarne ancora. 
– Senti, ma non eri tu quella che voleva portare un po' di modernità nell'Oltreconfine e trasformare il tuo bel regno in una repubblica? – chiese d'un tratto Emma. – Ora, capisco che dopo la guerra con i demoni e la distruzione della città i tuoi concittadini siano un po' restii ad abbandonare l'idea che la presenza di una figlia di Lae sul trono li possa magicamente proteggere da ogni male, ma se anche le tue piccole mezzelfe non potessero dare al regno altre figlie di Lae, a quel punto fra qualche centinaio d'anni forse e dico forse gli uomini e le donne di Laeverth si sentirebbero finalmente pronti a governarsi da soli senza più bisogno di stampelle, non credi?
Lisa rimuginò per un istante sulle parole dell'amica. Era in momenti come quello che Emma dimostrava quanto in realtà avesse vissuto più di lei, sebbene la sua esistenza finora si fosse trascinata nella noiosa ripetizione di anni scolastici in diverse città, dopo aver aggiornato la sua data di nascita e cambiato nome ogni volta che la sua età apparente non sembrava più corrispondere a quella anagrafica.
– In effetti... – mormorò Lisa. In effetti, il problema che le era parso insormontabile in quel matrimonio misto non era nemmeno un problema. Laeverth avrebbe benissimo potuto continuare a esistere anche senza una principessa.
Ma Lisa aveva bisogno di Emma per un'altra questione, perciò non poteva dargliela vinta così facilmente. Come aveva detto la mezza Naiade, era giunto il tempo di diventare coraggiosa, e affrontare qualcuno che le faceva più paura di un intero esercito di demoni.
La radio sul bancone trasmise mezzo ritornello di una canzone d'amore, e una ragazza nella sala continuò a canticchiarla anche dopo che la radiolina si ridusse al consueto crepitio di scariche statiche.
– Se io adesso torno a Laeverth e mi sposo... – propose Lisa, mentre già cercava nella borsetta il portafoglio con la valuta corrente in quel mondo e in quella nazione. – ...e do a te tutto il merito di avermi scovata e convinta, tu saresti disposta a fare qualcosa per me?
– Dipende... – mormorò la ragazza, tra un sorso e l'altro della seconda bottiglietta.
– Ho bisogno di te come prova vivente di tutte le stranezze dell'altro mondo quando ne parlerò ai miei – sciorinò Lisa tutto d'un fiato.
– Andata – accettò la damigella, i cui capelli e vestito erano ancora leggermente umidi, sebbene la ragazza si fosse un poco asciugata nella calda atmosfera dal sentore di fritto del fast food. Sollevò una mano e Lisa le batté il cinque.
– Sì, però a Oltreconfine ci torno a modo mio – l'avvertì Lisa una volta fuori dal locale, nell'aria fresca della sera brulicante dei canti di cicale. – Ora come ora, vestita a questo modo, nemmeno la regina dei demoni potrebbe convincermi a tuffarmi in un lago assieme a te, e guai se ti azzardi a dire "sposa bagnata, sposa fortunata"!

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