lunedì 15 maggio 2023

Il Faro della Fenice


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Rostislav Uzunov da Pexels


Non avevo mai raccontato a nessuno quella parte del mio viaggio, prima di parlarne a Sara.
Era semplicemente troppo doloroso da esprimere a parole.
Ero partito poco tempo dopo la morte di mia madre e il mio ingresso nel gruppetto eterogeneo degli ibridi che Julian aveva attirato attorno a sé e tenuto unito, sebbene il mio "poco tempo" sarebbe parso assai lungo in termini umani. Sapevo fin da bambino che lei mi avrebbe lasciato troppo presto, e che la nostra discrepanza nel percepire lo scorrere del tempo mi avrebbe causato dolore nel vederla invecchiare precocemente come non sarebbe mai accaduto a un elfo quale io ero per metà. Ero ancora poco più che un ragazzo quando Julian mi trovò, il giorno in cui i miei ex compagni di giochi, che sarebbero rimasti bambini ancor più a lungo di me, mi avevano denigrato e umiliato.
Allora fui felice di trovare in lei e nella compagnia degli Erranti una famiglia, ma con il tempo scoprii che nemmeno tra di loro ero davvero del tutto a mio agio, come non lo ero stato tra gli elfi e non lo ero stato tra gli umani.
Gli Erranti erano quasi tutti combattenti, addestrati nelle armi o nell'uso della magia che proveniva da una parte della loro ascendenza. Io, invece, non avevo mai preso in mano un arco o una spada prima di allora, e per quanto mi sforzassi, non ero mai riuscito a combinare granché con la magia degli elfi.
Per questo mi offrii volontario quando Julian chiese ad alcuni di noi di intraprendere un viaggio verso gli angoli remoti della terra per cercare altri come noi, solitari dal sangue misto, ripudiati dalle stirpi da cui discendevano.
Gente così ce n'era ovunque, disse Julian, a sud, a nord, a est e ad ovest.
Io scelsi di viaggiare incontro al sole.
Non dirò degli altri che ho incontrato lungo il mio cammino, ai quali parlai di Julian e di come raggiungerla, se lo avessero voluto. Julian aveva ragione, erano davvero in tanti coloro che si trovavano nella mia stessa situazione, e sapere che non eravamo soli rincuorò me e loro. A Sara non ne parlai, se non brevemente, citando coloro che avevo ritrovato tra gli Erranti al mio ritorno.
A lei dissi di quando raggiunsi l'Ultima Costa prima del Mare dell'Alba.
Sapevo del Faro della Fenice prima ancora di arrivarci, perché me ne avevano parlato nelle locande e nelle case contadine in cui mi era stato offerto rifugio durante la notte. Mi avevano avvertito che era meglio raggiungere il faro di giorno, e non fermarsi nei pressi dopo il tramonto del sole.
Ma io non diedi loro ascolto, e arrivai al promontorio su cui sorgeva il faro in piena notte. Compresi allora perché mi avevano avvertito di non farlo. Lo spettacolo che mi si parò davanti era di una bellezza sublime, incomparabile.
Sotto un cielo dipinto di scintille brillanti, alla luce effimera delle scie tracciate dalle stelle cadenti, rispondeva il bagliore di fuoco del faro. E quello che ardeva sulla sommità della torre non era un fuoco qualunque. Era un enorme volatile dalle ali di fiamma spalancate, e in quel fuoco splendeva l'eternità.
Caddi in ginocchio e piansi, e non credo che fu soltanto per la parte di elfo che era in me che percepii in quel modo l'immagine della Fenice. Credo che qualunque uomo mortale avrebbe avuto la mia stessa reazione.
Non mi accorsi nemmeno del sorgere del sole. Non so quando la fiamma del faro si spense. So solo che era giorno quando la guardiana del faro scese dal promontorio ad accogliermi.
E lì ebbi la mia seconda visione sconvolgente.
Con mia grande sorpresa, la guardiana del faro aveva lo stesso aspetto di mia madre per come io la ricordavo nei nostri anni migliori, quando lei era ancora giovane.
Per un istante pensai che fosse tornata dalla morte. La percezione di eternità che mi aveva sopraffatto nell'osservare la Fenice, mi prese di nuovo alla vista di quella donna che pareva appena riemersa dal passato.
Poi mi dissi che non poteva essere, che forse la guardiana del faro le somigliava soltanto, ma anche così non riuscii a tollerare di separarmi da lei. Rimasi per mesi al suo fianco, dimentico della mia missione, e accettai senza remore la sua unica regola di non seguirla quando di notte saliva sulla sommità del faro a occuparsi del fuoco.
Solo uno stupido non avrebbe compreso che lei era la Fenice che brillava nella notte.
Un giorno, molti mesi dopo il mio arrivo, la guardiana del faro mi chiese chi vedevo quando la guardavo. La domanda mi sorprese, finché non mi spiegò: – Ogni uomo o donna vede in me una persona diversa. Qualcuno che hanno perso, qualcuno caro al loro cuore strappato loro dalla morte: un'amante, una sorella, un'amica, una figlia. Tale è il potere della Fenice, la sua maledizione: il ritorno dalla morte, sebbene tale ritorno sia solo un'illusione. – La guardiana, nel rivelarmelo, si fece triste. Volse lo sguardo fuori dalla finestra del faro, verso l'oceano. – Solo uno non ha mai visto altri che me in me. E non perché non fosse stato toccato dalla morte dei suoi cari. Ma solo perché ha saputo guardarmi con occhi nuovi, puri, senza fardelli dal passato.
La guardiana sospirò, e io mi vergognai di non essere stato in grado di fare altrettanto, e di averle imposto una forma che non le apparteneva. Ma anche allora, anche sapendo quello che lei mi aveva detto, non ero in grado di lasciar andare mia madre.
– Gli è stato comandato di partire, e da allora non l'ho più visto. Non so nemmeno se mi raggiungerà in tempo per un ultimo abbraccio. I miei giorni stanno per scadere, lo sento.
La guardiana del faro mi disse che viveva da molto tempo, da migliaia di anni, da quando era stata scelta per quel ruolo e la precedente Fenice le aveva trasmesso la sua maledizione. Aveva guidato i marinai in porto secolo dopo secolo con la sua luce nella notte, ma ultimamente le era sempre più difficile riprendere la forma umana all'alba, e spesso il suo fuoco perdurava nelle prime ore del giorno. Presto, per lei, sarebbe giunto il tempo di morire e di scegliere un'altra fanciulla a cui passare la maledizione della Fenice e il suo ingrato compito, o di ribellarsi, gettarsi tra le onde del mare e spegnere per sempre il fuoco dell'eternità.
Era un'ardua scelta. Rimasi con lei fino al compimento di quell'ultimo atto, ma non riuscii mai a raccontare a Sara, né a nessun altro, quale fu la decisione della Fenice.

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