lunedì 29 maggio 2023

Tutto è possibile in un sogno


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Serena Koi da Pexels


– Quello di cui ho bisogno, ora, è una mappa della città.
Il ragazzo che era uscito dal mio sogno di guardò intorno con circospezione nella luce della tarda mattinata che si rifletteva sulle vetrate dei palazzi. Ero riuscita a convincerlo a indossare un paio di occhiali da sole, dimenticati in casa nostra dal tizio che aveva frequentato una delle mie coinquiline, per nascondere agli sguardi dei passanti i suoi occhi color arcobaleno; ma non ero riuscita a convincerlo ad abbandonare il suo antiquato e formale costume di scena in favore di un abbigliamento con cui sarebbe potuto passare inosservato, né a lavarsi il viso dal trucco che ricreava due file di figure geometriche parallele, tracciate in nero sulla pelle, che intersecavano gli occhi e si allungavano sopra e sotto le palpebre, sulla fronte e sulle guance. E nemmeno mi aveva dato retta quando gli avevo detto di lasciare a casa guanti bianchi e cappello a cilindro, che perlomeno in quel momento tratteneva in mano invece di aver ben calcato in testa, tra spettinati ciuffi di un biondo platino così chiaro da parere bianco, come il più eloquente dei cartelli: "guardatemi, sono o non sono il tizio più strambo che abbiate mai visto?"
Certo che, per uno che era in fuga da uno stuolo di ombre assassine, si faceva notare fin troppo.
– Dunque – dissi, mostrandogli il cellulare su cui avevo impostato la nostra posizione su Google Maps. – Noi siamo...
– Non è quello che intendevo – replicò lui, lanciando occhiate ansiose a destra e a sinistra. – Una vera mappa. Di carta, di pergamena, di stoffa, o su un altro supporto fisico. Questo riquadro minuscolo e irreale non è la stessa cosa.
Non volle ascoltarmi quando gli dissi che poteva spostarsi, allargarla, restringerla, e farci tutto quel che gli serviva sullo schermo. Inoltre, proprio lui che veniva da un sogno parlava di cos'era reale e cosa no!
– Non posso trovare lì il luogo che sto cercando – tagliò corto lui. – E ti ricordo che dovremmo cominciare a muoverci: non è sicuro restare troppo a lungo nello stesso posto.
– Ehi, guarda che questa meraviglia è aggiornatissima! – protestai, agitando lo smartphone. Lui mi fissò inespressivo, senza parlare. Maledetti occhiali da sole. – E va bene, mi arrendo, andiamo a cercare la tua mappa!
Mi girai e allungai la mano come per prenderlo sottobraccio, ma all'ultimo ci ripensai e mi limitai a stendere il braccio per indicargli la direzione. Il ragazzo venuto da un sogno mi era già parso fin troppo bizzarro e fuori posto quando eravamo a casa, e per strada sembrava ancora di più un'allucinazione. Se altri non si fossero girati a fissarlo nel passargli accanto, avrei quasi potuto pensare che lo stavo immaginando.

Passammo ben sei cartolibrerie e due edicole prima di trovarne una che vendeva ancora cianfrusaglie da turista come cartoline, guide ai monumenti della città e soprattutto piantine pieghevoli, del tipo che, come rammentavo dai miei anni d'infanzia, erano un incubo da mettere via. Seguendo la filosofia del mio accompagnatore, secondo cui era meglio non stare fermi nello stesso posto per troppo tempo, dato che ci eravamo trattenuti un po' sul luogo dell'acquisto camminammo fino al parco prima di poter consultare la mappa. Risultò anche più comodo poterla spianare su un tavolo da pic-nic.
Il ragazzo dagli occhi arcobaleno individuò subito dove eravamo, poi puntò le dita su altri luoghi, e tracciò con le mani delle linee dritte lungo le vie della città, o in diagonale attraverso gli edifici. E intendo proprio tracciò, perché sulla carta i suoi polpastrelli lasciarono scie nere come se li avesse intinti nell'inchiostro.
Lo osservai attentamente, in silenzio perché sembrava estremamente concentrato su ciò che stava facendo e io non volevo distrarlo.
– Trovato – disse lui infine, indicando un punto dove diverse linee si incrociavano.
Lo riportai su Google Maps, ma l'applicazione non mi rivelò alcun esercizio commerciale o altro che valesse la pena di riportare, perciò non riuscii proprio a capire dove stavamo andando.
Le scie nere si fecero evanescenti fino a svanire mentre lui ripiegava la mappa, e ci riuscì perfettamente, al primo colpo. Se non era magia quella...
Non ebbi il tempo di chiedergli nulla perché a quel punto lui si mosse e io gli andai dietro, e anche se ero io quella con lo smartphone dotato di navigatore, fu lui a guidare me con sicurezza lungo le vie e attraverso gli incroci, come se avesse memorizzato la mappa che, una volta esaurito il suo compito, era finita nella mia borsa.
Gli chiesi in svariate occasioni, lungo la strada, di dirmi dove stavamo andando o che cosa aveva cercato sulla mappa, ma lui ogni singola volta glissò sull'argomento con la stessa lieve eleganza da acrobata con cui camminava. E più lo guardavo e più evitava di rispondermi, e meno io sapevo se in fondo in fondo lo ammiravo, o se mi faceva proprio imbestialire. Nel frattempo, andando verso la periferia, le strade si erano fatte meno affollate di turisti e studenti e più popolate di tizi loschi che bighellonavano sui marciapiedi, da soli o in gruppetti, fumando nell'aria impregnata dell'odore di cibo speziato e lingue straniere provenienti dai ristoranti etnici e dalle botteghe ingombre di merci di infima qualità che si affacciavano sulla via. E io iniziai a pensare che lui non aveva voluto dirmi niente, perché quello che eravamo venuti a cercare in quella parte della città non era poi tanto legale.
Rimasi molto sorpresa quando, imboccato un vicolo, il ragazzo dagli occhi arcobaleno si fermò di fronte alla porta a vetri di una libreria di testi usati.
Era impossibile sbagliarsi, perché la piccola vetrina che affiancava la porta era ingombra di libri male assortiti dalle pagine ingiallite. Ma se era solo un libro quello che gli occorreva, perché fare tutta questa strada?
Il ragazzo dagli occhi arcobaleno si tolse gli occhiali da sole, li ripose nel cilindro e lo piazzò in testa prima di entrare.
Io ero talmente sorpresa che non protestai nemmeno. Lo seguii, e basta.
Tra gli scaffali ci venne incontro un vecchietto che camminava curvo, appoggiato a un bastone. La sommità della sua testa era calva, ma dietro le orecchie e sulla nuca resistevano ancora lunghi ciuffi di capelli bianchi.
– Cosa posso fare per lei, signore? – disse l'anziano proprietario, rivolgendosi direttamente, in tono ossequioso, al ragazzo dagli occhi arcobaleno, mentre ignorò totalmente me. – Cerca qualcosa in particolare?
– Sì. Avete un libro sull'arte circense? – chiese il ragazzo che avevo conosciuto come trapezista barra illusionista barra lanciatore di coltelli nei numerosi sogni di cui era stato protagonista. E io che credevo che il nostro viaggio avesse qualcosa a che fare con l'aiutarlo a tornare da dove era venuto, o almeno con l'evitare gli assassini che già una volta lo avevano attaccato mentre nel frattempo cercavamo di rimettere le cose a posto.
– No, sono spiacente, ma quel libro non ci è mai stato venduto – riferì il libraio in tono contrito, e seguendo i suoi sguardi di sottecchi, rivolti indietro, individuai la figuretta di un'anziana signora dai capelli altrettanto candidi, che ci sbirciava timida e silente da dietro uno scaffale ingombro di vecchi volumi. – Il suo proprietario ne è estremamente geloso, signore.
Il mio accompagnatore levò gli occhi al cielo. – Immaginavo che non poteva essere così semplice. Bene. Posso dare un'occhiata?
L'anziano si fece da parte e allungò un braccio a invitarlo a camminare liberamente tra gli scaffali. Il ragazzo dagli occhi arcobaleno si aggirò lento, con me che lo seguivo dappresso e mi chiedevo che cavolo ci fossimo venuti a fare lì. Non sembrava nemmeno più morso dalla frenesia di non stare troppo tempo in un posto solo, mentre pigramente leggeva i titoli di una profusione di testi male assortiti, che stonavano messi l'uno accanto all'altro senza alcuna logica, né per dimensioni e colori, che vedevano un libro basso e gonfio di pagine accanto a uno alto e sottile, una copertina dai toni vivaci e i caratteri sbarazzini del titolo infilata in mezzo a tomi seriosi rilegati in pelle e stampati in lettere dorate, né per argomento o per autore, dato che saggi e romanzi sembravano mescolati assieme e l'ordine alfabetico non era proprio di casa in quella libreria. Dopo aver preso, sfogliato e rimesso a posto più di un testo, il mio accompagnatore sembrò infine trovare ciò che cercava in un volume dedicato all'Egitto, protetto da una sovracopertina in carta lucida con un'enorme foto della Sfinge con le tre piramidi.
Il ragazzo dagli occhi arcobaleno si voltò e disse al libraio, che ci aveva seguito per tutto il tempo: – Prendo questo.
– Ottima scelta, signore – fece l'anziano con un sorriso sornione. – Per consultazione, o da portare via?
– Consultazione – replicò svelto il ragazzo, il che mi fece pensare che forse mi ero sbagliata, che non eravamo in una libreria ma in una biblioteca.
– Da questa parte, signore – lo invitò l'anziano libraio o più probabilmente bibliotecario, mentre ci conduceva più in profondità nel labirinto di scaffali. Dietro di noi, la figura femminile di quella che immaginai essere sua moglie ci tallonò restando in silenzio e al riparo oltre le schiere di libri.
Pensavo ci avrebbe portato in una sala di lettura, e invece l'ometto ci condusse a un'alcova dove stava incassato un divanetto ingombro di cuscini alle due estremità, abbastanza lungo da poterci stare comodamente sdraiati. Nessun tavolo dove appoggiare il libro. Piuttosto strana come sala di lettura, considerando anche che la vetrata istoriata alle spalle del divanetto e le stringhe di luci a forma di stelle appese sopra gettavano la zona in una penombra variopinta.
Il ragazzo fece per andare verso il divano, ma con un gesto imperioso l'anziano lo bloccò: – Ah-ha. Pagamento anticipato, signore.
Forse, dopotutto, quella non era una biblioteca.
Il mio accompagnatore sospirò e strinse la mano che il libraio gli tendeva. Rimasero qualche istante così, senza scuoterle, poi si lasciarono e il ragazzo si affrettò verso il divanetto, e il suo passo non mi parve più così elegante e leggero come prima. Quasi incespicò sui suoi piedi prima di lasciarsi cadere tra i cuscini.
Quando tentai di raggiungerlo, venni bloccata allo stesso modo.
– Se intendi consultare anche tu il testo, devi pagare. Ogni consultazione si paga personalmente.
Mi irritò che non ci fosse un "signora" e un tono ossequioso anche per me, ma feci spallucce e gli strinsi la mano. Che male poteva farmi una semplice stretta?
Troppo tardi rammentai che nel mondo del ragazzo dagli occhi arcobaleno, niente era quel che sembrava e i pagamenti non avvenivano mai in denaro. Non ci avevo fatto caso perché al contrario delle altre volte in cui lo avevo incontrato, lì eravamo svegli, nella realtà e non in un sogno, ma agli spettacoli del circo dove lui lavorava si accedeva cedendo un ricordo. In questo caso, sentii fin da subito la stanchezza invadermi il corpo e le spalle farsi pesanti.
Quando il libraio mi lasciò, andai a buttarmi anch'io sul divano.
– Avrei dovuto avvertirti. I Guardiani hanno bisogno di energia per continuare a esistere – spiegò il ragazzo in tono di scuse. – Ma pensavo si sarebbero accontentati della mia. Quel che possono ricavare da te è poca cosa in confronto, e non credevo avrebbero preteso anche le briciole.
Presuntuoso, pensai, scoccandogli un'occhiata. "E ora che si fa?" volevo dirgli, ma le parole si mescolarono in un mugolio confuso sulla mia lingua. – Eicrasfà?
Lui, in qualche modo, sembrò capire.
– Ti sei mai addormentata sul divano con un libro sulle ginocchia?
– Oh – mormorai io. In quel momento, finalmente, la nostra uscita a far compere, e tutto in quell'ambiente raccolto, assumeva un senso, e si ricollegava alla nostra incapacità di addormentarci, e quindi di riportarlo nel suo mondo, che ci aveva piagato quella mattina.
Forse fu l'aver ceduto parte della mia energia al libraio, o lo sfogliare lento e frusciante delle pagine del libro, zeppo di molte fotografie e di poche parole, o la scarsa luce liquida di quella penombra che variava in bagliori variopinti come se le figure nella vetrata fossero in movimento, ma non fu difficile prendere sonno. L'ultima cosa che ricordo prima di addormentarmi furono la coppia di anziani, ora vicini, che di fronte ai miei occhi si stringevano le mani, e pensai bizzarramente ma forse non a torto che quella non fosse una semplice dimostrazione d'amore, ma che stessero condividendo il pagamento.

Aprii gli occhi sulla riva di un fiume che scorreva tra dune di sabbia. Sentivo i granelli caldi scivolare sotto ai miei piedi, il liquido scorrere del fiume, l'odore vegetale degli steli del papiro e la fragranza dei fiori di loto. Era tutto troppo reale per essere un sogno, tanto che in principio pensai che il libro ci avesse davvero, magicamente, trasportati in Egitto. Ma poi sparsi alle mie spalle e attorno a noi scorsi decine di piramidi, obelischi e templi dalle colonne decorate di geroglifici e affreschi dai colori vivaci, troppo belli, troppo perfetti, troppo nuovi rispetto alle foto che li ritraevano in rovina, erosi e sbiancati dal tempo.
Sulla riva del fiume, poco più in là, scorsi il cappello a cilindro calcato sulla testa del mio accompagnatore. Stava parlando con altre due figure, un uomo e una donna nel fiore degli anni, con gli occhi dipinti alla maniera egiziana, come si vedeva spesso nelle statue o nei sarcofagi, lunghi capelli neri, abiti discinti che lasciavano scoperta gran parte della loro pelle abbronzata, gioielli dorati al collo, sulle braccia e tra la chioma, e nella mano di ognuno, un'asta sormontata da un ankh, la croce egiziana. Ma la cosa più strana era che i due avevano, sulla sommità della testa, un paio di lunghe orecchie da sciacallo. Non appena li vidi seppi con certezza, come solo in un sogno è possibile ricordare senza ombra di dubbio eventi mai avvenuti, che nonostante apparissero tanto diversi, quei due erano il libraio e sua moglie.
– ...creati a difesa dello spazio tra i mondi, fatti per custodire l'accesso a ogni possibile universo, esistenti contemporaneamente in ogni luogo, eppure... siete rimasti a guardare – li stava accusando il ragazzo dagli occhi color arcobaleno, con freddezza, senza rabbia.
A rispondergli fu la donna, molto più loquace in questa forma e nel mondo, o sogno, in cui ci trovavamo. Ma quando parlò le sue labbra non si mossero, e la sua voce parve risuonare da tutto il suo corpo, riverberando nel vento caldo del deserto e nello sciabordio del fiume sulla riva.
– Generati per essere una forza neutrale, non per prendere le parti di alcuno, signore, neppure... quella di chi ci ha voluti – disse la donna, ricalcando con un'ombra di derisione il suo tono e la sua pausa.
– Che succede? – chiesi nel raggiungerli, ma tutti e tre mi ignorarono come se non esistessi. Tipico dei sogni, ma certe volte, anche della realtà.
– Ma non è per recriminare sul nostro operato che il signore è venuto in cerca del nostro ausilio – si intromise l'uomo, e anche la sua voce venne contemporaneamente da dentro e fuori di lui, più che dalla sua bocca.
Indicando il fiume con l'ankh sopra il suo bastone, la donna disse: – E che ha scelto, tra tutte le mete possibili, proprio queste sponde. Ha pagato, può prendere ciò che è venuto a prendere, se lo desidera. Non sta a noi giudicare la sua codardia, così come non sta a lui criticare la nostra saggia e onesta mancata intromissione in questioni che non ci riguardano.
Alla faccia del non giudicare. Sbirciai il ragazzo, che a quelle parole si era rabbuiato.
– Non sono ancora pronto ad affrontarli – borbottò lui.
I Guardiani, così lui li aveva chiamati, gli rivolsero un sorrisino sfrontato, poi l'uomo si appoggiò con un braccio sulla spalla della donna e replicò: – Se non è pronto ora, non lo sarà mai.
Il ragazzo dagli occhi color arcobaleno scosse la testa e sibilò: – Ci sono troppe cose che voi non sapete per sputare sentenze così alla leggera. Fatevi da parte, piuttosto, visto che è ciò che vi riesce meglio.
I guardiani si spostarono di lato, ma mentre gli lasciavano libero il passo, la donna mormorò divertita: – Curioso che proprio il signore parli di oblio.
Il mio accompagnatore non lo chiese, forse per orgoglio, ma io sì. Ero troppo curiosa, e volevo capirci qualcosa in quella serie di allusioni da cui mi avevano esclusa. – Che intendete dire?
Miracolosamente, questa volta, i due sembrarono accorgersi che avevo parlato, e si presero pure la briga di rispondermi. – Noi sappiamo più di quanto egli non sappia. Ricordiamo ciò che è stato dimenticato. In ogni luogo, e in ogni tempo.
Anche se mi avevano rivolto la parola, quei due non smettevano di essere criptici. Mi permisi di giudicarli, visto che sembravano tutti in vena di farlo, valutando che la loro mancanza di chiarezza li poneva ai miei occhi nella categoria dei tizi loschi e poco raccomandabili.
Nel frattempo il ragazzo dagli occhi arcobaleno se ne stava in piedi sulla sponda, immobile, la mano verso un fiore di loto che si ergeva dall'acqua. Era come se si sforzasse, bloccato da qualcosa di invisibile. Ma io, che avevo già visto fin troppe volte le scenette di un mino per non riconoscerne una, dopo un paio di minuti di smorfie e sforzi simulati persi la pazienza.
– Oh, insomma! – sbottai nell'affiancarlo, chinarmi verso il fiore e strapparlo dalla pianta. Lo ficcai nella mano tesa del ragazzo, che in quel momento si sbloccò e lo strinse. – Ci voleva tanto?
– Interessante – commentò il Guardiano dalle sembianze maschili, nell'avvicinarsi a noi.
E la donna disse: – Tu desideri che lui se ne vada più di quanto lui desideri correre a rintanarsi nel suo rifugio. Forse ci siamo sbagliati, una parte del signore ancora ricorda, e c'è ancora speranza.
– Che se ne vada? Certo che lo vogl...
Non feci in tempo a terminare la frase, che mi svegliai di soprassalto. Ero seduta nel vicolo tra cumuli di immondizia. Accanto a me, con la stessa faccia stralunata di sonno, il ragazzo dagli occhi arcobaleno mi fissava. Stringeva tra le mani non un fiore di loto, bensì un sacchettino di iuta gonfio e stretto da una cordicella. "Polvere di sogno" mi spiegò più tardi, estratta dal fiore di loto che cresceva solo in quell'universo bolla così simile a una versione onirica dell'antico Egitto, di enorme utilità per addormentarsi a comando e plasmare i sogni lucidi. Quello avrebbe risolto i nostri problemi, ma al momento ancora non lo sapevo: tutto quel che mi disse era che dovevamo muoverci, perché eravamo fermi lì da troppo tempo.
Passando accanto al negozietto che era stata la libreria di testi usati, la trovai completamente vuota, un negozio abbandonato con i vetri sporchi l'insegna scrostata e un vecchio cartello con scritto "vendesi", tanto che mi chiesi se anche quella parte non l'avessi vissuta in un sogno.
– Ora capisci perché non potevo trovare quello che cercavo con quel tuo arnese tecnologico? – mi rinfacciò il ragazzo venuto da un sogno, che pareva aver ritrovato la sua andatura leggiadra dopo il sonnellino ristoratore, così come io avevo ritrovato la voce. – Solo leggendo una vera mappa si può arrivare in certi posti.
– Nei posti che esistono per un momento soltanto e poi svaniscono, intendi? – indagai, trottandogli dietro. Si era rimesso gli occhiali, e aveva nascosto il sacchettino nel cilindro che aveva ripreso in mano, e non mi sarei sorpresa se avessi scoperto che aveva un doppio fondo come ogni bravo cappello da prestigiatore. – Oppure in quelli che non sono mai esistiti se non in un sogno?
Lui non mi rispose. Mi strinsi nelle spalle. Chissà, tutto era possibile in un sogno, ma da quando lo avevo involontariamente tirato fuori da uno di essi, non mi sembrava più un azzardo affermare che qualcosa di incredibile era possibile anche nella realtà.

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