lunedì 1 maggio 2023

L'emporio dell'Incanto


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L'idea fu di Atena, ma io la trovai magnifica. Era anche un azzardo, intendiamoci, però era magnifica.
D'altra parte sapevo che con le consulenze, gli oroscopi e la cartomanzia non sarei riuscita a sostentarmi, e i casi in cui veramente le mie speciali competenze erano di una qualche utilità erano rarissimi.
Perciò aprire un negozietto di articoli dell'occulto era la cosa migliore che potessimo fare. Sarebbe stato come accedere un faro in una notte di tempesta. Io e Atena ci eravamo incontrate per caso, ma con un luogo simile a nostra disposizione sarebbe stato più facile trovare altri come noi, o altri che avevano bisogno di noi. Per il resto del mondo, il nostro negozio sarebbe stato solo l'ennesima bottega pittoresca in cui entrare per guardarsi attorno tra file di candele e ciotole di cristalli, respirare il profumo della salvia e dell'incenso, sfogliare un libro sulla simbologia dei segni zodiacali e magari acquistare un acchiappasogni, o una tartarughina di giada da regalare a un'amica.
Lo spazio che eravamo riuscite ad affittare era piccolo, con l'ingresso che si affacciava su una strada secondaria, ma una vetrina graziosa come una finestra su una via principale e piuttosto frequentata. Avevamo cercato, per quanto possibile, di arredare il poco spazio a nostra disposizione in modo confortevole, con file di scaffali lungo le pareti, qualche tavolino su cui mettere in mostra i pezzi in offerta e i libri consigliati, un paio di poltroncine e un salottino in un angolo riparato dove potevo offrire in privato le mie consulenze. Non mancava il bancone, ovviamente, e il registratore di cassa, ma era sistemato in modo da non essere subito evidente. Il risultato era che più che un negozio, quello sembrava un ambiente domestico, una stanza di casa in cui accogliere gli ospiti.
Sia io che Atena avevamo visitato più di un negozio o libreria dell'occulto nel corso degli anni, e ciò che avevamo sempre notato, oltre al fatto che nessuno dei proprietari o commessi che vi lavoravano aveva il benché minimo segno di un incantesimo che tingeva la loro aura, era che l'atmosfera prevalente che vi si respirava era di una certa cupezza, di mistero, di Halloween. Come se la magia non potesse prescindere dai teschi di cristallo, dai tappetini di velluto nero con i pentacoli in argento, e dalle bacchette magiche di plastica.
Quando ne avevamo parlato, nel progettare il nostro emporio, io e Atena avevamo riso di quelle trappole per creduloni. E avevamo deciso, fin da allora, che non volevamo aprire l'ennesima rivendita di souvenir di provenienza industriale, e che seguire gli stereotipi associati alla magia non ci avrebbe giovato.
Certo, sarebbe stato facile seguire la massa, ci avrebbe reso subito riconoscibili agli occhi dei curiosi, mentre l'aspetto arioso e luminoso della nostra bottega la accomunava più a un negozio di bomboniere o oggetti d'artigianato. L'insegna, tuttavia, con la scritta "L'emporio dell'Incanto" affiancata dai nostri simboli, una civetta e una luna, ci sembrò un'indicazione sufficiente per far comprendere il genere di articoli che trattavamo.
Pioveva, il giorno dell'inaugurazione. Lungi dall'essere una seccatura, per noi fu una benedizione. Altrimenti Maris non si sarebbe mai rifugiata nel nostro negozio trascinandosi dietro suo padre.
Appena li guardammo Atena e io capimmo subito che, a differenza del gruppetto di ragazze capitate nel mattino a curiosare e chiedere ciondoli del loro segno zodiacale, o in assenza di questi, con la pietra associata ai loro segni, Maris e John erano arrivati nel posto giusto.
Lo avrebbe capito anche un profano, anche senza vedere le venature scure che si addensavano nell'aura della bambina, anche senza percepire la tensione elettrica e l'odore di bruciato che emanava inspiegabilmente.
Solo quando la porta si fu chiusa, solo allora, tutte le campane a vento si misero ad agitarsi e a trillare all'unisono.
– Una maledizione – mormorai ad Atena, che a differenza di me non ne aveva mai vista una.
John doveva avermi sentito, perché all'espressione sorpresa con cui ci aveva fissate fin dal suo arrivo si sostituì un sospiro di sollievo.
La sua aura era era chiara, trasparente, ma supposi che dovesse avere un potere latente, mai esercitato, o che avesse almeno il dono di vedere oltre la realtà comune, poiché sembrava consapevole di ciò che affliggeva la figlia, come lo era stato della nostra particolarità fin da quando aveva scorto le nostre aure tinte del bagliore argenteo di un incantesimo di protezione, e la magia che impregnava molti degli oggetti in vendita.
– Voi... potete aiutare, vero? – chiese in un sussurro, appena udibile sopra allo scroscio soffocato della pioggia fuori dalla porta. Parlava bene la nostra lingua, ma con un gradevole accento straniero.
Chiusi il volume sulle erbe officinali che avevo sfogliato fino a quel momento, annuii e mi avvicinai per presentarmi e rassicurarlo.
Dietro il bancone, Atena si raddrizzò e soggiunse, in tono divertito a dispetto della situazione drammatica in cui si trovavano i nostri ospiti: – Bene, vado a prendere la mia ramazza. A quanto pare, abbiamo del lavoro da fare!

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