lunedì 22 maggio 2023

In treno con Arte


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Ivan Samkov da Pexels


Avevamo un intero treno solo per noi.
Quando me lo dissero, ne fui scioccato. Non sapevo quanto costasse far muovere uno di quegli affari, intendo, un autentico antico treno a vapore su veri binari. Ormai solo il turismo di lusso li utilizzava ancora, mentre tutto il resto del mondo, i comuni mortali, se ne stavano pigiati come sardine nei convogli a levitazione magnetica delle intermetropolitane, che attraversavano a tempo di record i continenti in tunnel sotterranei pressurizzati.
Un intero treno per un singolo ospite d'onore e il suo entourage, che consisteva in una trentina di persone in tutto. Non conoscevo ancora ognuno di loro, non di persona, ma avevo visionato le loro schede e tutte le registrazioni disponibili in cerca di eventuali anomalie da segnalare al mio diretto superiore, nonché per essere in grado di riconoscere un infiltrato alla prima occhiata. E non importava che quella stessa operazione l'avesse già fatta il mio capo e ogni altro membro della scorta prima di me. Io avevo un talento speciale che nessun altro possedeva.
Anche se pensavo di essere sprecato per quella missione da babysitter.
Ero entrato a far parte del servizio di sicurezza senza nemmeno volerlo, quando al termine di una precedente missione pericolosissima e top secret avevo ricevuto un encomio, l'attenzione dei piani alti, e la raccomandazione di partire per una vacanza il più lontano possibile dal luogo della mia ultima missione. Quello, oppure accettare una missione della massima importanza dall'altra parte del mondo.
Avevo accettato la missione senza nemmeno sapere di che cosa si trattasse.
E così mi ero ritrovato alle dipendenze del capo della sicurezza Alfa, seduto comodamente a un tavolo del vagone ristorante dalle pareti adorne di quadri tra un finestrino e l'altro, finestrini rigorosamente schermati da pesanti tendaggi perché sia mai che la nostra ospite possa inavvertitamente vedere la bruttezza di una periferia urbana deturpata da rifiuti e graffiti, o una vecchia foresta malamente disboscata, col terreno perforato dagli scavi per le cave.
Il ritmico sferragliare del treno, le luci soffuse e le chiacchiere lievi degli altri membri del seguito mi metteva un po' di sonnolenza. Io e Alfa avevamo già controllato ogni persona e ogni centimetro delle 11 carrozze che costituivano il treno, e così non c'era molto da fare fino all'ingresso in scena dell'attrice principale. Arte, così chiamavano colei a cui dovevo fare da scorta, ci sarebbe stata consegnata dalla squadra Beta solo alla stazione successiva, perciò mi permisi di abbioccarmi finché non fossi stato ufficialmente in servizio.
Mi svegliò, prima ancora del fischio del treno che arrivava in stazione, la sensazione di pericolo che ormai mi era fin troppo nota. Feci appena in tempo a gettarmi di lato prima che un proiettile ultrasonico si conficcasse in un pannello sistemato alle mie spalle.
– Chiedo perdono – mormorò Alfa sogghignando sotto i baffi. – Ma volevo scoprire se era vero quello che si dice di te, che dormi con un occhio aperto.
Ovviamente Alfa sapeva che non era stato il mio modo di dormire ad avermi salvato. Nessun uomo avrebbe potuto schivare un proiettile ultrasonico. Nessun uomo privo del talento di percepirlo in anticipo.
L'improvviso rallentare del treno destabilizzò uno degli agenti di scorta che si era alzato in piedi in previsione dell'arrivo, e la cameriera che si aggirava tra i tavoli, ma non me. Come con il proiettile, anche quello lo avevo previsto. Prima di alzarsi a sua volta, Alfa si toccò l'auricolare, poi mormorò: – Hanno attaccato un altro Assoluto. La faccenda si fa seria.
– Nulla di grave, spero.
– Solo una lieve ferita, Amor guarirà. Guarisce sempre. Piuttosto... – Alfa si voltò e alzò la voce. – Tutti quanti, è ora di indossare gli occhiali schermanti. Non fatemi venire a raccogliervi dal pavimento in preda all'estasi mistica come novellini, andiamo!
Non c'era bisogno che lo dicesse: già la maggior parte dei presenti, abituati ad accompagnare Arte nei suoi viaggi, al primo rallentare del treno avevano indossato quella protezione che faceva assomigliare i loro volti a quelli di tante mosche dai grandi occhi. Il treno fischiò di nuovo, e i freni stridettero dando un altro contraccolpo al vagone. Mi affrettai ad agganciarmi i miei dietro la testa, subito imitato da Alfa.
Avevo sentito quello che si diceva di Arte, che la vista anche soltanto di una piccola parte del suo corpo era in grado di paralizzare un uomo che non fosse stato addestrato alla sua contemplazione. Solo gli Artisti potevano osservarla impunemente, e trarre da lei ispirazione. Non esistevano fotografie, era assolutamente proibito farne, e anche nei filmati che avevo visionato prima di quel viaggio, Arte era apparsa solo come un'ombra indistinta, tanto che era difficile persino per me leggere qualcosa dei suoi pensieri e delle sue intenzioni. Di lei sapevo solo quello che si diceva nei circoli degli Artisti, che il suo corpo fosse la somma di ogni opera pittorica mai realizzata, o che fosse quasi più simile a una statua che a un essere umano. Non mi era difficile crederlo, Arte era un Assoluto, uno di ultima generazione, tra i più perfetti mai creati. Un essere generato artificialmente a partire da DNA umano selezionato e migliorato, infuso per tutto il tempo della sua crescita con l'essenza di ciò che era chiamato a rappresentare. Non ero sicuro che Arte e gli altri Assoluti si potessero ancora definire umani, ma ero curioso di scoprire che impressione mi avrebbe fatto uno di loro.
Non avevo mai visto un Assoluto, non almeno uno che non mi guardasse da dietro la superficie di uno specchio. Un mio simile.
Non erano in molti a saperlo, perché all'epoca il progetto era ancora segreto, e mi era stato assegnato un nome comune e un passato plausibile, ma io sono uno dei primi Assoluti mai creati, Intuito. Assieme a me erano nate Logica, Conoscenza e Persuasione, ma non mi era mai stato permesso di incontrarle o di sapere chi o dove fossero. Sebbene, a differenza di Arte e degli altri come lei, noi primi apparissimo in tutto e per tutto umani, ero certo che con la mia dote le avrei riconosciute se le avessi incrociate per strada o anche solo viste in foto. Ma ciò non era mai avvenuto, e io non avevo usato il mio talento per rintracciarle.
E ora stavo per incontrare Arte. Solo perché qualcuno le aveva inviato lettere minatorie, così com'era avvenuto con altri Assoluti. E perché questo qualcuno aveva tentato di aggredire Verità ed era arrivato tanto vicino a Giustizia da cavarle un occhio. Un paio di membri di quella che ormai si poteva definire un'organizzazione ci avevano provato anche con Pace, ma non erano riusciti a raggiungerla prima di diventare innocui come agnellini.
Capivo che quei tre Assoluti, asserviti al governo multinazionale, potessero dare fastidio a delinquenti, ribelli e terroristi; ma perché attaccare Amor e Arte?
Perfino io non riuscivo a capire lo schema, non ancora, almeno. A meno che lo schema non fosse che ogni Assoluto, solo per il fatto di essere nato tale, era un bersaglio.
Il treno si fermò in un intenso stridore di freni, e la locomotiva sbuffò il suo disappunto. Le chiacchiere nel vagone si quietarono, tanto che in quell'attimo sospeso nel tempo era possibile udire ogni respiro, ogni goccia di vino versata nei bicchieri, ogni rintocco di posate che si appoggiavano piano sulle stoviglie.
Le porte si aprirono, e in fondo alla carrozza, il pianista accarezzò i tasti in una melodia vecchia di secoli. Spartiti che nessuno ascoltava più erano stati riesumati apposta per Arte, e un vagone più in là, nelle cucine, i suoi tre cuochi personali si stavano affaccendando a prepararle piatti dalla presentazione estremamente elaborata, studiata ad arte, perché Arte non poteva nutrirsi ed essere circondata da nient'altro che arte.
Per prime entrarono le sue ancelle, due fanciulle cieche che l'accompagnavano ovunque e che si occupavano di vestirla e di ogni altra necessità. Poi, con incedere solenne e preceduta da una mano che pareva tatuata da quanto era fitta di segni, giunse Arte.
Non appena posai gli occhi su di lei, vidi tutto. Non importava che fosse ricoperta da una vestaglia lunga fino ai piedi e portasse sul volto una maschera, non importava che io indossassi gli occhiali che proteggevano la vista altrui dalla bellezza inconoscibile.
Io intuii all'istante, in virtù dell'essenza instillata in me fin dalla mia creazione, ciò che le vesti e le lenti celavano. Non avevo mai visto un Assoluto, non sapevo che cosa fossimo davvero, e in quell'istante di riconoscimento seppi, e crollai in ginocchio. Alla periferia della mia consapevolezza intuii vagamente lo stupore di Alfa, il suo dubbio che avessi osato sbirciare per curiosità sotto agli occhiali schermanti o che non fossi stato abbastanza svelto a indossarli, e la sua derisione, la sua grassa risata interiore che si mutava in sdegno prima di raggiungere la superficie del suo volto.
Ma non mi importava che lui si stesse prendendo gioco di me, perché io ormai sapevo. Guardando Arte, avevo visto lo schema, e ora capivo contro chi stavo giocando.
La minaccia non veniva da un'organizzazione criminale o terroristica, bensì da uno di noi. Il nemico degli Assoluti era un altro Assoluto, ed era assai probabile che a dispetto del mio anonimato quest'ultimo sapesse chi ero, e mi avesse nel suo mirino.
Il treno fischiò, poi sferragliando, a fatica, si accinse a ripartire. Io mi alzai, mi tolsi gli occhiali schermanti e li posai sul tavolo, ignorando le proteste di Alfa.
Avevo intuito tutto quel che c'era da vedere di Arte, e molto di più, e la sua vista ormai non poteva più turbarmi. Lei mi sorrise da dietro la maschera prima di toglierla, e tra i suoi pensieri captai il riconoscimento di un suo simile, la sorpresa e la gioia nel trovarsi di fronte a qualcuno che non aveva paura di guardarla o che non la guardava per sfruttarla. Mi porse la mano, e fu come suo pari che la accompagnai al tavolo e iniziai quel viaggio in treno con Arte.

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