lunedì 11 settembre 2023

Comportarsi da elfo


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Daniel Kondrashin da Pexels


Uscire di nascosto dal grattacielo che sarebbe diventato la mia prigione per tutto l'anno a venire, all'inizio, non fu così difficile. Non per me che potevo agevolmente passare per un elfo, e dato che gli elfi possedevano quel posto, e che mi avevano visto in precedenza in compagnia dei dirigenti, il mio andirivieni non era ostacolato dalla signorina dalle ali di fata che osservava tutti dalla reception, né dai due massicci troll che stazionavano giorno e notte ai lati dell'enorme porta a vetri.
Era così che avevo scoperto l'esistenza della pizzeria all'angolo, ed era così che avevo scoperto la sala bowling.
Entrambi i locali erano diversi, "evoluti" e bizzarri rispetto a quelli che avevo frequentato nel ventunesimo secolo, eppure scoprire che esistevano ancora a secoli di distanza e in un mondo quasi irriconoscibile fu un po' come scoprire un angolo di casa in una terra straniera.
Erano confortanti, e mi facevano sentire un po' meno solo, soprattutto lì a Metronas dove non potevo contare sulla compagnia di Kàli o di mio fratello Jake.
Non che amassi particolarmente il bowling. Ci avevo giocato sì e no due volte in tutta la mia vita, ma era comunque meglio di niente. Perciò, quando vidi l'insegna con i birilli e la palla da bowling, non ci pensai due volte ed entrai.
Mi accorsi subito che, sebbene fosse modellato per assomigliargli, non era legno quello che formava la pista, e sospettai che nemmeno i birilli fossero fatti di legno: salvo che nelle Riserve, il legno non veniva più usato come materiale da costruzione da almeno un secolo.
Il centro della sala, un unico grande ambiente in cui gli echi delle bocce che rotolavano, dei passi, delle chiacchiere e del fragore dei birilli caduti risuonavano amplificati come in una grotta, era dominato da un bancone quadrangolare che girava tutt'attorno a un'alta colonna. Dentro i confini del bancone, alla luce dei monitor puntati in tutte le direzioni, un paio di quelli che identificai come goblin, i parenti brutti degli elfi, si affaccendavano a soddisfare le richieste dei clienti.
Che erano molto più numerosi dal lato occupato dai divanetti e dalle spine per le connessioni corticali rispetto a quelli che effettivamente si muovevano lungo la pista. Miracoli del ventiquattresimo secolo, in cui era possibile giocare a bowling senza giocare.
Quando mi fermai di fronte al lato del bancone che dava verso la porta, il goblin che alzò gli occhi verso di me rimase a bocca spalancata, con giusto un paio di denti sporgenti che si toccavano sulla punta dal lato destro. Le orecchie a punta simili alle mie ma flosce per un istante si drizzarono prima di pendere ancora di più ai lati della testa.
Era facile da comprendere il motivo del suo stupore che quasi sconfinava nella paura. Tra i clienti del bowling non avevo visto un solo elfo, ed era assai probabile che nessuno di quegli spocchiosi affaristi fosse mai entrato dalla porta fin dall'apertura del locale. Avevano altro da fare, loro, che perdere tempo con un gioco antiquato.
Probabilmente non avrei potuto ottenere una reazione simile nemmeno se mi fossi presentato con il mio vero aspetto, e dire che di Changeling in quest'epoca, per quanto ne sapevamo, ce n'erano solo due in tutto il pianeta, mentre gli elfi erano tra le cinque o sei varianti umane più numerose, praticamente quasi ovunque ti girassi fuori dalla sala da bowling eri sicuro di vederne uno.
Prima che potesse riprendersi, rivolgermi tutta una serie di inchini e biascicare qualcosa tipo "Quale onore, signore! Cosa posso fare per lei, signore?" come avevo visto fare ad altri della sua variante umana in presenza degli elfi, il secondo goblin lo spinse da parte dicendo: – Ci penso io a questo.
Mi squadrò per un istante, mentre l'altro se ne andava mugugnando al richiamo di un troll che aveva sfondato il paio di scarpe da bowling che aveva noleggiato, poi abbatté sul bancone lo straccio logoro che aveva sulla spalla.
– E così... tu saresti il nuovo giocattolo degli elfi della torre? – mi disse, con un sorriso storto che metteva in risalto i tre denti appuntiti che gli sporgevano dalle labbra.
Mi sorprese scoprire che avesse capito che non ero davvero un elfo, e ancor di più che sapesse cos'ero.
Gli elfi avevano mantenuto il riserbo sulla mia esistenza e su quella di Jake, per proteggerci, dicevano, anche se io avevo il sospetto che lo facevano più per avere l'esclusiva sui dati che potevo fornirgli come cavia da laboratorio che per il nostro bene.
Mi appoggiai al bancone e mormorai: – Come lo sai?
Il goblin si guardò intorno, sbirciò i pochi giocatori che si avvicendavano sulla pista e poi abbassò a sua volta il tono. – Sai com'è, le voci girano, nei bassifondi del flusso neurale... – Il goblin accennò con un tamburellare di dita all'impianto che gli sporgeva a lato della testa, e che spiccava nettamente sul suo cranio pelato. Poi, di fronte alla mia espressione atterrita, scoppiò a ridere. – Sono Shoss, lavoro come domestico per i tuoi padroni, e loro non pensano mai che anche noi abbiamo orecchie altrettanto buone, anche se brutte – mi spiegò il goblin, e concluse: – Nel tempo libero do una mano a mio cugino, che altrimenti non saprebbe come mandare avanti la baracca. Tutto bene, Lansha?
L'altro goblin grugnì mentre accettava il pagamento di un gruppetto eterogeneo che si era appena svegliato da una sessione di gioco virtuale sui divanetti.
Shoss riportò la sua attenzione su di me. – Allora, sei qui per giocare...?
Dondolò il capo pelato tra la pista e i divanetti.
– Non ho un impianto per la connessione corticale, e neanche dei nanobot a collegamento wireless – rivelai, ed era vero. Per Jake erano stati necessari, e anche se non avevano funzionato per impedirgli di diventare un Changeling, gli era stato permesso di tenerli. Ma le Aberrazioni della Riserva, e soprattutto gli sciamani, avevano una spiccata avversione per la tecnologia e per gli impianti in particolare. Dicevano che disturbavano il flusso nel mana nel corpo, e così Kàli mi aveva pregato di "tenermi pulito", come diceva lei, almeno finché non avessi deciso che quella di alterare artificialmente il mio corpo era la via che volevo seguire, e lo aveva imposto come clausola nel mio contratto con gli elfi.
– Ci avrei scommesso – disse Shoss. – Ma dall'altra parte non abbiamo una IA da gioco per i solitari come te, e senza compagnia che giochi a fare? Mmmmh, sai che si fa? Mi prendo una pausa e ci penso io a spaccarti i birilli, novellino. Conto che Lansha non faccia esplodere tutto in mia assenza, solo un momento che imposto i parametri per la tua boccia e i birilli e ti trovo un paio di scarpe adatte...
Shloss trafficò per un attimo con un touch screen sotto al bancone, poi aggrottò la fronte. – Toh, c'era da aspettarselo, non ho i parametri per gli elfi. Vorrà dire che giocherai con quelli da goblin, come forza e altezza più o meno siamo lì, e per fortuna il parametro della bellezza nel bowling non conta...
Mi venne da sorridere. Ovvio che i parametri per la variante umana degli elfi non c'erano, e prima che arrivassi io, non ne avevano mai sentito la mancanza.
– E levati quel sorrisetto spocchioso di dosso, ragazzo – sbottò Shoss nel posare sul bancone un paio di scarpe bianche e nere.
Non mi guardavo spesso allo specchio, perciò ancora faticavo a capire che impressione facevo agli altri quando indossavo un aspetto diverso da quello umano, ma sapevo perfettamente che impressione facevano gli elfi a me. – La mia faccia sembra sempre voler prendere in giro gli altri così, vero? – chiesi al goblin. – Scusa. Non era mia intenzione.
– Ohooo, troppa umiltà adesso – esclamò il goblin in tono allegro. –  Ti conviene aggiustare il tiro, o si capirà a distanza di satellite che non sei uno di loro.
Decisi allora che Shoss mi piaceva. Era un sollievo avere un amico in quella grande città, o almeno qualcuno che avrebbe potuto diventarlo, anche se mi stava stracciando a bowling. Dopo un primo tiro fortunato, che mi aveva indotto a esultare senza ritegno come mai un elfo avrebbe fatto, non ero più riuscito a fare strike, mentre Shoss buttava giù tutti i birilli quasi ogni volta. E io imprecavo e lo accusavo di barare, di non aver impostato correttamente la densità della mia boccia e dei birilli, che avevo scoperto essere controllati da un programma nel computer del bancone, per dar modo alle Aberrazioni più fragili di giocare ad armi pari contro bestioni come troll, orchi e compagnia bella. C'era molta più tecnologia in questo bowling moderno, ma nelle sue parti essenziali, il gioco non era cambiato poi molto. Non ero riuscito a vincere nel mio tempo, anche se una volta avevo perso di pochi punti soltanto, e non avrei vinto nemmeno nel ventiquattresimo secolo, con il goblin ampliamente in vantaggio a tre quarti del gioco, se avessi finito la partita.
Ovvero, se dalla porta non fossero entrati una coppia di troll seguiti dall'unico altro elfo che si fosse mai visto da quelle parti. Li conoscevo, e sapevo che erano venuti a prendermi. Quello che non avevo previsto era che il trio volesse, assieme a me, anche Shoss.
– Lansha, bada tu alla baracca! – urlò Shoss, pungolato dai troll che ci spintonavano. Ma Lansha era sparito sotto al bancone, o forse era svenuto. Troppi elfi in una sola giornata per il suo fragile cuore.

Nei piani alti del grattacielo degli elfi, Shoss e io aspettammo quasi un'ora fuori dalla porta di un ufficio dirigenziale. Da soli, salvo la presenza inquietante, immobile come una statua, di uno dei due troll a guardia dell'ascensore in fondo al corridoio. Era l'unica via di fuga: impensabile tentare di scappare dalla rampa di scale d'emergenza. I piani erano troppi da lassù per affrontare la lunga discesa, se non era questione di vita o di morte.
Restammo in silenzio per tutto il tempo di quell'attesa, nel timore che la nostra conversazione potesse essere registrata e usata contro di noi, finché dalla porta non uscì un segretario di cui mi fu impossibile identificare la variante umana, tanto il suo aspetto era alterato da impianti cibernetici di ogni tipo. Io non sapevo ancora che volevo fare della mia vita in questo secolo, una volta trascorso l'anno che avevo venduto agli elfi, ma di certo non volevo diventare come lui.
– La Suprema Signoria vi attende – disse il segretario, e se ne andò con il suo sferragliare e cigolare da cyborg, e tra le dita meccaniche uno di quei fogli multidocumento che ormai conoscevo bene per averne letto e firmato parecchie facciate che apparivano tutte, a turno, sullo stesso rettangolo di carta elettronica.
Entrammo. Anche se il segretario aveva detto che ci attendeva, la bambola di porcellana dai capelli biondi e le orecchie a punta che sedeva dietro la scrivania nel suo elegante completo all'ultima moda, nientemeno che la matriarca del clan di elfi che deteneva il mio contratto, sembrava totalmente assorta in altre faccende, e per cinque minuti buoni o forse più non ci degnò di uno sguardo. Poi, mentre terminava di controllare i dati su un olovideo che a noi appariva totalmente grigio, prima che uno di noi due trovasse il coraggio di schiarirsi la voce per annunciarle che eravamo lì, l'elfa comandò, sempre senza alzare gli occhi: – Goblin, chiudi la porta.
Shoss si affrettò a ubbidire.
L'elfa si alzò con movenze aggraziate e con il suo portamento elegante, fiero, mosse qualche passo verso la vetrata che offriva una magnifica vista panoramica sulla città di Metronas. Squadrò il goblin, quindi in tono sprezzante disse: – Tu. Lavori per la famiglia di mio figlio, vero? Dovrò ricordargli di controllare meglio i suoi domestici. Puoi andare.
Shoss le rivolse un inchino, e poi da qualche parte racimolò il coraggio per ribattere: – Se non dispiace a sua signoria, io resterei.
Le dispiaceva, eccome. Gli elfi non hanno rughe nella loro pelle perfetta, mai, nemmeno da vecchi, eppure avrei giurato che tutta la fronte candida sopra i suoi begli occhi torvi e alteri si stava tendendo nel tentativo di crearne una.
– Non c'è motivo di punirlo, Shoss non ha fatto niente – intervenni in suo favore, prima che la situazione degenerasse e lei decidesse di fare qualcosa come lanciarlo fuori dalla vetrata. Kàli mi aveva raccontato certe storie per mettermi in guardia dagli elfi, e anche se sospettavo che fossero esagerate, era meglio andare sul sicuro. – Sono io quello che se n'e andato a perdere tempo invece di restare a disposizione ventiquattrore al giorno per i vostri preziosi esperimenti.
D'altra parte, la matrona degli elfi non avrebbe mai lanciato fuori dalla vetrata me, la sua preziosa acquisizione. Non poteva sperare di ottenere un contratto simile con Jake, nel caso in cui per qualche motivo io non fossi più stato disponibile.
– Shoss? – chiese lei.
Non sapeva il suo nome. C'era da aspettarselo. Probabilmente non sapeva nemmeno il mio, e per lei ero soltanto "il Changeling", come Shoss era "il goblin".
– Tu, sì. Parliamo di te. – L'elfa mi fissò, regale e bellissima. Era inespressiva e perfetta come una statua di marmo, e mi faceva ancora un certo effetto guardarla, io che non ero abituato da tutta la vita ad avere a che fare con le varianti umane di questo secolo. Alle volte la mia mente mi ingannava e mi diceva che doveva essere un trucco, un effetto speciale, e che non poteva essere vero.
Poi mi ricordavo che anch'io ero come loro. Diverso, ma come loro.
– Hai la minima idea di tutti gli sforzi che stiamo facendo per tenerti al sicuro, di quanto ci stiamo impegnando per mantenere segreta l'esistenza di un Changeling, due Changeling viventi, e di come le tue belle scampagnate stiano vanificando ogni nostro tentativo di proteggerti? – mi accusò l'elfa, ignorando ormai del tutto la presenza del goblin ancora nel suo ufficio. Non pensai nemmeno per un istante di ricordarle che Shoss era ancora lì ad ascoltare, anche se era la chiara dimostrazione che tutti questi sforzi non li stavano facendo. – Vuoi che una masnada di criminali rapisca tuo fratello di nuovo, o peggio, che vada nel passato a prelevare un altro dei tuoi parenti da trasformare nel suo Changeling personale per fare il mana solo sa cosa?
Se il suo volto era perfetto e inespressivo, la sua voce invece no, e mi colpì con tutta la forza di quelle parole. 
No, non volevo. Non volevo mettere in pericolo Jake più di quanto avessi già fatto con la mia presenza in quell'epoca, né la mamma, o papà, o mia sorella.
– Allora le cose dovranno cambiare – mormorò l'elfa, prendendo il mio silenzio per una resa e un'ammissione di colpa. – D'ora in poi non uscirai se non accompagnato da una delle nostre guardie, e solo se strettamente necessario. Non temere, gli incontri periodici con la tua acquatica della Riserva come da contratto non ti verranno negati, ma avverranno esclusivamente in luoghi sicuri selezionati da noi, e nel momento più conveniente per farli. Hai un appartamento intero tutto per te qui da noi, un bell'appartamento, e se ti manca qualcosa, non hai che da chiedere. Che bisogno c'è di uscire in una città pericolosa come Metronas, i cui vicoli brulicano di Aberrazioni oscure e pericolose pronte a tagliare la gola di qualcuno ancora troppo ignorante come te per rubarti il poco che possiedi, per aver ficcato il naso nei loro affari, o anche solo per averli guardati male, quando tutto ciò che desideri ti può essere portato qui, dove sei mantenuto in salute e al sicuro?
Stringere la loro morsa su di me. Ecco quello che gli elfi volevano.
Probabilmente sapevano fin dall'inizio del mio andare e venire dal grattacielo, e avevano lasciato che lo facessi, sperando che mi mettessi in una situazione pericolosa dalla quale sarebbero potuti intervenire "a salvarmi". Non era successo, ma al bowling avevo attirato l'attenzione quanto bastava per indurli a far scattare la trappola.
Lo facevano per il mio bene, e non avevo argomenti per confutare quell'affermazione, con un precedente come il rapimento di Jake.
– Capisco – dissi soltanto, di malavoglia. Dovevo resistere un anno, un anno soltanto in compagnia di quelle creature infide e meschine, e poi sarei tornato di corsa alla Riserva. – Se è tutto, posso andare?
– Una cosa soltanto – aggiunse la matrona degli elfi, prima di congedarci definitivamente, me e l'ormai del tutto ignorato Shoss, che da come se ne stava incurvato e con le orecchie a punta più afflosciate del solito, doveva essere parecchio imbarazzato da quella ramanzina, o dalla parte che aveva avuto inconsapevolmente in tutti i problemi che un'innocente partita a bowling mi stava causando. La matrona fece un passo in avanti, lo sguardo severo che mi giudicava, inchiodandomi sul posto. – Che tu sia un pessimo esempio del nostro nobile lignaggio entro i confini della nostra dimora non conta, perché tanto qui tutti sanno che cosa sei davvero, Changeling. Ma quando metti un piede fuori di qui, se non sei in grado di comportarti come un membro civilizzato della società, tanto vale che indossi la pelle di un orco.

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