lunedì 4 settembre 2023

Mezzanotte alla Città dei Felici


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Sam Fire da Pexels


Hilo era un po' dispiaciuto per Maarit. Ovunque andassero, la sorella aveva qualcosa da ridire.
– È falso, e non è nemmeno divertente – diceva delle scenette spassosissime che lo avevano lasciato col mal di pancia da quanto aveva riso.
– Ha un sapore strano, e tu non ti sei mai chiesto da dove viene? – diceva del cibo che avevano ricevuto in dono in abbondanza, senza bisogno di scambiarlo con qualcos'altro e senza la fatica di doverlo cercare tra le rovine delle vecchie città.
– Ti rendi conto che non assomigliano a un vero cavallo? E mi vuoi dire che senso ha, se girano solo in tondo? – diceva delle graziose statue equine da cavalcare in quella che chiamavano "la giostra del felice girotondo". – Non vanno da nessuna parte. E c'è troppo fracasso qui, io mi sono stufata, non è possibile che vuoi farci ancora un altro giro!
L'unica volta che Hilo aveva concordato con lei era quando, nell'osservare la gente che faceva la fila per salire sulle rotaie senza meta e poi una volta sopra urlava, Maarit aveva esclamato: – Quelli sono matti! Io lì non ci vado neanche in un milione di anni, è spaventoso, altro che divertente! Ci credo che gridano...
Ma per la maggior parte del tempo Hilo, al contrario di lei, si sentiva felice, e al sicuro, e gli dispiaceva che Maarit non riuscisse a sentirsi nella stessa maniera. Era la stessa sensazione che provava quando stavano con Josef, e l'uomo era solito raccontare loro di sera, prima di addormentarsi, le storie del mondo di prima. La stessa identica sensazione, con in più un pizzico di agitazione gioiosa quando i cavalli della giostra prendevano un po' di velocità e cominciavano a oscillare su e giù, o di sorpresa quando la musichetta in sottofondo cambiava ritmo, o di piacere quando al termine di una delle divertenti storie mimate a cui aveva assistito nel pomeriggio i cattivi venivano puniti e i buoni finivano sempre con l'ottenere quello che volevano.
Era un po' come vivere in un sogno, uno di quelli che Hilo faceva raramente.
Gli incubi erano molto più numerosi.
Hilo avrebbe tanto voluto essere in grado di spiegare a Maarit come si sentiva. Ci aveva provato, ma la sorella non voleva sentire ragioni. Era più piccolo di lei, sì, ma non per questo poteva essere definito più ingenuo, almeno secondo il suo parere. Aveva visto la stessa quantità di gente cattiva, gente come mamma Karol, e come lo sconosciuto che li aveva trovati nel capanno nel bosco, e quindi Hilo era in grado di riconoscerli, e sapeva per certo che gli adulti che abitavano in quel posto non erano cattivi. Ma capiva anche che Maarit aveva passato così tanto tempo a proteggerlo da persone come loro, che proprio non riusciva a smettere di farlo. Anche in un posto come quello dove non ce n'era proprio bisogno.
Maarit aveva dovuto tirarlo giù di peso dal cavallino semovente quando Hilo era stato troppo stanco per tenere gli occhi aperti, e insieme erano andati in una delle stanze del riposo che il Custode aveva indicato loro. Non c'era una porta da chiudere, la stanza era troppo grande, e c'erano già altre persone che dormivano lì, aveva brontolato Maarit, e quelle preoccupazioni erano le stesse che avrebbero tenuto sveglio Hilo, in altri luoghi. Ma lì, nella Città dei Felici, Hilo riuscì a dormire profondamente in compagnia di estranei come non ricordava di aver mai fatto in tutta la sua vita.

Quando si svegliò fuori era ancora buio, e Maarit non c'era. Hilo non si era mai svegliato senza sua sorella accanto, perciò notò subito la sua assenza.
All'inizio Hilo pensò che si fosse allontanata per fare la pipì e che al ritorno si fosse infilata nel letto sbagliato, perciò la chiamò un paio di volte, e la cercò alla luce colorata e intermittente che filtrava dalle finestre, ma la sorella non gli rispose e lui non la vide da nessuna parte. Hilo cominciò ad agitarsi.
– Maa? Maa, dove sei, torna qui! – piagnucolò Hilo, trasalendo a ogni urlo che veniva da fuori assieme allo sferragliare dei vagoni sulle rotaie senza meta. Una risata isterica, prolungata e inquietante che sembrava venire da appena oltre la tenda tesa davanti all'ingresso al posto di una solida porta lo fece tremare da capo a piedi. – Non voglio restare da solo, per favore... – bisbigliò ancora Hilo.
Come in risposta alla sua richiesta, un'ombra nella stanza si mosse, ma non era Maarit, era più grande.
Hilo si tirò indietro quando la donna si sedette sul suo letto, e lottò contro le lacrime che sentiva premere da dietro agli occhi.
– Devi sorridere, ragazzino – gli disse la donna. – I bravi bambini ridono. Ridono e si divertono, come... ecco, prendi esempio – concluse la donna, girandosi verso l'ingresso e il suono di quella risata così lunga, così uguale, così sbagliata.
Hilo non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere. – Io non mi sto divertendo, dov'è mia sorella, voglio mia sorella...
La donna in un primo momento cercò di consolarlo ripetendogli in tono dolce di non piangere, che andava tutto bene, che Maarit era andata via un momento per parlare con il Custode ma che sarebbe tornata presto, e che era stata proprio lei a chiederle di badare al suo fratellino. L'argine però ormai era rotto, e Hilo non avrebbe più potuto trattenere il pianto nemmeno se lo avesse voluto, e lo voleva quando la donna aveva iniziato a parlargli di Maarit. Ma era tutto inutile.
Il tono della donna a un certo punto cambiò bruscamente. Da dolce che era si fece stizzito, quasi crudele, mentre la donna sbottava: – Non piangere o ti porteranno via stupido bambino!
Quella singola frase attirò l'attenzione di Hilo su di lei e gli fece per la prima volta, come si suol dire, drizzare le orecchie.
Hilo aveva smesso del tutto di piangere, così, di colpo, come se il pozzo delle lacrime si fosse prosciugato. Aveva imparato molti anni prima a non piangere, a mettersi addosso un sorriso forzato, quando lui e Maarit stavano con mamma Karol, perché a lei non piacevano i bambini lamentosi. Gli ci era voluto molto tempo per imparare a piangere di nuovo, ma quando si trovava davanti a qualcuno come mamma Karol, e come quella donna, Hilo ormai sapeva come comportarsi.
– Ah... sì? Chi è che mi porta via? Dove? – le chiese Hilo, come se fosse semplicemente curioso. Un ingenuo bambino curioso, era così che lasciava che lo vedessero le persone cattive, e loro lo sottovalutavano sempre, anche perché tutta la fame che aveva patito lo faceva sembrare più giovane della sua età. A volte, Hilo pensava di essere talmente bravo che anche Maarit lo sottovalutava.
– Nessuno, stavo solo scherzando – gli disse la donna, nel tornare al tono di voce melenso con cui l'aveva apostrofato all'inizio.
Hilo sapeva riconoscere una bugia. Ed era abbastanza sveglio da collegare la scomparsa di Maarit con quella nuova, inaspettata rivelazione.
Tutti avevano visto come Maarit si era comportata per tutto il giorno, tutti l'avevano sentita lamentarsi in continuazione. Chiunque portasse via i bambini che piangevano, doveva certamente averla udita.
E quella donna sapeva qualcosa.
Hilo si asciugò le lacrime dal viso e le rivolse il più bel finto sorriso che avesse a disposizione. – Allora Maa è con il Custode... andiamo da lei?
– Certo, andiamo da lei – gli disse la donna, tendendogli la mano come se fosse un bambino piccolo.
Hilo non pensava che la donna volesse davvero portarlo da Maarit, ma pensò che se restava con lei e fingeva di crederle, forse avrebbe potuto scoprire quello che la donna nascondeva. Stava per darle la mano e alzarsi dal letto, quando accadde.
Una forte esplosione e un lampo fuori dalla finestra. Come un fulmine, ma più breve, e più vicino.
Alcuni degli adulti addormentati brontolarono e si rigirarono nel letto, e un'altra parte meno numerosa scattò in piedi e corse fuori.
Altre esplosioni si susseguirono in rapida sequenza, altri lampi colorati scintillarono oltre il vetro.
Hilo aveva già sentito un suono così. Era stato durante un attacco dei banditi che avevano depredato la città dove Lanyo, che non era durata abbastanza per poterla chiamare mamma, li aveva portati quando li aveva trovati a vagare da soli dopo la scomparsa di Josef.
Almeno qualcosa di buono Lanyo l'aveva fatta: li aveva nascosti, e così i banditi non li avevano trovati.
Come allora, Hilo si tappò le orecchie e si rattrappì contro lo schienale del letto, facendosi piccolo. Non aveva voluto darle retta, ma ora Hilo capiva perché Maarit si fosse lamentata che la Città dei Felici non aveva mura a proteggerla. La città di Lanyo le aveva, eppure era stata invasa e saccheggiata lo stesso, e i suoi abitanti uccisi o portati chissà dove.
Le mura non erano una garanzia, ma non costruirle proprio era da stupidi.
A differenza di allora, la donna che era con lui non corse fuori a difendere la sua casa armata solo di un rudimentale arco contro le armi di tuono dei banditi, bensì scoppiò a ridere.
– Sciocco bambino, sono solo le stelle scintillanti! – gli disse la donna, con una traccia di vero divertimento nella voce. Il resto del suo tono era falso, condiscendente. – È Media Notte, la festa delle luci nel cielo, succede ogni notte qui alla Città dei Felici. È un altro dei nostri divertimenti, ma devi vederlo con i tuoi occhi, solo così capirai.
La donna gli tese di nuovo la mano, e stavolta Hilo la afferrò e si lasciò condurre fuori dalla stanza del riposo. All'esterno, tutti stavano in piedi o seduti con il viso rivolto al cielo, a fissare inebetiti lo spettacolo di stelle multicolori che esplodevano in scoppi di tuono o in fastidiosi sfrigolii e piovevano verso terra lasciandosi dietro una scia. Di tanto in tanto, qualcuno si lasciava sfuggire un mormorio di stupore o ammirazione, o un applauso.
Hilo li capiva. I fiori di fuoco tracciati in cielo dalle stelle lo riempirono di meraviglia, eppure non era più come prima. Le esplosioni che li accompagnavano, e lo stesso odore che si diffondeva nell'aria sempre più acre e pesante, così simili al rumore e al lezzo prodotti dalle armi dei banditi, lo inquietavano, e non facevano altro che ricordargli che qualcuno aveva portato via sua sorella, e che trovarla, salvarla, da adesso toccava a lui.

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