lunedì 16 ottobre 2023

Evento Omega


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di cottonbro studio da Pexels


Lo avevano chiamato Evento Omega, dal nome dell'ultima lettera di un alfabeto ormai caduto in disuso. Era l'ultima cosa che un essere umano avrebbe mai potuto contemplare prima di esserne consumato.
Il dottor Djasvr Mreuk, della Società di Ricerca e Intervento Emergenze Cataclismatiche, si aggirava già da diverse migliaia di battiti di cuore al limite della zona di sicurezza, o meglio, di quella che per lui era la zona di sicurezza. Una densa polvere giallo arancio era tutto ciò che restava dei quartieri residenziali della città di Destino, la prima a essere colpita dall'ordigno dimensionale. Davanti ai suoi occhi pulsava il mostro, un'immenso squarcio nel tessuto della realtà che pompava materia inversa da chissà quale universo. Erano quelle microscopiche particelle letali che al contatto dissolvevano tutto ciò che era stato un tempo case, giardini, strade, uomini e donne, per trasformarlo nella finissima e irrespirabile polvere carica di radiazioni gamma. Djasvr controllò sullo schermo agganciato alla sua manica l'integrità delle bombole e il livello di ossigeno al loro interno. Aveva perso il 45% dei nanobot riparatori, minuscoli aiutanti che ripristinavano in continuazione la superficie del suo equipaggiamento logorata dal contatto con nuove particelle di materia inversa che fuoriuscivano dallo squarcio. Inspirò a fondo dalla maschera collegata alle bombole, e cercò di ignorare il distante lamento delle sirene di evacuazione che andava spegnendosi lentamente man mano che la zona contaminata si espandeva.
Quel fastidio, e la pressione che sentiva nelle orecchie a ondate, era molto meno allarmante del prurito che avvertiva sotto il pesante cappotto che lo schermava dalla maggior parte della materia inversa che lo raggiungeva. Qualcosa comunque riusciva a passare, il dottor Mreuk ne era consapevole, ma sapeva anche che non poteva far altro che avere fiducia nella terapia genica che aveva conferito al suo corpo la capacità di rigenerarsi rapidamente da ogni ferita.
Certo, guarire comportava un anomalo dispendio di energia, quando si veniva feriti da migliaia di spilli a ogni battito di cuore. Djasvr frugò nella sacca che aveva a tracolla, spostò il respiratore dalla bocca e ingoiò un'altra nutri-gelatina.
Stava morendo di fame e di sete, e il preparato ipercalorico gli diede solo un limitato sollievo.
Si umettò le labbra. Da un quarto di giorno, dal momento esatto in cui era caduto l'ordigno dimensionale, aveva smesso di parlare.
Fu uno sforzo ritrovare la voce, che in un primo momento gli grattò in gola, rauca.
– Hyphotesis – mormorò il dottor Mreuk, nel fissare lo schermo sulla manica. – Attiva la barriera. Mi avvicino per cercare di rilevare altri dati sull'attività extradimensionale nel pressi dello squarcio.
– Ne è sicuro, professore? – replicò una voce femminile, lievemente metallica, con una simulata intonazione preoccupata. – Ho il dovere di ricordarle che dal momento dell'attivazione, ha esattamente quattro quarti di tempo al totale esaurimento dell'energia, e che la barriera non può essere disattivata per risparmiare le celle energetiche. Le consiglio di allontanarsi dalla zona contaminata prima di tale evento.
– Lo so Hyphotesis – replicò Djasvr. Non poteva disattivare la barriera ed esporsi a una dose letale di materia inversa per deviare l'energia ai rilevatori e alla matrice di analisi dei dati. Aveva progettato lui quel sistema di sicurezza, in modo da non mettersi in pericolo pur di avere altro tempo a disposizione per raccogliere dati una volta superata la zona di sicurezza. Perché si conosceva, c'era sempre qualcos'altro da scoprire. Ma una volta esaurita l'energia, non solo avrebbe perso la barriera, ma anche l'automatismo che regolava le valvole delle bombole, e i nanobot riparatori, e la stessa connessione con la sua unica compagna di viaggio, l'intelligenza artificiale che lui stesso aveva addestrato e migliorato. Anche superare il tempo limite equivaleva a morte certa.
– Attivala – ordinò all'intelligenza artificiale che lo accompagnava.
Il sollievo fu immediato: dalla barriera, nulla poteva entrare o uscire. Il che significava che le dannate particelle inverse avevano smesso di martoriare il suo corpo, ma anche che le bombole avrebbero iniziato a immagazzinare l'anidride carbonica che lui emetteva, e che non gli era più possibile mangiare o bere. La barriera era a pochi millimetri dal suo corpo, e si muoveva con lui. Nelle orecchie però continuava a risuonare quel tono altalenante, fastidioso, e sempre più forte, che con tutta probabilità era emesso dallo squarcio nella realtà che Djasvr aveva soprannominato "il mostro".
Era un enorme vortice di dense nubi arancio e gialle, alto quanto un grattacielo e largo quanto due campi sportivi. Era impossibile vedere la realtà oltre il turbine, ma Djasvr Mreuk sospettava che in quel momento i suoi abitanti, se ce n'erano, fossero funestati da un'identica ondata distruttiva, senza nemmeno averne colpa.
– Hyphotesis, se c'è un modo di riparare questo danno, devi aiutarmi a trovarlo – mormorò Djasvr. E poi iniziò la lenta avanzata verso i piedi del mostro.
Forse stavolta era la volta buona. Forse sarebbe riuscito ad avvicinarsi abbastanza da avere almeno un'impressione di ciò che si trovava oltre, dell'altra realtà coinvolta nell'esplosione.
Poteva essere un mondo molto simile al suo, o estremamente diverso. Nella peggiore delle ipotesi, al di là dello squarcio anche il tempo scorreva all'inverso, il che voleva dire che chiuderlo non sarebbe stato possibile, perché il suo futuro era il loro passato, e lo squarcio dall'altro lato era sempre stato aperto. Dal loro punto di vista, anzi, avvicinandosi al momento dell'esplosione dell'ordigno dimensionale lo squarcio si sarebbe chiuso, ma ciò non avrebbe risolto il problema nel suo mondo, anzi, avrebbe solo bloccato dal lato sbagliato chiunque attraversasse lo squarcio.
Djasvr deglutì. Era così vicino al mostro che non riusciva a coglierlo tutto in una singola occhiata. Ma anche così, i suoi strumenti non potevano offrirgli alcun indizio su ciò che si trovava al di là.
– Professore – trillò Hyphotesis. – Le sconsiglio di avvicinarsi ulteriormente. Non ho dati sufficienti per azzardare un'ipotesi sull'universo collegato al nostro dallo squarcio.
Il dottor Djasvr Mreuk la ignorò e tese una mano verso lo squarcio. Anche con la barriera, avvertiva la pressione delle particelle inverse che gli sciamavano attorno, e quel suono profondo e modulato che non era esattamente un suono salì di volume in modo quasi intollerabile. Non poteva farci niente: per quanto spaventoso, come scienziato era immensamente affascinato dalla mostruosità che stava distruggendo il loro universo.
Se solo potessi studiarla così da vicino, se solo potessi capire... pensava, anche se ciò che era stato inviato a fare era trovare un modo di rimediare all'Evento Omega, se proprio non era possibile impedirlo. Dal momento in cui entrambi i blocchi che controllavano il mondo avevano scoperto in maniera indipendente il principio per la fabbricazione dell'ordigno dimensionale, non era stato più possibile impedire alla minaccia definitiva di essere adombrata come deterrente durante ogni trattativa e in seguito a ogni scaramuccia di confine.
Non importava chi avrebbe colpito per primo: usare quella bomba significava la disfatta per il mondo intero. Possibile che i capi di stato dei due schieramenti fossero tanto idioti da non rendersene conto?
– Professore, dati insufficienti per elaborare un'ipotesi plausibile – protestò l'intelligenza artificiale. – Sono costretta a interrompere la simulazione.
Djasvr non fece in tempo a opporsi che si svegliò sul lettino nel suo laboratorio. Aprì gli occhi e mugolò. L'esperienza non era durata che poche decine di battiti di cuore, rapida come un sogno, ma tornare alla realtà era sempre faticoso.
L'ordigno dimensionale non è ancora stato lanciato, ricordò Djasvr Mreuk, nell'alzarsi a fatica dal lettino. Eppure sembrava impossibile evitarlo.
Aveva vissuto e registrato più di un centinaio di quelle simulazioni, e tutte si concludevano nella stessa maniera. In qualunque modo tentasse di avvertire il governo del pericolo insito in quella tecnologia, o proponesse un programma di diplomazia e disarmo, c'era sempre qualcuno che colpiva per primo.
La forma fisica di Hyphotesis, un robot dalle sembianze umane, stava lavorando a una versione migliorata della barriera. Djasvr le si sedette accanto e la osservò per qualche istante. Ricordava un tempo in cui l'intera sala ferveva di attività e di vita, con almeno una ventina di colleghi che lavoravano ciascuno a un progetto diverso. Poi i fondi investiti nella Società erano stati dimezzati, e di nuovo tagliati, e ridotti ancora. Finché non erano rimasti solo Hyphotesis e lui, inguaribile ottimista, a cercare di salvare il mondo da sé stesso.
Djasvr afferrò un ago dal ripiano sterile dell'armadietto e si punse il braccio, poi cronometrò il tempo che gli occorreva per guarire. Si era via via ridotto da quando aveva iniziato la terapia genica sperimentale su sé stesso, ma non era ancora sufficiente per sperare di resistere di fronte alla forza distruttiva del mostro.
Insoddisfatto dal tempo di reazione della propria carne, il dottor Djasvr Mreuk ordinò, alzandosi dal tavolo e tornando a sdraiarsi sul lettino: – Hyphotesis, prepara un altro ciclo di terapia R. Poi carica il prossimo scenario. Non c'è tempo da perdere.
– Subito, professore – replicò servizievole l'intelligenza artificiale. Non aveva bisogno di far alzare dalla sedia la sua forma robotica, interrompere il lavoro in corso, e neppure di voltarsi, per azionare le braccia artificiali che praticavano l'iniezione della terapia genica e stimolavano la corteccia cerebrale dell'uomo a passare alle onde theta della fase di sonno REM.
Djasvr chiuse gli occhi e si rilassò. Facile come sognare, si diceva ogni volta, ma non era vero. Era stressante affrontare la fine, affrontare il mostro, ancora, e ancora, e ancora. Rivedere l'Evento Omega, la realtà sbriciolarsi e andare in polvere. Era difficile, qualcuno però doveva farlo, doveva continuare a provarci, affinché un tale futuro non diventasse reale. Scongiurare la fine di non uno, ma di ben due mondi, e assicurare a entrambi un avvenire, era un obiettivo per cui valeva la pena di perdere il sonno, valeva la pena di correre qualunque rischio, valeva la pena anche di morire.

Nessun commento:

Posta un commento