lunedì 8 gennaio 2024

L'alchimista che voleva essere re


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Tima Miroshnichenko da Pexels


Una risata di incontenibile, folle gioia riecheggiò nel laboratorio, sovrastando per un instante il gorgoglio delle misture negli alambicchi, il sobbollire delle pozioni nei crogioli e l'occasionale esplosione in miniatura, con tanto di emissione di zaffata fetida, quando una goccia precipitava da un tubicino attorcigliato a spirale in una delle boccette, causando un cambiamento di colore nel liquido che conteneva.
– Eureka! – urlò la stessa voce della risata di poco prima. La voce apparteneva a un individuo minuscolo dagli enormi occhi sbarrati, una gran massa di capelli bianchi scomposti e un lungo camice dello stesso colore, che proseguì in tono concitato: – È possibile, è davvero possibile! La sintesi è fatta, la sublimazione è avvenuta! Ci sono riuscito, stavolta ci sono riuscito ed è mia, tutta mia, mia e di nessun altro!
Poi proruppe in un'altra risata, una ancora più potente, di gola, e con accenno di perfida soddisfazione. E ne aveva ben donde, d'altra parte: era per quel risultato che aveva lavorato tutta la vita, era per ottenere quello specifico composto che si era lambiccato il cervello e si era rifiutato di portare avanti qualunque altra attività fosse consona per qualcuno come lui, un uomo comune, ma con un'ambizione e una determinazione senza pari. Persino mangiare gli pareva superfluo, finché non avesse raggiunto il suo obiettivo.
Ma per capire che cosa desiderava così fortemente l'alchimista folle, bisogna prima comprendere la terra in cui era nato.
Nel Mondo Scacchiera esistevano da sempre due re, che non riuscivano mai a mettersi d'accordo su nulla. Se uno diceva bianco, l'altro diceva nero; se uno diceva nero, l'altro diceva bianco. Essendo da sempre in disaccordo, i due re erano da sempre in guerra, ed essendo re, non si limitavano a risolvere la disputa tra loro, bensì avevano coinvolto tutti i sudditi in battaglie dalle complicate manovre e strategie. Non c'era fante, cavaliere, portabandiera, ingegnere che manovrava complesse macchine da guerra a forma di torre, e persino vescovo che non fosse chiamato a dare il suo contributo sul campo di battaglia, e le perdite da ambo le parti a fine giornata erano sempre numerose.
Qualunque fosse il motivo che aveva scatenato le ostilità, l'ometto che si destreggiava tra alambicchi e pozioni aveva deciso fin da subito che non sarebbe stato una pedina nella causa di qualcun altro. Perciò si era dato tanto da fare per perseguire una carriera che non fosse quella militare, l'unica ormai ammessa in entrambi i regni.
– Non lo faccio per me, bada bene! – Era quel che diceva a chiunque il re mandasse per interrogarlo su quella follia e ricondurlo al posto a cui apparteneva. – Il nostro mondo ha bisogno di pace e solo un re dei re, né bianco né nero, ma entrambi allo stesso tempo, può far cessare la guerra. Questa è la sola speranza per il Mondo Scacchiera!
Quelli che in altre circostanze sarebbero stati i suoi compagni di battaglione ogni volta ridevano a sentirlo parlare di irraggiungibili utopie, e lo prendevano in giro per ciò che consideravano una futile ossessione. Ma se qualcuno di loro si fosse spinto a chiedergli di più, avrebbe scoperto che il suo intento non era poi così altruista come l'alchimista folle sosteneva.
Una volta preparata la pozione che gli aveva richiesto tanti anni e tanti sacrifici, una volta compiuti tutti i passi per trasformare una teoria strampalata in una realtà raggiungibile, non c'era nessuno a cui l'alchimista avrebbe potuto essere indotto a cederla. No, come il più classico degli scienziati pazzi, era su sé stesso che avrebbe provato la formula, giustificandosi con la scusa che non sarebbe stato etico rischiare la vita di qualcun altro, in caso di fallimento.
Tra il ribollire degli ingredienti che ancora emanavano vapori che percorrevano i tubicini ritorti, e il gocciolio delle essenze condensate che ricadevano nelle boccette, l'alchimista folle sollevò una mistura monocroma contenuta in una piccola beuta, la osservò con desiderio e un'altra folle mezza risata e infine la trangugiò tutta d'un fiato.
Il sapore era disgustoso. L'alchimista folle trattenne un conato di vomito convincendosi che, se tutto andava come previsto e sarebbe andato di certo come previsto, valeva la pena di sopportare qualunque spiacevole e temporaneo inconveniente. Appoggiò sul tavolo da lavoro ingombro di carte, boccette, mortai e fiale la beuta ormai vuota. E attese.
Dapprima non avvenne nulla. Non avvenne per un tempo così lungo che l'alchimista iniziò a essere assalito dai dubbi, e a chiedersi che cosa avesse sbagliato. Ma proprio quando stava per rimettere mano agli alambicchi e ripetere ogni passaggio, un formicolio gli invase le membra e gli fece tremare le mani così forte che le fialette tra le sue dita tintinnarono l'una contro l'altra, rovesciando gocce del loro prezioso contenuto. L'alchimista folle si affrettò a riporle e si trascinò piegato in due al più vicino specchio.
Voleva gustarsi ogni istante della meravigliosa metamorfosi che stava per compiersi. – Un individuo quale nessuno ha mai visto su questa terra – mormorò tra sé, quasi senza fiato, inframmezzando le parole con una risatina degna di uno squilibrato. – Un re la cui autorità è al di sopra di ogni re...
Lo specchio rifletteva ogni cambiamento nel suo corpo minuto, dimostrandogli che ciò che avvertiva stava avvenendo davvero. Non era la sua immaginazione se sentiva le membra gonfiarsi e tirarsi, stava realmente diventando più alto. Non era suggestione quel solletico che danzava sul suo volto, era la sua pelle che cambiava colore assumendo una variegata alternanza di riquadri bianchi e neri. Non era il suo desiderio che gli dava l'impressione che la sua testa fosse cinta da una fascia, era una corona che si stava materializzando sul suo capo, come cresciuta dalla fronte e dalle tempie.
– Funziona, funziona! – esclamò l'alchimista trionfante, e man mano che cresceva di statura anche la sua voce si faceva più acuta, come sbalzata verso altezze vertiginose dall'eccitazione. – Sarò re, più che re, e tutti mi obbediranno, persino quei due sovranucci da nulla, e dovranno inginocchiarsi di fronte a me, e fare tutto quello che io chiedo, o me li mangerò in un sol boccone...
La voce dell'alchimista, tanto acuta da essersi fatta femminea, zittì di colpo. Quello che era stato un tempo destinato a marciare come un soldato semplice si rimirò nello specchio, incredulo di fronte a ciò che vedeva. L'alta corona sulla sua testa era ciò che si era aspettato di ottenere, ma le curve nella sua figura longilinea, le labbra piene, la lunga chioma che scendeva oltre le spalle rivelavano che c'era stato un piccolo effetto imprevisto nel trangugiare la pozione così attesa e accuratamente preparata.
Il pedone alchimista era diventato una splendida regina.

2 commenti:

  1. Davvero un finale imprevisto e racconto ben scritto

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    1. È stata una sorpresa anche per me quel finale... a volte, quando inizio, non so dove andrò a parare! Grazie, felice che ti sia piaciuto!

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