lunedì 10 gennaio 2022

Creatori di sogni


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Maksim Goncharenok da Pexels


Non c'era alcun dubbio che il mio bizzarro ospite dagli occhi arcobaleno dovesse tornare da dov'era venuto. L'idea di tenerlo qui, una volta appurato che era reale e una volta passato lo stordimento seguito a quella constatazione, era durata finché quegli spaventosi assassini onirici non avevano attentato alla sua vita, e di conseguenza anche alla mia visto che ci trovavamo molto vicini in una stanza piccola. E lui era certo che quelli fossero stati solo i primi di una lunga serie, perciò era deciso: doveva andarsene.
Prendere quella decisione, per quanto la cosa mi rammaricasse, era stato molto più semplice che mandarlo via effettivamente.
Era venuto da un sogno, e in un sogno doveva tornare. Ed ero stata io a portarlo in questa realtà. Ripercorrere i nostri passi al contrario significava addormentarci assieme, a stretto contatto. Ci provammo. Vincendo l'imbarazzo del suo corpo vicino al mio sul mio letto singolo, chiusi gli occhi e cercai di abbandonarmi al sonno. Invano.
Né io né lui riuscimmo a dormire quella mattina.
Fare colazione assieme dopo che le mie coinquiline erano già uscite da un pezzo mi sembrò ancora più strano di quanto non fosse stato svegliarmi e trovarlo sdraiato sul pavimento della mia camera. Eravamo entrambi nervosi, anche se per motivi differenti. Da parte mia, vedermelo gironzolare attorno da sveglia, nell'ambiente familiare della mia cucina, mi sembrava ancora impossibile. Ogni tanto sentivo l'impulso di toccarlo, per assicurarmi di non essermelo immaginato, ma non osavo farlo. Nei suoi occhi iridescenti invece leggevo la cautela, e non sapevo se fosse guardingo a causa mia o se si aspettasse da un momento all'altro l'arrivo di un assassino.
Non potevo biasimarlo. Avevo combinato un bel casino.
Riprovammo quella sera, e non so se fu perché ero stanca per la giornata passata continuamente a muoverci, o per la "polvere di sogno" che lui si era procurato da certi tipi loschi, ma crollai immediatamente. Nonostante la sua mano avvinghiata alla mia, e il suo bel volto a pochi centimetri di distanza.
Riaprii gli occhi sdraiata su un prato verde, circondata da corolle di margherite, il calore del sole sul mio volto e un melodioso tintinnio di campane a vento proveniente da chissà dove. Sotto di me, le stelle.
Quando mi resi conto che la terra era sopra e il cielo sotto, caddi. Precipitai tra le stelle urlando, accompagnata da quel tintinnio tanto rilassante quanto beffardo. Una risata e lui, il ragazzo dagli occhi arcobaleno, fluttuò al mio fianco e mi tese la mano. Continuai a cadere in un caleidoscopio di stelle, con lui accanto che invece pareva non muoversi affatto, finché non afferrai la sua mano e iniziai a volare.
L'esperienza fu esilarante.
– Da questa parte – mi disse lui. Attraversammo nebulose e scie di comete. Lui sembrava sapere dove andare, e io non potevo far altro che fidarmi, anche se avevo mille domande.
– Stiamo davvero sognando? Insomma, non ho mai fatto un sogno del genere, sembra così...
– Vivido? – mi chiese, e scostando una voluta di nube che ci vorticò attorno, rivelò un cielo limpido sopra un enorme albero circondato da acque placide. Fra i rintocchi delle campane a vento, udii lo sciabordio delle onde, e un profumo fresco, di alghe e di acque lacustri più che marine.
– Siamo in un universo bolla. Molto limitato ed effimero: appena ce ne andremo, collasserà e svanirà.
Mi rattristai, mentre scendevamo verso l'albero, all'idea che quel paesaggio da sogno avrebbe cessato di esistere.
– Ma finché siamo qui, noi siamo i creatori. Non c'è limite a quello che possiamo immaginare... e fare.
I suoi piedi toccarono l'acqua, ma non affondarono. Due increspature gemelle si allargarono sulla superficie e si diressero incontro all'orizzonte.
Io continuai a fluttuare in aria, trattenuta dalla sua mano come un palloncino, o un aquilone legato a un filo. La sua occhiata serena, e la sua fiducia nella capacità di quell'acqua d'argento di sostenerci, mi indussero a scendere a mia volta.
L'acqua, quando la toccai con i piedi nudi, mi parve impalpabile come nebbia, eppure morbida.
Avanzai al suo fianco, quasi saltellando tra le increspature che i nostri passi generavano, e attorno a noi dall'acqua si elevarono formazioni cristalline, trasparenti e variopinte, dai colori pastello: corallo e celeste, lilla, verde acqua, panna, turchese, ametista e cipria, e tante altre sfumature.
– Dimmi quando senti che stai per svegliarti. Così lascerò la tua mano, e potrai andare.
Abbassai lo sguardo alle nostre dita allacciate. E arrossii. Non mi aveva più messo in imbarazzo stare mano nella mano come fidanzatini finché lui non aveva accennato alla cosa. Mi schiarii la voce e gli chiesi: – E tu, cosa farai dopo?
– Aprirò una porta verso l'universo bolla da cui mi hai strappato. Così ognuno di noi tornerà al suo posto.
Lui si fermò. Sotto la superficie, a un passo dai suoi piedi, un faro si elevava verso le profondità del lago. Sembrava il riflesso di un ricordo in assenza di ciò che lo aveva originato.
– Perché non adesso?
Lui allungò la mano e un muro d'acqua sorse in corrispondenza del riflesso. Capii ben presto che l'acqua stava ricreando quel faro mancante. Allungai la mia mano libera e immaginai i dettagli del muro circolare, le scanalature tra i mattoni, il vano di una finestra...
Gli sorrisi. In fondo, creare questo sogno non era poi così difficile, una volta che ci avevo preso la mano.
– Perché gli altri avranno di sicuro notato la mia assenza, a questo punto. Non voglio metterti nei guai.
Continuammo a ricreare il faro, in silenzio dopo quella risposta, finché la melodia di campane a vento si diradò, le note sempre più distanti e flebili, e sotto i miei piedi non avvertii più la fresca morbidezza di quell'acqua solida.
– Sto per svegliarmi – gli dissi, nell'avvertire quello strano stordimento che accompagnava l'allentamento della mia presa su quella realtà. Subito lui mollò la mia mano come se lo avessi scottato.
– Ci rivedremo? – gli chiesi. La mia voce mi parve pesante e lenta, come quella di una persona assonnata, e a malapena udii la sua risposta mentre tutto quanto diventava buio.
– Vieni al circo. Conosci la strada...
Aprii gli occhi nel mio letto. Sopra di me il soffitto immerso nella penombra della notte, rischiarato a malapena dalla lampadina sul comodino. Accanto a me un altro respiro, e quando mi girai lo scorsi ancora lì, sul mio letto, profondamente addormentato.
Non era svanito così come era comparso. Sospirai e mi accinsi ad attendere il suo risveglio.
– Dovevo immaginarlo che non poteva essere così semplice.

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