lunedì 17 gennaio 2022

Il borgo a strisce


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Foto di cottonbro da Pexels


Il borgo era tutto a strisce. Erano a strisce di legno chiaro e scuro le casette sparse tra gli alberi della foresta, era a strisce di verde, punteggiato di fiori di diversi colori, l'erba che ricopriva i tetti, erano a strisce di terra e ghiaia i sentieri che collegavano le varie abitazioni, erano a strisce i vestiti degli abitanti che si voltarono a guardarci, ed era a strisce, incredibile a dirsi, persino la loro pelle. Strisce ovunque, larghe o strette, parallele o incrociate, dritte o curve. Anche il canto degli uccellini tra i rami in quella zona della foresta pareva procedere s strisce, con un'unica nota acuta ripetuta a cui rispondeva da un altro ramo, dopo una pausa, una monotona nota più grave. E il vento, il vento! Camminando, si passava incessantemente da una zona di brezza a una di quiete, e alla successiva striscia di vento capitava talvolta che questo soffiasse in direzione opposta. Quando arrivammo nei pressi delle prime case, dopo ormai cinque o sei di quelle zone di vento, io dissi: – Magia! – e girai sui tacchi.
Ma Alcyone fu svelta a prendermi sottobraccio, esclamando: – Non fare il maleducato, Trevis!
Quella gente a strisce infatti ci stava venendo incontro con sorrisi amichevoli, e il gruppetto sembrava in tutto e per tutto un comitato d'accoglienza. Ma io sapevo che non poteva essere così semplice. Dove arrivava Alcyone, non lo era mai.
Io lo avevo detto fin dall'inizio che prendere una scorciatoia nella foresta non ci avrebbe portato a nulla di buono, ma Alcyone naturalmente non era del mio stesso parere, e dato che al momento viaggiavamo con una lucertola trasformata in lacchè da una donna ancora più stramba di lei, ero stato disgraziatamente messo in minoranza. E così ci eravamo persi nella foresta ed eravamo capitati in quello strano borgo.
– Benvenuti, stranieri, nel borgo a strisce! – disse uno degli zebrati, facendosi avanti rispetto al gruppetto che era venuto a osservarci. Non dovevano avere molte visite, poiché loro ci guardavano esattamente come noi guardavamo loro.
– Ma voi... voi siete a strisce – mi sfuggì dalle labbra, prima che potessi rendermene conto.
– Anche tu – disse il tizio striato, indicando la mia mano destra.
Me la portai di fronte agli occhi: in effetti, le dita, il palmo e il dorso della mano, fino al polso, erano coperti di strisce verde scuro, quasi nero, che si alternavano al mio colorito naturale.
– Oh no... una maledizione! – bisbigliai, squadrando Alcyone in cagnesco. – Ed è contagiosa!
Se ci fossi rimasto secco sarebbe stata colpa sua, e Alcyone lo sapeva, ma se ne stava lì tranquilla come al solito, impervia a qualsivoglia preoccupazione.
Il nostro interlocutore si schiarì la voce: – No, nessuna maledizione. Per caso, hai toccato un rampicante dalle foglie a strisce, venendo qui?
– Ah. Sì. Impossibile non toccarlo: è dappertutto – dissi, sottraendo la mano incriminata al lacchè che si era messo a far saettare la lingua per saggiarla in modo tipicamente lucertolesco. Certe abitudini sono dure a morire, anche se ormai era stato trasformato in un uomo da giorni, e ancora non avevamo trovato una cura. Storia lunga, che racconterò un'altra volta.
– Edera striante. Ecco svelato il mistero – confermò il mio interlocutore. – Quella pianta ha causato le strisce sulla tua mano. Con il tempo, si allargheranno anche al braccio, e poi a tutto il corpo.
– Con... il tempo? E dopo quanto mi passerà? – Strinsi nell'altro palmo la mano striata, come a voler nascondere quell'anomalia. In genere, io ero il più normale del gruppo, ma in questo caso né Alcyone né il signor lucertola sembravano presentare i miei stessi sintomi. Eppure eravamo passati tutti e tre per lo stesso sentiero.
– Mai – sentenziò in tono grave una donna a strisce nere e arancio in mezzo al gruppo.
– C-cosa? – mi mancò la voce, e non riuscii a balbettare altro.
– Perdonate Tigrata. Le piace scherzare – disse in tono bonario l'uomo che aveva parlato per primo, e che pareva il più anziano tra quelli che ci erano venuti incontro. Persino la sua lunga barba era sale e pepe ma a strisce ben definite, che scendevano dal mento in onde e volute. – In realtà, in un paio di giorni dovresti tornare alla tua... tinta unita.
L'uomo lo pronunciò con un tono di scherno. Gli altri membri del comitato d'accoglienza ridacchiarono, poi ci fecero segno di seguirli, e ci condussero a fare il giro del borgo. Non mancava nulla, da quelle parti. C'era un fabbro che batteva strisce di metallo, e un falegname che intagliava strisce di legno, e una sarta che tagliava e cuciva strisce di tessuto. Tanto che cominciai a domandarmi se il panettiere non facesse che grissini, e il cuoco solo piatti in cui si affettava tutto a listarelle.
Alle spalle del gruppo, dopo aver visto un recinto di caprette che i nostri accompagnatori avevano sbirciato con cupidigia, Alcyone bisbigliò: – Sai, si dice che da qualche parte, in una foresta, viva un gruppo di tigri mannare, e che chiunque le trovi non torni più a casa.
Era decisamente il momento sbagliato per avvisarmi di quella diceria. Primo, perché in caso fosse stata vera, e la foresta fosse stata quella in cui ci trovavamo, era un po' tardi per avvertirci. Secondo, perché il lacchè lucertola sentì quel bisbiglio e cominciò ad agitarsi.
– Tigri? Le tigri sono... gatti? – chiese ad Alcyone, girando la testa a scatti tutt'attorno.
– Sono gatti molto più grandi dei gatti – rispose la ragazza. – E molto più feroci.
Anche questo non avrebbe dovuto dirlo. Il signor lucertola respirò affannosamente, e quando notò che chiunque attorno a noi stava sorridendo, la dentatura bene in mostra tra le strisce che decoravano i volti, prese a dire in modo sconnesso: – Gatti! Grossi gatti! Gatti carnivori! Gatti zannuti! Gatti!
Poi gettò le braccia in aria e corse via urlando.
– Uh... che gli è preso? Dove va? – domandò il nostro accompagnatore striato, all'oscuro della disavventura del nervoso lacchè che una volta per un gatto ci aveva rimesso la coda.
– A nascondersi sotto un sasso, senza dubbio – conclusi io, che avrei tanto voluto tagliare la corda nello stesso modo, se avessi avuto meno dignità di quella che avevo. Invece, feci buon viso a cattivo gioco e proseguii la visita, guardingo come al solito, tigri o non tigri.

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