lunedì 3 gennaio 2022

Illusione di vita


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Foto di cottonbro da Pexels


Come uscita dal cilindro di un prestigiatore, la nebbia bluastra saliva rapidamente a lambire le lapidi e i piedi delle statue angeliche del vecchio cimitero sulla collina. Un grosso ulivo contorto, una pianta antica e l'ultimo residuo del tempo in cui la collina era terreno coltivato come tutte le altre alture della zona, era l'unico guardiano notturno delle tombe e dei loro residenti, e fungeva da casa per una numerosa colonia di corvi che ciarlavano in continuazione, a tutte le ore, con le loro sinistre voci gracchianti. Non era mia abitudine uscire nel cuore della notte, e mai avevo varcato nel buio i cancelli del cimitero, ma i miei amici mi avevano sfidato a farlo, asserendo che sarebbe stata "un'esperienza divertente".
Incassai la testa al gracchiare dei corvi sui rami sopra di noi e mi guardai attorno, cosa non facile, nella nebbia che s'infittiva e amplificava le mie paure. Le pietre grigie e lugubri che si ergevano da terra tutte storte parevano i denti male assortiti di un mostro. – E se incontriamo qualcosa? – bisbigliai timorosa.
– Qualcosa... tipo? – chiese il più spavaldo di noi. Sapevo che se ne andava a zonzo di notte, e si raccontava che più di una volta avesse varcato i cancelli a protezione di questo luogo. – Una spaventosa creatura delle favole? – Il ragazzo rise, e io m'imbronciai.
Uno dei corvi scese a terra svolacchiando in modo maldestro, e atterrò a pochi passi da noi. Cominciò a gironzolare tra l'erba, per nulla infastidito dalla nostra presenza.
– Non mi dire che hai paura dei fantasmi – rincarò la dose il fratello del primo ragazzo.
– Certo che no, sarebbe ridicolo – borbottai io. La luna piena, con il suo chiarore, rendeva la nebbia che ormai ci avvolgeva una coltre lattiginosa. Forse fu per quello che dapprima non ci accorgemmo di nulla. O forse perché eravamo troppo impegnati a battibeccare tra noi, e i nostri bisbigli, uniti al gracchiare dei corvi, ci impedirono di sentirlo.
– Sì, però, ci sbrighiamo? – intervenne la mia migliore amica, senza la quale non sarei mai partita per quell'avventura. – Qualunque cosa dobbiamo fare, facciamola adesso. Io non voglio incontrare la gente delle ombre.
Tremammo tutti quando la mia amica li nominò, perfino il più spavaldo tra noi non poteva immaginare di incrociare uno di quei mostri senza farsela sotto dalla paura. La gente delle ombre che oscura la terra e ti guarda senza vederti, e passa attraverso di te gelandoti l'anima. Questo si diceva di loro. Storie tramandate dal passato, perché nessuno che conoscevo ne aveva mai incontrato uno. La gente delle ombre aveva ormai abbandonato il vecchio cimitero sulla collina.
D'improvviso un soffio di vento ci portò il mormorio di un respiro inquietante, e la terra tremò sotto i colpi di un passo pesante. Ci fissammo negli occhi spalancati e poi i miei amici si dileguarono tra la nebbia, disperdendosi in tutte le direzioni. – Aspettatemi! – gridai, ma fu inutile. Io ero rimasta indietro.
Non riuscivo a capire da dove venisse e verso dove fuggire. I passi, il respiro, sembravano ovunque attorno a me, confusi nel vento. Quando avvertii la sua ombra su di me, era già troppo tardi.
L'istante dopo quell'essere dalle lunghe gambe uscì dalla nebbia e mi fu addosso. Inorridii nello scorgere i suoi piedi calpestare crudelmente gli steli d'erba, invece di fluttuare leggeri tra le foglie. Perfino il corvo che era sceso dall'albero lanciò un richiamo ai suoi simili prima di prendere il volo e fuggire dalla creatura e dalla sua ombra. Io invece non riuscii a muovermi.
Fissai inebetita i suoi occhi ciechi, il suo sguardo che non coglieva la mia presenza. Un ultimo passo, e il suo corpo si sovrappose al mio.
E allora non fu il gelo, ma un calore rovente a scuotere il mio ectoplasma. Mi sentii pesante, ancorata alla terra, le orecchie pulsanti di un battito strano, ritmico, ipnotico. Un'oppressione al petto mi costringeva a gonfiarmi e sgonfiarmi, proprio come faceva quel ragazzo della gente delle ombre. Che strana illusione, ricordavo di avere avuto anch'io un'ombra un tempo, e piedi sulla terra, e una casa al di là dei cancelli del cimitero, invece di una dimora tra la terra delle tombe. Ma non poteva essere, io ero io da sempre, non ero mai stata nient'altro che me stessa... o forse no?
Il ragazzo della gente delle ombre mi oltrepassò e sparì nella nebbia, portando con sé tutte quelle strane sensazioni, e lasciandomi da sola a riflettere su ciò che avevo provato, forse, ricordato.
Non oltrepassai i cancelli del cimitero, non uscii dalla mia casa quella notte. Ma le successive fui io a incitare i miei amici a farlo, e varcai per prima quei confini, segretamente alla ricerca della gente delle ombre, di un ricordo, di un'ultima illusione di vita.

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