lunedì 10 luglio 2023

Dopo la battaglia


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Foto di Mateusz Dach da Pexels


Mentre mi guardavo attorno quella notte, tra la folla che si aggirava fra le giostre e i banchetti del Luna Park, riuscivo solo a pensare a quanto fossero fortunate tutte quelle persone, ignare di che schifo di giornata avevamo passato io e i miei amici. Nessuno avrebbe potuto immaginarlo nel vederci passeggiare lungo il vialetto illuminato da una fantasmagoria di luci al neon, un gruppetto di quattro ragazzi che si divertivano alle giostre come ce n'erano tanti. Anna si era un po' ripresa, perlomeno non era così pallida e tremante come quando avevo dovuto aiutarla a farsi una doccia nel bagno della camera d'albergo che la cugina di Alex ci aveva messo a disposizione per darci una sistemata. Aveva mangiato poco alla cena offerta dai due cugini americani, la cosiddetta festa segreta per il salvataggio del mondo, ma nell'ultima ora le era venuta abbastanza fame da accettare di dividere con me un sacchetto di patatine, poi uno di popcorn, che aveva mangiato quasi per intero, e infine si era scelta un cono doppia pallina tutto per lei.
Io non avevo commentato, se aveva bisogno di zuccheri dopo quella brutta esperienza, che facesse pure, Anna era la mia migliore amica e avrei fatto tutto il possibile per farle dimenticare quello che ci era capitato. Quello che lei era stata costretta a fare.
Ma Ariele, la cugina di Alex che sicuramente aveva un altro nome ma che non ci aveva mai detto come chiamarla al di là del suo personaggio nel gioco, all'ennesimo boccone di cibo spazzatura ingurgitato dalla mia amica scosse la testa e disse: – E insomma, ti porto in un ristorante esclusivo e non mangi niente, poi ti porto in un comunissimo Luna Park e ti divori ogni schifezza su cui riesci a mettere gli occhi? Certo che voi italiani siete proprio strani!
Alex a quelle parole scoppiò a ridere. Non tanto perché erano state pronunciate da una ragazzina quattordicenne, la più giovane nel nostro gruppo, e nemmeno perché Ariele stessa, fedele al suo personaggio di maga dei ghiacci, si era concessa un ghiacciolo per concludere la serata. Alex non aveva smesso di avere di tanto in tanto delle esplosioni di ilarità casuale in tutta la serata. Ognuno di noi affrontava lo stress di essere stato preso di mira da uno psicopatico, e di averlo dovuto combattere, a modo suo.
Ma per Alex si trattava di qualcosa di più. Era diverso, da quella battaglia. Più vivo di quanto non fosse mai stato. Il vecchio Alex, così freddo, controllato e quasi incapace di toccare un altro essere umano, non si sarebbe mai sporcato le mani con una soffice nuvola di zucchero filato, che non esitava a offrirmi direttamente dalle sue dita appiccicose di fili candidi.
Ci sedemmo su una panchina, a guardare i vagoni percorrere i binari sferraglianti di un ottovolante, illuminati da dietro dall'ampio cerchio di raggi lampeggianti di una ruota panoramica.
Alex e la cugina avevano già fatto tutti i giri che volevano, come due ragazzi normali. Ora che li conoscevo meglio, avevo il sospetto che quella fosse un'attività in cui non indulgevano spesso, perché loro normali non lo erano affatto.
Io e Anna, invece, ci eravamo tenute lontane dalle giostre. Lei non era tipo da montagne russe, e per quella sera nemmeno la giostra cavalli l'attirava troppo. Da campionessa qual era, di solito in un posto del genere si fermava sempre alla bancarella del tiro a segno, e si divertiva a fingere di non aver mai maneggiato un arco per poi sorprendere l'addetta al gioco e i curiosi di passaggio con una serie di centri perfetti, ma stavolta di fronte ai bersagli aveva tirato dritto, e io non le avevo proposto di provarci.
Ero là quando era successo. Il ricordo dell'ultima freccia che aveva scoccato era ancora troppo fresco.
– Allora, che cosa farete adesso? – chiese Ariele che non aveva mai smesso, mai nemmeno per un istante di sembrare una ragazzina qualunque, frizzante di allegria.
Diversamente da me, che cercavo di mostrarmi forte, per Anna soprattutto, ma che non avevo mai smesso di vedere ovunque andassimo l'orribile volto perfidamente compiaciuto di Dhamantin, quando aveva preso Alex in ostaggio, e che saltavo per ogni urlo delle persone sulle giostre e per ogni scoppio di popcorn o palloncino. Ero talmente tesa e guardinga, che probabilmente ero stata la sola a notare che Sellit ci aveva seguito e ci teneva d'occhio fin da quando eravamo usciti dal ristorante.
Aveva tentato di avvicinarsi al nostro tavolo a metà della cena, ma la mia occhiata ostile lo aveva convinto a desistere e a cenare da solo. Non gli avrei più permesso di avvicinarsi ad Anna, non dopo averla usata come un'arma. Lui avrebbe dovuto essere l'adulto responsabile e trovare un modo migliore di risolvere il problema.
Anna emise un mugolio e s'incurvò su sé stessa. – Io... non credo che giocherò mai più a Duel – bisbigliò in tono flebile.
– Non devi decidere adesso, hai tutto il tempo per... – fece per dire Alex, ma io lo afferrai per un braccio e scossi la testa.
– No, va bene – replicò Ariele. – Se vuole smettere può smettere, può farlo quando vuole, lei non ce l'ha nel sangue.
Mi diede fastidio sentirla parlare come se Anna non fosse lì con noi, perciò sbottai: – Puoi smettere anche tu, se è per questo.
Ariele scoppiò a ridere. – Io? Ma io vincerò il premio, perché mai dovrei smettere?
Per un istante, mi sembrò tornare l'irritante ragazzina piena di sé che mi aveva sfidato all'aeroporto.
– Se non ci arrivo prima io – ribatté Alex, con la sicurezza ritrovata dopo essere sopravvissuto a una battaglia in cui aveva perso tutto, ed era stato pronto persino a sacrificare sé stesso. Ricordarlo in quello stato mi faceva male. – Dimentichi che adesso posso offrirti una vera concorrenza.
E, quasi a volerglielo dimostrare, Alex sparì per una frazione di secondo e poi riapparve. Si divertiva troppo a sfruttare il suo potere sulla distorsione da quando aveva scoperto di averlo, ma immaginai che fosse così quando si avevano parecchi anni da recuperare.
– E tu, Shariza, che cosa farai... – iniziò a dire Ariele, chiamandomi con il mio nome nel gioco, ma si zittì alla voce di Anna che biascicava qualcosa, coperta dagli annunci di ultimo giro e dalla musica da discoteca dei vicini autoscontri.
Ci chinammo verso di lei e Anna ripeté: – Ma che cos'è questo premio di cui parlate tanto?
Alex e Ariele si fissarono negli occhi, poi quest'ultima sbirciò nell'angolo in penombra in cui avevo intravisto Sellit prima, quando ci eravamo seduti sulla panchina. Lui non c'era più, ma dal cenno di Ariele immaginai che il bastardo si fosse avvicinato a noi nella distorsione per ascoltare non visto i nostri discorsi e in qualche modo avesse consegnato un messaggio alla ragazzina.
– Avete rischiato la vita per proteggerlo, perciò suppongo che...
– Ne avremmo fatto volentieri a meno – la interruppi. Stavolta fu Alex a toccarmi un braccio e a scuotere la testa per zittirmi.
Ariele si guardò attorno prima di proseguire. – Ecco, questo è il segreto meglio custodito di tutta l'umanità, perciò non andate a dirlo in giro, d'accordo? Il gioco in realtà è antichissimo, da molto prima dell'invenzione dei Simpler con cui giocate voi, ed è stato ideato per decidere di volta in volta il custode di una cosa chiamata Chiave di Agarthi.
Io e Anna fissammo Ariele senza capire. "E allora?" stavo per chiedere, ma prima che potessi farlo, Alex si affrettò a chiarire.
– È un oggetto, o un potere che si tramanda, nessuno sa di preciso che forma abbia, ma quello che sappiamo è che consente di fare nella realtà ciò che possiamo fare nella distorsione.
– Intendi anche le variazioni di campo che hanno a disposizione i giocatori Pro? – chiese Anna, che nelle mille regole di Duel era anche più ferrata di me.
– Intendo tutto – ribatté Alex. – Manipolazione totale del tessuto della realtà a livello globale. Di solito il custode mantiene la promessa di non usarlo...
– Di solito – gli fece eco Ariele. – C'è stato qualche piccolo incidente nel corso della storia, ma nulla di veramente preoccupante.
– Nulla a confronto di cosa sarebbe successo se quel genere di potere fosse caduto nelle mani di uno come Dhamantin – concluse Alex, serio come non era mai stato in tutta la serata. Non era il momento per gli scoppi di riso, quello. – E ci era vicino, molto vicino. Sellit aveva ragione, andava fermato. Con ogni mezzo.
Anna, che si era coperta la bocca con le mani a quella rivelazione, le scostò per domandare: – Ma allora... allora abbiamo davvero salvato il mondo?
Quello fu il momento in cui cominciò ad accettare come inevitabile, e giusto, ciò che aveva dovuto fare. Ovvio, non lo rendeva meno terribile, ma si era trovata senza volerlo nel bel mezzo di una battaglia, non in un gioco di ruolo, ma una battaglia vera e propria, e aveva dovuto scegliere.
– Certo, non l'ho detto mica così a caso, eh! – esclamò Ariele, esibendosi in una smorfietta comica. – Non avrai creduto di aver partecipato a una finta festa segreta per il salvataggio del mondo, vero?
Anna non riuscì a resistere e scoppiò a ridere, seguita da Alex. Al contrario di quella del ragazzo, quella della mia amica era una risata ancora un po' incerta, con un che di amaro e di forzato.
– Allora non so se toccherò mai più un arco, ma ne è valsa la pena – mi disse Anna, sedendosi più rilassata contro lo schienale della panchina. – Tenkaya sarebbe fiera di me, vero? – mi chiese, riferendosi al suo personaggio nel gioco.
– Io sono fiera di te, Anna – le bisbigliai all'orecchio, e poi sedemmo zitti, tutti e quattro, gli occhi al cielo a goderci i fuochi d'artificio appena iniziati i cui scoppi, oltre a farmi trasalire a ogni colpo, rendevano impossibile ogni ulteriore conversazione.
Avevamo vinto. La battaglia era finita. Io e Anna, che continuassimo o meno a giocare a Duel, ci saremmo guardate bene dal lasciarci coinvolgere di nuovo in una situazione simile.
Per Alex e Ariele, invece, la guerra era appena iniziata. Ma per loro non mi preoccupavo, perché non era solo qualcosa che avevano nel sangue, l'eredità della loro famiglia.
Quella era la vita che avevano scelto.

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