lunedì 3 luglio 2023

Piccoli amici


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Pixabay da Pexels


Suré è una bambina, la mia bambina. Ma è ancora una bambina, e non dovrebbe esserlo.
Ha ventidue anni, ormai dovrebbe essere una donna, prendere marito, se mai ne trovasse uno che non si spaventi di fronte alle squame sul suo volto e sul suo corpo, avere dei figli se le sarà possibile, so che raramente lo è per un sanguemisto come lei ma quando l'ho portata qui per tenerla al sicuro io lo speravo.
Speravo tanto che potesse avere una vita normale, lei che normale non è mai stata.
E invece sembra ancora una bambina di non più di sette anni. Una bambina dalla mente di donna e i poteri di un drago. Era sempre stata piccola per la sua età, ma non immaginavo che lo sarebbe rimasta così a lungo.
A volte maledico il giorno in cui mi sono lasciata sedurre da suo padre quando si è presentato sotto le spoglie di un affascinante straniero. Ma non posso rinnegare quella notte, non posso immaginare che Suré non sia mai venuta al mondo.
Anche se da allora il drago ci ha dato la caccia e abbiamo abbandonato la terra che conoscevamo per questa realtà diversa, dove i draghi non possono giungere e dove le storie su di loro sono solo visioni di un ubriaco, o favole inventate da un vecchio monaco, o al massimo il ricordo distorto, tramandato di bocca in bocca, di ciò che ha scorto qualcuno che ha il dono di guardare oltre il confine tra i mondi.
Da allora siamo esuli, doppiamente tali, poiché non possiamo restare per troppo tempo in un posto, non con la lunga e innaturale infanzia di Suré a suscitare chiacchiere.
E le chiacchiere, qui, fanno troppo in fretta a diventare accuse di aver venduto l'anima al diavolo per avere da lui una figlia.
Ma quello arriva verso la fine, quando è tempo per noi di andarcene. Di norma al nostro arrivo, il primo ostacolo da superare quando chiedo ospitalità in cambio del lavoro delle mie braccia in una nuova fattoria è convincere la famiglia del fattore che Suré non ha la lebbra, che il male che le ha deturpato il volto non è contagioso. Molte volte la porta mi è stata sbattuta in faccia perché non mi credevano.
Ma anche laddove mi davano fiducia, come nella fattoria in cui mi trovo ora, io e Suré non eravamo al di fuori di ogni sospetto. Le altre madri, pur se dicevano con pietà che Suré sarebbe stata una bella bambina se non avesse avuto il volto rovinato, raramente permettevano ai loro figli di giocare con lei, e i bambini stessi tendevano a girarle al largo.
Per questo, e perché ci spostavamo spesso, Suré non aveva mai avuto amici. E più passava il tempo, più le diventava difficile averne.
Perciò, quando la mattina Suré mi raggiungeva nel pollaio facendo scappare tutte le galline, o mi correva dietro tra la stalla e il recinto dei maiali, e alle mie domande su dove fosse stata rispondeva con un "sono stata a giocare con i miei piccoli amici", io sapevo che non era agli altri bambini che si riferiva. Qualche volta, quand'ero in vena, fingevo di non saperlo, mi fermavo a riposare sotto un albero e girandomi a guardare i fanciulli che correvano in giro per l'aia con passi leggeri e un concerto di gridolini e risate, le chiedevo: – Ah sì? E chi di loro ti ha sporcato di fango l'orlo della veste, o ti ha infilato foglie tra i capelli?
Un tempo, all'inizio, mia figlia rispondeva in modo scherzoso, indicandomi il più mite e timoroso del gruppo, o replicando che se qualcuno ci avesse provato si sarebbe ritrovato con gli abiti tutti bruciacchiati, o ancora suggerendo che il responsabile era altrove a farsi un bagno da quant'era ricoperto di fango e di foglie a seguito dell'impresa.
Ma sempre più spesso la sua risposta era un indignato: – Mamma, ma quelli sono bambini! Non perdo più il mio tempo con i bambini, e tu lo sai.
Sì, lo sapevo. Lo sapevo, anche se mi faceva male sentirlo pronunciare da quella vocetta infantile, eppure così seria.
Lo sapevo perché qualche volta l'avevo seguita oltre i pascoli, lontano dalla fattoria, nei boschi. L'avevo vista sdraiarsi a terra per lunghe ore e attendere paziente, con un boccone di pane nella mano allungata, finché uno scoiattolo, o un uccellino, o un topo, o un coniglio, o anche una biscia di passaggio, per nulla interessata alla sua esca ma sfortunata abbastanza da trovarsi nei paraggi, non le arrivava abbastanza vicino. Allora Suré, con gli occhi che luccicavano, spalancava la bocca e soffiava le fiamme sulla sventurata creatura, o le balzava addosso e stringeva forte con le piccole mani, e poi giocava con la sua preda come fanno i gatti, finché non si stancava e non la divorava.
Ci avevo provato, ma non ero riuscita a spegnere l'istinto del drago che era dentro di lei. Almeno le avevo insegnato a non farlo di fronte ad altri occhi che non fossero i miei, perché stranamente Suré sembrava sempre consapevole di quando la seguivo, e non dubitavo che avrebbe riconosciuto dai passi o dall'odore o da chissà che altro la vicinanza di uno sconosciuto.
Ma questo non mi impediva di chiederle, ogni volta che tornava dopo essere stata a "giocare con i suoi piccoli amici", se era stata prudente.

Nessun commento:

Posta un commento