lunedì 10 settembre 2018

Il ponte sul canyon

(racconto ispirato alla Sfida numero 5. La foto è di un luogo che ho visto questa estate. La prima descrizione è dal punto di vista della mia esperienza lì, per la seconda ho scelto il punto di vista di un alieno ipocondriaco)
 
 
Foto dalle mie vacanze, Canyon Rio Sass, Fondo (TN).
 
 
Un ponte di pietra si staglia contro il cielo limpido, stretto tra le pareti del canyon. L'arco taglia a metà l'azzurro, in netto contrasto con la linea diritta del parapetto sulla sommità. Rami carichi di foglioline verde chiaro si protendono nel vuoto da entrambi i lati, restringendo la vista del cielo in un sentiero parallelo a quello tracciato a terra dalla forra. Sotto al ponte, sono appese quattro piccole strutture a forma di campanella, e ho l'impressione che se solo ci fosse un alito di vento, dondolando si metterebbero a tintinnare. Mi ricordano la campana a vento di un gigante. All'ombra si sta bene, riparati dalla roccia il calore del sole quasi non si sente. Ciò che si sente, invece, e non si può ignorare, è il ruggito del torrente sotto i nostri piedi, che copre le voci dei miei compagni di avventura impedendoci di conversare o commentare il paesaggio ai nostri fianchi. Mi godo, a ogni passo, il rintocco dei piedi sulla passerella di metallo, e mi perdo nel profumo fresco delle felci e della pietra.


Primo giorno dall'atterraggio. In questo posto ogni cosa è bizzarra e ostile.
Dopo i primi quattro tempi e mezzo, i miei condotti auricolari hanno cominciato a ronzare per il fastidiosissimo frastuono prodotto da una gran quantità d'acqua che scorre in profondità tra la roccia. Ogni tentativo di frenarla con la pistola congelante è stato inutile. Staccare pezzi di roccia e vegetazione e gettarli tra i flutti per creare una diga si è rivelato altrettanto futile. Tra l'altro, ritengo di aver scoperto che le piante indigene, ricoperte di questi minuscoli frammenti a forma di goccia di un verde malato, sono velenose. Non è normale che sulla mia epidermide siano comparse, un tempo dopo il contatto, numerose macchie della stessa forma e colore. Suppongo che a breve morirò.
Nell'insperato caso della mia sopravvivenza, ho esplorato l'area per stabilire un campo base. Sono ragionevolmente certo che alcune strutture, come l'arco di pietra sopra di me e le griglie di metallo grigio che compongono la strada sospesa su cui mi muovo, non siano di origine naturale. Da una prima analisi, sembrano usurate e non molto stabili. Ogni tempo che passo qui corro il rischio di vedermi franare la roccia addosso o di precipitare nell'acqua turbinosa. Senza contare il pericolo rappresentato da chi le ha costruite: non posso prevedere se e quando torneranno, o la reazione nel trovarmi a casa loro.
Comincio a non sopportare più l'odore metallico del sentiero e la puzza di materia vegetale che marcisce nell'umidità persistente. Che l'aria sia respirabile, non la rende buona. La temperatura è appena tollerabile. Non voglio restare qui una frazione di tempo più del necessario.
Appena completate le rilevazioni, me ne tornerò al sicuro nell'ambiente asettico e controllato della mia nave.

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