sabato 1 settembre 2018

Mitridatizzare

Un verbo! Da quanto non ne sceglievo uno. E come in altri casi già presentati tra queste pagine, il termine deriva dal nome di una persona: Mitridate VI, re del Ponto, che temendo di essere ucciso dai suoi nemici si rese immune ai veleni noti all'epoca con la somministrazione prolungata di piccole dosi di quegli stessi veleni. Confermando così il detto "ciò che non ti uccide, ti rende più forte"!

Mitridatizzare [mi-tri-da-tiz-zà-re] v.tr. [sogg-v-arg-prep.arg] med. Assuefare gradualmente qualcuno a sostanze tossiche, immunizzare.

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.


Non ho avvelenatori né avvelenati tra i miei personaggi... non ancora. In senso metaforico va bene lo stesso? Ho ripreso uno dei personaggi di Mucido (sempre con la emme, eh!) per esplorare un punto di vista inedito del racconto originale.


Non potevo più sbagliare, mi dissi, fissando la sacca trasparente in cui era conservato ciò che restava del mutageno. Era poco più di una dose, la mia ultima possibilità, e io non avevo più tempo. La mia pelle era screpolata e tesa, faticavo a concentrarmi e muovermi mi provocava una serie di fitte: tutti sintomi della necrosi in corso, che non si sarebbe arrestata se non con l'aiuto di qualcuno come me a invertire il processo.
Guardai il cielo azzurro fuori dalla finestra, se si poteva chiamare tale un semplice foro nella pietra.
Sfortunatamente non potevo trovare altri della mia specie, non in quel mondo. Ma potevo crearne. O almeno, lo speravo.
Quattro volte avevo provato. Quattro volte avevo fallito. Lui doveva essere quello giusto.
Afferrai la caraffa d'argento e la lucidai.
Avevo imparato molto, dagli altri. Avevo imparato che il loro corpo e la loro mente doveva essere forte, per sopportare il cambiamento. Avevo imparato che non potevo imporlo, che dovevano volerlo affinché funzionasse. Avevo imparato a persuadere, rivestendo il mutageno, sgradevole ai loro sensi, e la stessa idea della metamorfosi, invisa alla loro mente, in una confezione brillante e decorata da intarsi come l'argento di una brocca.
La posai sul tavolo, versai dentro una parte del mutageno rimasto e lo diluii con acqua zuccherata.
Con lui dovevo imparare a dosare la mia presenza. Andare e venire da quella stanza, giorno dopo giorno, parlargli poco, all'inizio, parlare d'altro. Non del pensiero che mi ossessionava, non di quello che gli avrei chiesto di fare, come se da lui non dipendesse la mia vita. Come se non stessi morendo.
Vedermi mentre accadeva non lo avrebbe indotto a scegliere di aiutarmi. Questo pensavo, tra le mura sgretolate di un castello a cui assomigliavo ogni giorno di più.
Io ero come un veleno. Mitridatizzare il mio ospite a me era l'unico modo per farlo sopravvivere a ciò che gli avrei fatto.
Fissai la porta. Era tempo di andare a controllare di aver stretto bene le corde.

Nessun commento:

Posta un commento