giovedì 10 novembre 2022

Che c'è sotto la Città dei Felici


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Francesco Ungaro da Pexels


Non era solo una mia sensazione. C'era qualcosa di tremendamente sbagliato in quel posto.
Lo dicevo io che se era troppo bello per essere vero, allora non era vero.
Avevo lasciato Hilo in una delle stanze del riposo e me n'ero andata furtivamente, alla ricerca di una prova che convincesse quel cocciuto ragazzino che non potevamo stare qui. Non era sicuro per noi, forse non era sicuro per nessuno.
Qui la gente si comportava in modi troppo strani.
Nella Città dei Felici non era mai notte. Sulle rotaie senza meta i vagoni continuavano a vagare sferragliando, e la gente che vi saliva, anche se era di meno rispetto al giorno, continuava a urlare a ogni discesa a capofitto e a ogni giro vorticoso delle rotaie piegate su loro stesse. Lungo le strade illuminate da file di lanterne le sfilate di gente conciata in modi assurdi, o di quei pupazzi meccanici che chiamavano sostituti, proseguivano imperterrite, e dalle sale del cibo provenivano ancora aromi deliziosi che mi facevano salivare la bocca e brontolare la pancia, anche se ero sicura di avere mangiato a sazietà appena qualche ora prima. Da sotto il tendone che il Custode chiamava Teatro una musichetta allegra richiamava chi era ancora sveglio, inducendolo ad agitare in modo scomposto gambe e braccia.
Io volevo vedere che cosa c'era sotto. Non sotto al tendone, quello lo avevo già visto, e la falsità di quella recita mi aveva indignato. Volevo scoprire che cosa si nascondeva sotto la Città, perciò, quando trovai in un angolo dietro al capanno di manutenzione una botola, e sotto alla botola una scaletta che scendeva, capii che quella era la via che portava alle risposte che cercavo.
Anche perché nel pomeriggio il Custode aveva cercato di sviare la mia attenzione da quel capanno, dopo avermi mostrato che dentro c'erano solo pezzi di sostituti rotti, pannelli decorativi scoloriti, rotaie arrugginite e altre inutili cianfrusaglie. Era stato ben attento a non lasciarmi scoprire la botola dietro al capanno, perciò ai miei occhi era evidente che il Custode sapeva che cosa non avrei dovuto scoprire della Città dei Felici.
Scesi in un corridoio di metallo risuonante d'echi. Era un rumore inquietante, minaccioso, come un respiro rantolante di qualcuno in agguato nel buio. In quel momento avrei tanto voluto avere con me un bastone, una spranga, qualcosa con cui difendermi all'occorrenza.
Mi aspettavo il peggio, ma il peggio si palesò in un modo che non mi sarei mai aspettata.
In fondo al corridoio, una porta di metallo. Qualcosa di assurdo nella Città dei Felici, dato che sopra la strada di porte non ce n'era nemmeno una, al massimo un tendaggio appeso sulla soglia per separare gli ambienti. Ma quella porta era lì, era solida, resistente, e aveva una finestrella di vetro posta troppo in alto per permettermi di vedere qualcosa di più di un soffitto di metallo, a malapena rischiarato, come il corridoio appena percorso, dalle lampade piatte e senza fuoco che si trovavano ovunque in quella città.
Aprii la porta, e il respiro ansante e minaccioso si moltiplicò in innumerevoli voci. C'era chi piangeva. Chi gridava frasi senza senso, chi ripeteva in continuazione una sola parola, chi tossiva fino a togliersi il respiro, chi gemeva e supplicava e e strillava a pieni polmoni. Ma la cosa più inquietante, più dei versi di bambino piccolo pronunciati con la voce di un adulto, erano le risate. Risate vuote, insensate, folli, accompagnate da quelli che supposi essere colpi contro le pareti di metallo.
Di fronte a me si allungava un corridoio vuoto, più largo e alto di quello che avevo percorso in precedenza, e su ogni lato del corridoio, una fila di porte. Da quelle porte provenivano tutte le voci.
Percorsi il corridoio con passo leggero, cercando di non attirare l'attenzione degli occupanti delle stanze. Per la prima volta dopo tanto tempo, ero di nuovo spaventata da quello che un adulto avrebbe potuto farmi. Quegli uomini e quelle donne sembravano peggio di Karol, peggio di qualunque persona cattiva io e Hilo avessimo mai incontrato.
Mi venne in mente, per un solo istante, che forse la Città dei Felici, senza mura di protezione e senza guardie armate a difendere le sue scorte apparentemente infinite di cibo, si difendeva in questo modo dai banditi che volevano depredarla. Forse venivano rinchiusi qui non appena venivano individuati, prima che potessero far danni. Ma anche questo era troppo bello per essere vero.
Sentii un grido, più vicino degli altri, e all'improvviso un volto di donna, pallido e scarmigliato, apparve nella finestrella sulla porta alla mia sinistra. Aveva gli occhi infossati e rossi, e un'espressione assente che si animò all'improvviso quando mi vide nel corridoio, fuori dalla sua stanza.
– Ehi tu! – urlò di nuovo, e poi bisbigliò, tanto che mi fu difficile capire tutto quello che diceva tra i piagnistei e le grida degli altri, ma il suo discorso era qualcosa tipo: – Non sei uno di loro, vero? Tu sei normale, sei ancora una persona, sei una vera persona... fammi uscire! Apri la porta, aprila, ti darò tutto quello che vuoi, scappiamo insieme, va bene? Scappiamo insieme, ragazzina, fa' la brava, bambina bella, ti prego fammi uscire, fammi uscire, fammi uscire o ti ammazzo!
Mi ritrassi da quella porta, ma la sua voce attirò altri volti alle finestrelle, e altre voci si unirono con suppliche e minacce, o soltanto con pianti, risate e ululati.
All'estremità opposta del corridoio un clangore metallico mi disse che un'altra porta si stava aprendo. Mi guardai attorno, ma non c'era luogo dove potessi nascondermi... a parte uno. Una delle porte, più avanti, era socchiusa, e nessun volto si affacciava dalla finestrella.
Mi rifugiai in quell'angusta stanza, che non conteneva nulla più di un letto, un angolo adibito a latrina e un quadro alla parete che raffigurava una delle rotaie senza meta che avevo visto di sopra, nella Città dei Felici. Chiusi la porta appena in tempo, e sbirciai dalla finestrella.
Tre dei sostituti, uno più piccolo e due massicci ai suoi fianchi, leggermente indietro, marciavano lungo il corridoio. Si fermarono di fronte alla porta della donna che per prima mi aveva parlato.
Immaginai che la stessero interrogando, poiché vedevo la bocca del sostituto più piccolo muoversi, anche se il Custode mi aveva spiegato che non ne avevano bisogno per emettere la loro voce meccanica. A un certo punto, sentii la donna esplodere in una fragorosa risata, che subito mutò in un pianto disperato.
In tono nitido, il sostituto più piccolo sentenziò: – Irrecuperabile.
Allora gli altri due aprirono la porta e agguantarono la donna che si dibatté come una forsennata, ma non poteva nulla nella stretta delle mani metalliche dei due pupazzi, pallide imitazioni di un essere umano, ma molto più forti. La trascinarono via, e mentre passava oltre la mia porta la sentii protestare: – Posso ancora divertirmi! Mi sto divertendo, guardatemi, voglio andare su una rotaia senza meta, voglio fare una sfilata vestita da pesce palla, ah-ah, che divertimento, sono felice di nuovo, vi prego, non sono irrecuperabile, no, no, no...
Il sostituto più piccolo, che si era scansato quasi con ribrezzo quando gli altri due l'avevano tirata fuori dalla prigione, si mise in marcia dietro al rumoroso terzetto, che evocava al suo passaggio latrati e vane risate dimostrative dalle altre porte, nel chiaro intento di non attirare sui loro occupanti la stessa sorte della donna, qualunque essa fosse.
Quando passò oltre la porta dietro a cui stavo nascosta, il sostituto più piccolo girò di scatto la testa. Mi abbassai con un ansito trattenuto a stento. Un lieve sibilo provenne dalla porta, come il ronzio di un insetto, e quando provai a spingerla, scoprii con orrore che era bloccata.
Mi alzai per guardare oltre la finestrella. Il sostituto era di fronte alla porta, vicinissimo.
– Lamentele ripetute – disse la sua voce metallica. – Disturbo di uno spettacolo in pubblico. Rifiuto di partecipare a qualsivoglia attività ricreativa. Minacce di abbandonare la Città dei Felici, e di allontanare da essa qualcuno che invece si sta divertendo.
Si riferiva a Hilo, il mio sciocco fratellino, che non aveva intuito quanto questo posto fosse pericoloso.
– Da quando sei qui, non hai mai riso – proseguì il sostituto. I suoi occhi luminosi mi fissavano senza alcun battito di palpebre. – Ma puoi gioire, perché da oggi inizia il tuo recupero. Quando uscirai da qui, sarai in grado di ridere e divertirti di nuovo, e non vorrai mai più lasciare la nostra perfetta Città dei Felici.
Il sostituto si girò e se ne andò, e sulla parete l'immagine nel quadro si mosse, e ne uscirono voci, risate e quegli inquietanti urletti gioiosi quando i vagoni si lanciavano a tutta velocità in una discesa che avrebbe riportato i passeggeri, alla fine di numerose svolte e saliscendi, di nuovo al punto di partenza.
Dalla parete dietro al letto giunse un'altra voce, rassegnata e monotona. – Mente.
Avvicinai un orecchio alla parete per udire meglio, cercando di ignorare le immagini e le voci del quadro animato.
– Non c'è mai stato nessuno che sia uscito di qui dopo essere stato dichiarato "recuperato" – mi rivelò il mio compagno di prigionia. –  Solo gli irrecuperabili se ne vanno, poveretti, e non credo che facciano molta strada. Nessuno, in tutti gli anni che sono stato rinchiuso qui. E sono tanti, credimi, sono qui da più di chiunque altro. Una volta, io ero uno dei Custodi, e questo posto era molto, molto diverso.

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