lunedì 21 novembre 2022

Rullino le trombe, squillino i tamburi


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Foto di Alexey Demidov da Pexels


Cecilia fece un salto sulla sedia mentre piluccava il pane pucciato nel latte che era la sua colazione con il marito.
– L'hai sentito? – chiese con voce stridula, sgranando gli occhi. – No, dico, stavolta l'hai sentito anche tu o no?
Arnoldo sospirò e scosse la testa. – No che non l'ho sentito, donna, te l'ho detto, tu hai le traveggole, e questa storia è durata abbastanza.
Arnoldo continuò a sbocconcellare il suo pane con quel po' di marmellata che si era concesso nonostante il colesterolo alto e il diabete e tutti i malanni della sua età perché, diavolo, erano in vacanza e non c'era momento migliore per infrangere tutte le regole. Finalmente, passate le nozze di diamante, con il gruzzoletto che si erano messi da parte, unito a quello donato dai parenti per l'anniversario, Cecilia e Arnoldo si erano concessi la luna di miele che non avevano mai avuto: un giro attorno al mondo, composto da più tappe in tante belle città che fino a quel momento i due avevano visto soltanto in televisione. Ma quando Cecilia aveva insistito per organizzarlo personalmente, scegliendo da sola i luoghi da visitare, Arnoldo avrebbe dovuto capire in che razza di viaggio si stava imbarcando.
– Stavolta ci siamo – annunciò Cecilia, e facendo forza sulle mani appoggiate sulla tavola si alzò. – Vieni, vieni con me a vedere, non me lo sto immaginando, qui c'è qualcosa per davvero.
Arnoldo mugugnò nel dover lasciare a metà la sua colazione, anche perché alla sua età era la cosa più trasgressiva che potesse permettersi. Cecilia d'altra parte, pure lei non era più una fresca sposina, e probabilmente era per quello che aveva sviluppato l'insana ossessione attorno alla quale aveva programmato tutto il loro viaggio. All'approssimarsi della soglia oltre la quale non era dato vedere, se non tramite un atto di fede, Cecilia voleva una prova.
Per questo aveva trascinato Arnoldo da un castello all'altro, e da un'antica dimora nobiliare a un'abbazia a un cimitero abbandonato, tutti luoghi che secondo le dicerie erano infestati da una o più presenze dall'aldilà. Tutti luoghi dove a loro non era mai accaduto di percepire nulla, nemmeno dopo un soggiorno di una o più notti, là dove era stato possibile affittare una stanza e restarci a dormire.
Quello era il primo hotel in cui facevano tappa, e sebbene fosse un po' fatiscente, Arnoldo avrebbe tanto voluto godersi il lusso di una parvenza di normalità e di una colazione in camera, e invece no: proprio nel posto più banale di tutti, Cecilia diceva di aver finalmente trovato le prove che cercava.
In piedi nel bel mezzo del lungo corridoio privo di finestre, vagamente inquietante, del sesto piano dell'hotel, Cecilia stava in ascolto con gli occhi rivolti al soffitto.
– Non viene da nessuna stanza, ti dico – brontolò la donna, che strinse le labbra sottili, tirando le rughe che le circondavano, in una smorfia di disappunto all'espressione perplessa dell'anziano marito.
Le luci fievoli che creavano strisce di penombra nella sequenza interminabile di porte identiche da entrambi i lati sfarfallarono proprio in quel momento. – Ecco... ecco, vedi? – chiese la donna, nell'indicargliele.
– Aaah, è solo l'impianto elettrico che è datato – cercò di spiegarle Arnoldo, ma Cecilia non volle sentire ragioni. Ormai, ogni cosa vedesse o sentisse le pareva un segno in più a conferma della sua spiegazione di quell'iniziale, misterioso rumore ritmico che solo lei aveva udito.
Arnoldo, per quanto si sforzasse, non sentiva nulla di più degli echi di un corridoio vuoto, modulati di tanto in tanto dalla voce smorzata degli occupanti delle altre stanze e dai loro passi leggeri sulla moquette. Non erano in molti quelli che avevano scelto di soggiornare in un posto del genere, ma qualcuno c'era.
– È come un tum-tum-tum... tum-tum... tum-tum... – tentò di spiegargli Cecilia.
– Fammi capire: suona il tamburo – replicò Arnoldo, senza celare il sarcasmo che colorava le sue parole. – Il fantasma suona il tamburo.
– Ti giuro che ho chiesto in reception, non ci sono bambini con la batteria giocattolo o musicisti qui al nostro piano, e neanche al piano di sopra né in quello di sotto. Ho escluso tutte le altre spiegazioni, e che lo sento solo io è un segno: tu non lo senti perché non ci credi.
– Ma va là – sbottò Arnoldo, sollevando una mano in un gesto di sdegno. – È segno che o io sto diventando sordo e mi serve un apparecchio acustico, o tu devi andare a farti controllare le orecchie da qualcuno.
Cecilia fece per replicare indignata ma non ci riuscì, perché in quel momento accadde una cosa che la lasciò a bocca aperta: assieme al battito ritmato di quei tamburi, che ora non smetteva più neanche un istante, era comparsa nella zona d'ombra della parete di fronte, due porte più avanti, una sagoma luminosa che pareva somigliare vagamente all'ombra di un uomo con un tamburo, solo che era al contrario, luce all'interno e oscurità fuori. La sagoma fluttuò per qualche istante di fronte agli occhi sgranati dei due anziani.
– Lo vedi anche tu, vero? – chiese Cecilia, e alla conferma incredula di Arnoldo pronunciata in un sussurro, prese a ripetergli: – Non me lo sto immaginando, te lo dicevo, è tutto vero, non me lo sto immaginando, c'è vita oltre la morte, te lo dicevo, guarda...
La sagoma scomparve e poi riapparve più vicina. I due anziani cacciarono un urlo e scapparono a rifugiarsi nella stanza dove la colazione li stava ancora attendendo.
– Non te lo stavi immaginando – disse Anselmo col fiatone per la fifa. – Ma io non ho voglia di diventare un fantasma tanto presto, né di stare in questo albergo dopo morto, tra tutti i posti.
– Facciamo i bagagli – concordò Cecilia. – Una prova mi basta.

Dietro la porta socchiusa, due stanze più avanti, il concierge smise di battere con le mani sul tamburo tribale che aveva preso come souvenir dal suo viaggio a Bali. – Che dici, abbiamo esagerato? Non vorrei che quei due facessero un collasso proprio qui.
La cameriera spense la torcia, e il fascio di luce opportunamente sagomato da uno stencil scomparve dalla parete opposta. – No, d'altra parte, non era quello che volevano? – chiese nel riporre la torcia tra le lenzuola e gli asciugamani sul carrello. Fece spallucce. – E poi, quando mai ci ricapita di trovarne altri che vengono qui apposta per quella vecchia storia dei fantasmi?

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