giovedì 27 giugno 2019

Personaggio: mutaforma senza nome

Per il secondo personaggio che assume il ruolo di veggente o messaggero ho scelto di andare sul classico. E dato che non c'è niente di più classico di un veggente cieco, tra i miei personaggi ne avevo due tra cui scegliere: un sacerdote che interpreta i sogni altrui in un tempio in cui si pratica l'oniromanzia, e che porta una benda sugli occhi (ma non è davvero cieco, lo fa solo per celare il fatto di avere occhi un po' particolari), o una mutaforma accecata durante la prigionia, che mescola a capacità profetiche una buona dose di intuizione e persuasione per ottenere ciò che vuole. Indovina quale ho scelto?

Immagine creata con Mega Fantasy Avatar Creator di Rinmaru Games


In un primo momento avevo pensato di presentare Galkna, la sorella maggiore del personaggio che alla fine ho scelto. Ma Galkna non è una vera e propria veggente, solo una mutaforma che conosce molte più cose rispetto al resto della sua gente, che tuttavia non la ascolta perché la ritiene contaminata e storpiata dagli esseri umani. Galkna è quella che è riuscita a tornare a casa. La sorella minore invece, che non ha un nome perché è stata catturata quando era ancora troppo giovane per averne uno, si è separata da Galkna durante la fuga ed è stata ricatturata. Rimasta nel mondo umano, ha tuttavia trovato qualcuno che la ascolti, a cui trasmettere il messaggio di cui è portatrice nel modo in cui lei desidera. Ovvero, qualcuno da manipolare.
L'aspetto della mutaforma senza nome non è dissimile da quello di altri della sua razza, solo un po' più trasandato: squame nere, capelli in ciuffi scomposti, occhi tondi e acquosi, zanne, artigli, con la possibilità di cambiare una o più caratteristiche in qualunque momento, o almeno di mutare quelle che non portano la cicatrice di tagli inflitti con particolari veleni o strumenti. E questo è appunto il motivo per cui questa veggente è cieca e nonostante le doti della sua razza non può sistemare i propri occhi.


Questi il brano in cui è nominata la mutaforma senza nome:
Una sorella perduta


L'esercizio richiede di scrivere un brano che riguarda la consegna di un messaggio o la rivelazione di una profezia, e la reazione in chi la riceve. Non posso scrivere della sua profezia più importante per non rivelare un colpo di scena della storia a cui appartiene, ma... questa, per ruolo nella trama, ci va abbastanza vicino.


Se solo avessi saputo…
Se avessi potuto vedere, allora, dove mi avrebbero portato le sue parole, l’avrei ascoltata lo stesso?
Lei ha fatto di me quello che sono. Ed è cominciato tutto al mercato di Oceanus, il giorno in cui divenni un uomo.
Io e mio fratello attendevamo quel giorno con ansia da anni. E finalmente era arrivato.
Il giorno della maggiore età, il giorno in cui io e Jasmen avremmo scelto i nostri doni, e nostra madre ci avrebbe predetto che tipo di persone saremmo stati.
Non c’era posto migliore di Oceanus per quello. L’isola più a est, l’isola su cui il sole sorge per primo.
Ricordo i riflessi d’argento sui getti della fontana di Piazza delle Luci. La fila di bandierine triangolari che cingeva il lato della piazza affacciata sul mare, il tessuto rosso e blu e verde e bianco e nero, simbolo delle cinque terre, che si agitava nel vento salmastro. Le vetrine di un negozio di armi, e mio fratello, quello che se ne stava sempre con la penna in mano a sognare alla sua scrivania, che le ammirava con meraviglia.
Non me lo aspettavo. Credevo di trovarlo attaccato alla vetrina del libraio, in cerca di qualche volume raro o di un nuovo pennino decorato.
Certo, avevamo fatto le nostre scorribande notturne, in città… ed era stato divertente. Ma Jasmen, un uomo d’azione?
Sarebbe stato più facile veder scendere le due lune a terra.
– Josiac – Mia madre mi si avvicinò da dietro. – Tesoro, c’è niente che tu desideri?
Mi guardò negli occhi. Ricambiai il suo sguardo nero, profondo. Le afferrai la mano e mi avviai lungo Via del Sole. Jasmen si voltò e ci seguì, passando di vetrina in vetrina.
– Stavo pensando… – Abbassai gli occhi alle scarpe, un passo dietro l’altro, in silenzio. La sentii stringermi più forte la mano. – E se avessi già tutto? – Le chiesi, alzando lo sguardo su di lei. – Che succede se non c’è niente che desidero, come regalo?
Ero uno sciocco, non c’era alcun dubbio. Anni di attesa, di progetti e tutta l’eccitazione per quel compleanno tanto speciale, e quando finalmente era arrivato, alla fine non c’era niente che desiderassi ricevere in dono?
Mia madre rise e si fermò. Mi bloccai di fronte a lei. Attorno a noi, la via si allargava nella Piazza Maggiore, brulicante di gente, di bancarelle all’aperto, del profumo del pandolce esposto in file di vassoi appena fuori dalle locande.
Mia madre mi accarezzò una guancia con dita pallide e leggere. Un tocco delicato come il suo passaggio in questo mondo, eppure forte come la sua volontà. – Ah, mio caro. Ho sempre saputo che eri tu quello più saggio, a dispetto dell’apparenza che ti ostini a mostrare al mondo.
Le sorrisi.
Jasmen, con le mani appoggiate al vetro dell’ennesima armeria, la chiamò: – Mamma! Mamma, vieni qui, l’ho trovata! È questa qui che voglio… non è bellissima?
Mia madre arricciò le labbra in un sorriso che non scopriva i denti e rivolse lo sguardo di lato.
Feci un lieve cenno, e la guardai girarsi del tutto verso mio fratello e allontanarsi.
Rimasi lì, a guardarli mentre contrattavano con l’armaiolo per una spada che Jasmen non avrebbe mai usato.
E fu allora che la sentii. Il suo respiro ansante, e quella frase.
– Josiac Astorenn. Ho visto il tuo futuro. Tu sei destinato a grandi cose.
Mi voltai indietro ma non vidi nessuno, solo una grande gabbia su una pedana su ruote, con dentro due dei mutaforma più brutti che avessi mai visto. Erano in pessime condizioni, sporchi, vestiti di stracci, e pieni dei graffi da pungolo con cui gli schiavisti li marchiavano quando si rivelavano selvaggi o troppo pericolosi, o quando semplicemente non eseguivano un ordine abbastanza in fretta. Uno dei due era rannicchiato in un angolo della gabbia, e l'altro teneva il muso irto di zanne schiacciato contro le sbarre, gli occhi biancastri rivolti verso di me.
Era impossibile che fosse stata la creatura a parlare. I mutaforme erano a malapena abbastanza intelligenti da capire qualche semplice comando, questo lo sapevano tutti. Non mi passò nemmeno per la mente, allora, che forse tutti si sbagliavano, quindi cercai il mercante che lo possedeva e lo individuai a trattare con un banditore nei pressi di una bancarella coperta, troppo distante affinché il suo sussurro mi giungesse.
– Non guardare altrove. La risposta è davanti a te – sentii ancora, e prima che la frase finisse, sbirciai il mutaforma in tempo per vedere le sue labbra muoversi.
Trattenni il respiro un solo istante. Poi, come facevo sempre, accettai la situazione.
Non sapevo se tutti i mutaforme fossero in grado di apprendere a parlare, o se quello che avevo davanti fosse diverso dagli altri, ma era piacevole sapere qualcosa che il resto del mondo ignorava.
Diedi le spalle alla creatura, e mentre fingevo di tener d'occhio mia madre e mio fratello, risposi ai suoi sussurri con i miei.
– Come conosci il mio nome?
– Ti ho già detto come. Ho visto il tuo futuro. E quello di tuo fratello. – La creatura gracchiò un verso che mi parve una risata. – La userà una sola volta.
Il mutaforma non aveva specificato a cosa si riferisse, ma immaginai che parlasse della spada che Jasmen stava sollevando in alto, con entrambe le mani sull'elsa, come fosse stata un trofeo. – Lo supponevo. – Sogghignai a mia volta. – Ma è facile da indovinare, basta guardarlo. Quanto al mio futuro... come posso fidarmi di te?
Sentii i suoi artigli grattare sulle sbarre, ma nonostante fossi molto vicino alla gabbia, non mi voltai. Se era abbastanza intelligente da riuscire a parlare, era anche abbastanza intelligente da non tentare di uccidermi.
– Io mi sono fidata di te. Ho rotto il silenzio della mia gente, per te. Non parlerò con altri umani. Solo con te. Ti dirò altri segreti... molti segreti. Se ascolterai, diventerai un capo della tua gente, Josiac Astorenn. Se non ascolterai, sarai dimenticato. Scegli!
Non potei replicare, poiché il mercante si precipitò da me urlando: – Allontanati! Vattene subito, va' via da lì, ti ho detto!
Lo fissai senza muovermi, fin quando non mi fu addosso e con uno strattone mi costrinse a farmi da parte. Stavo per reagire, quando il mercante riprese a urlarmi contro: – Sei pazzo, ragazzo? Non hai visto il segnale di pericolo? Quella bestia è la più feroce di tutte, ti può staccare la testa a morsi se non stai attento!
Mia madre e mio fratello corsero da me attirati dal trambusto, e mia madre iniziò a redarguire il mercante di mutaforme, reo di non aver scorto gli stemmi nobiliari sui miei abiti. Mio fratello, invece, cercava di attirare la mia attenzione sul nuovo acquisto, il suo regalo della maggiore età. Ma io non avevo occhi che per la creatura che in quel momento tendeva una zampa munita di artigli fuori dalle sbarre, schioccava le fauci e sbavava, recitando la parte che il mercante le aveva assegnato, o che forse aveva scelto lei stessa.
Come me, era più saggia del volto che si ostinava a mostrare al mondo, e capiva il vantaggio nell'essere sottovalutati.
Mi chiesi cos'altro nascondesse, e desiderai i suoi segreti. Ma non c'era che un modo per ottenerli: possedere la testa che li conteneva.
Avevo appena trovato l'unica cosa che volevo e che ancora non avevo. Il mio dono.

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