giovedì 5 agosto 2021

L'amore non muore


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Per due notti ero andata alla cripta a piangere sulla sua bara e a supplicare il loro aiuto. La terza notte, quando la falce di luna crescente era ormai tramontata, sentii un sibilo graffiante alle mie spalle.
– Vattene a casa. Non tornare, non di notte. Lo faremo.
Trasalii. Non mi voltai: non volevo vedere uno di quei mostri, i Notturni. Anche se la disperazione mi aveva indotto a chiedere di trasformarlo in uno di loro, non volevo vedere che cosa sarebbe diventato.
La mia voce tremò nel chiedere: – Come... come posso sapere che sarà fatto davvero?
– Vieni di giorno – fu la sua risposta. – Tra qualche giorno, ti lascerà un messaggio.
E così avevo fatto, e quasi non avevo creduto ai miei occhi quando, una mattina, avevo trovato un foglio di pergamena sul pavimento della cripta, con la sua scrittura sopra. Non pensavo che avrei mai potuto rivederla, se non nelle lettere che avevo conservato. Mi sedetti sul pavimento per leggerla e piansi.
Era ricominciata così la storia tra noi, proprio com'era iniziata. Lui, troppo timido, lasciava lettere alla porta della mia casa, e io, non sapendo dove e a chi indirizzare la risposta, abbandonavo la pergamena sigillata da ceralacca lì dove avevo trovato le sue lettere. Solo che adesso era presso la sua dimora, l'ultima, che le nostre parole venivano scambiate. Trovavo conforto, e sollievo, nel sapere che lui viveva ancora, anche se non potevamo incontrarci. Io gli raccontavo delle mie giornate, e di quanto nostra figlia crescesse a vista d'occhio; lui raccontava ben poco della sua nuova esistenza, forse per pudore, e preferiva commentare le mie parole, chiedermi notizie, e ricordare i momenti felici vissuti assieme.
Per Ailey, nostra figlia, la sua morte era stata più difficile. Non le avevo detto nulla di lui, delle lettere che ci scambiavamo. Un giorno glielo avrei raccontato, ma era ancora troppo piccola, e non avrebbe capito.
Difficile spiegare a una bambina di pochi anni che avevo preferito fare di suo padre un mostro, piuttosto che lasciarlo riposare in pace in un luogo in cui per ora non potevo raggiungerlo. Non che potessi raggiungerlo così com'era, ma almeno avevo le sue lettere. Pensavo ci sarebbero bastate, ma quella separazione pesava sul mio cuore come un macigno. Conservare ciò che provavo diventava ogni giorno più doloroso: possibile che non avessi lasciato morire lui, solo per scoprire alla fine che stavo lasciando morire il nostro amore?
Me lo stavo chiedendo anche il giorno in cui raccolsi stancamente l'ultima lettera. Mi accorsi subito, però, che era diversa dalle altre. C'era scritto solo: "Sono pronto. Stanotte, con la luna nuova, alla casa nel bosco. Non portare Ailey."
Il mio cuore saltò un battito: lui voleva incontrarmi. Non sapevo se gli altri Notturni gli avessero concesso il permesso, o se aveva chiesto di vederci lontano dal cimitero per sfuggire al loro controllo. Non m'importava, ero felice come non lo ero da tanto.
La casa nel bosco era un vecchio capanno di legno che avevamo cominciato ad ampliare e ristrutturare quando avevamo la folle idea di vivere da soli, lontani da tutto. Poi era arrivata Ailey, e lui era stato chiamato a combattere lontano da noi, e quel progetto era stato abbandonato.
Era stato difficile ritrovarla, tra la pioggia battente che rendeva ancora più fitta l'oscurità attorno alla mia lanterna, e il fango che ingannava i miei piedi. Non so dire quanto tempo ho trascorso a girare in tondo prima di vederla apparire, come dal nulla, fra alberi contorti dal timore della notte.
Entrai, e subito una voce che mi sembrò familiare, seppure distorta, sibilò: – Spegni la lanterna.
Anche se tremavo, obbedii. Mi tolsi il mantello fradicio e avanzai, trasalendo a ogni asse che scricchiolava. Un corvo, che forse aveva trovato rifugio dalla pioggia nella casa, gracchiò sopra di me, ma non sentii lui avvicinarsi. Eppure, all'improvviso, una carezza fredda mi sfiorò una guancia.
Lo udii inspirare per la prima volta da quando ero entrata. Con il tempo, avrei scoperto che non ne aveva bisogno, se non per parlare.
– Non avere paura. Sono io. Solo... non voglio che tu mi veda. Non come sono ora.
Allungai le mani a toccargli il volto. La sua pelle era dura, fredda, e incavata. Non m'importava. Non avevo paura, era lui, era il mio ragazzo timido, com'era stato allora, così era rimasto.
Lo strinsi in un abbraccio e mi addossai a lui, e anche se non trovai calore nel suo corpo, seppi che il mio sarebbe bastato per entrambi.

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