lunedì 2 agosto 2021

Presentazioni clandestine

Conclusa l'esperienza sui luoghi nelle storie, ho scelto di cambiare ancora una volta il tipo di contenuto di questo blog, e voglio farlo fin dal primo giorno, quindi niente post di premesse o spiegazioni come facevo di solito per la prima settimana di un nuovo "capitolo". Giusto un preambolo brevissimo, questo.
Voglio tornare a scrivere racconti in modo rilassato, senza perdere troppo tempo a fare ricerca. Per avere almeno una base di partenza, un suggerimento con cui affrontare la pagina bianca, userò di volta in volta una parola chiave con cui cercare un'immagine che mi ispiri, e che se appropriata per il racconto che ne risulta farà parte del titolo. L'ultimo ingrediente è un tappeto sonoro della durata di un'ora, che scandisce il tempo che ho per scrivere e aiuta a immergermi nell'atmosfera della storia, e via! Quel che ne viene, bello o brutto, completo o no, sarà il mio racconto improvvisato del giorno. Un racconto in un'ora, due giorni la settimana, per tenermi in allenamento e darti qualcosa di veloce da leggere. E se ti è piaciuto, lasciami un commento o un like: mi aiuterà a capire se sono sulla strada giusta. Grazie!



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Photo by cottonbro from Pexels


Ovviamente, pioveva.
Ero in piedi davanti alla finestra, nella stanza deprimente di un motel di terz'ordine presa in affitto per una notte, ma non avevo affatto intenzione di dormire. Aspettavo una persona.
No, non è come sembra. Se scrutavo il vicolo illuminata da un lampione, in cerca di sagome che si affrettassero a trovare riparo nel mio stesso edificio, non era per il desiderio carnale di consumare un fuggevole incontro clandestino. Clandestino era la parola giusta, ma era di tutt'altra natura l'incontro che avevo in programma per quella sera. E a dire il vero, coinvolgeva più di una persona; ma era stato deciso di affittare a coppie stanze diverse, per non dare troppo nell'occhio, prima di riunirci tutti dove mi trovavo in quel momento.
Un piccolo e tondo orologio sul muro scandiva la mia impazienza, battendo un ritmo più regolare delle gocce di pioggia sulla finestra, quando tra gli scrosci d'acqua notai un'ombra in un mantello nero e fradicio correre verso la porta d'ingresso, un piano più in basso e due stanze più a destra della mia finestra. Non sapevo chi fosse, non avrei potuto capirlo nemmeno se quella donna, o uomo, avesse attraversato la strada a volto scoperto, in pieno giorno. Non ci eravamo mai incontrati di persona.
Indossai la mia maschera e mi girai verso la porta della stanza. Al mio fianco un vecchio modello di comunicatore, una grossa scatola ingombrante e goffa se confrontata con i più eleganti e moderni ologrammi, ronzava mostrando una serie di scariche statiche, il risultato di una chiamata con destinatario errato. Lo avevo impostato io così, per assicurarmi che nessuno potesse inserirsi nell'apparecchio e spiare quella riunione con una chiamata silente.
La precauzione non era mai troppa. In fondo, stavamo cospirando contro il presidente della nostra nazione, e quel folle aveva già dimostrato di essere pronto a tutto pur di restare al potere.
Qualcuno bussò alla mia porta. Mi schiarii la voce.
– Sei tu amore mio? – chiesi, spostandomi subito dopo di un passo a sinistra, quanto più silenziosamente possibile. Avevamo deciso di usare parole d'ordine che conservassero l'illusione che il nostro fosse un banale incontro galante; ma nel caso in cui dietro la porta non ci fosse stata chi attendevo, era meglio evitare che costui usasse la mia voce per individuare la mia posizione e fare qualcosa di poco piacevole come spararmi.
– Sono io! – rispose una voce femminile oltre la porta. – Apri, mio marito non sospetta nulla.
Tirai un sospiro di sollievo e andai ad aprire la porta. Anche lei aveva già indossato una maschera che le copriva il volto. La feci entrare, poi richiusi la porta alle sue spalle, le strinsi la mano e mi presentai: – Piacere di conoscerti. Come concordato, io sono Solis.
Non usavamo i nostri nomi. Non li avevamo mai usati, nemmeno nei primi contatti che avevamo avuto tramite comunicatore, con le nostre immagini criptate. L'idea di scegliere i nomi delle antiche divinità di Terrana come alias poteva sembrare pretenzioso, ma colui contro il quale stavamo per sollevarci usava per sé il nome di una divinità straniera, dunque ci era sembrato di buon auspicio combattere un dio invasore nel nome delle tradizioni della nostra terra, del nostro popolo.
Non avrei mai immaginato, qualche mese fa, che ci saremmo incontrati di persona, e forse fu per questo che le tenni la mano più a lungo di quanto fosse prescritto dall'etichetta.
– Albarea – si presentò lei con il suo nome in codice, sfuggendo al mio tocco. – Ma questo già lo sai, capo. Gli altri?
Scossi la testa mascherata. – Siamo i primi. E, comunque, niente capo: siamo tutti fratelli, qui, tutti abbiamo lo stesso obiettivo.
Forse lei sorrise dietro la maschera. Dalla sua voce allegra, immaginai che lo avesse fatto: – È solo l'inizio. Questa cosa crescerà oltre le tue aspettative: non hai idea di quanti sopportano in silenzio le vessazioni di questo tiranno, ma sarebbero pronti ad alzare la testa e combattere per la libertà, se solo trovassero qualcuno disposto a guidarli. Sarai tu quel qualcuno? Dipende solo da te, ma se ne sei davvero convinto, dovrai scegliere stanotte, e non esitare. Quel che dirai, deciderà le sorti del nostro...
Albarea s'interruppe: altri colpi alla porta, altri ospiti. La nostra riunione clandestina da rivoluzionari stava per cominciare.

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