giovedì 9 settembre 2021

Insania

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Foto di cottonbro da Pexels


– Un lugubre cimitero – mugugnai, sollevando la lanterna a illuminare lapidi oblique che emergevano da riccioli di foschia. – Immerso nella nebbia. Di notte.
Mi girai verso Robert, ed entrambi esclamammo, contemporaneamente: – Un classico!
Xari, che ci precedeva di un passo, ci zittì con nervosismo. Era ovvio che fosse agitata, lei non era tra i protagonisti di questo libro. Anzi, era un personaggio secondario così utile, che ci eravamo meravigliati che fosse sopravvissuta tanto a lungo.
– Sei sicura che si trovi qui?
Xari annuì in risposta a Robert. Ci aveva accompagnato per più della metà di quella caccia al tesoro, aiutandoci a decifrare indizi e a evitare le trappole, da quando il Professore aveva fatto quella malaugurata fine. Robert ed io non ce ne eravamo meravigliati: il Professore sapeva troppo. Il libro sarebbe stato lungo la metà di quello che era, se fosse stato il Professore ad accompagnarci in quella ricerca.
Passai in rassegna con lo sguardo le lapidi più vicine. Alcune erano illeggibili, altre riportavano date e nomi troppo strambi per non essere frutto di invenzione. Xari le oltrepassò e noi la seguimmo in punta di piedi, rabbrividendo nel vento che smuoveva le fronde autunnali che s'innalzavano nel chiaro di luna oltre il muro di cinta. Lontano, da qualche parte, bubolava un gufo, o forse più d'uno. Era tutto perfetto, tranne per un dettaglio.
Diedi una gomitata a Robert quando vidi Xari grattarsi il collo con insistenza, e tentare di allargarsi il colletto della blusa color avorio. – Ho visto! – sibilò Robert con sdegno.
Secondo gli appunti del Professore, quello era uno dei primi sintomi dell'Insania, la strana malattia che trasformava gli uomini, e le donne, in clown psicopatici e distruttivi assetati di sangue. Era seguito dal naso arrossato e da un'inquietante risatina isterica, e quelli erano tutti gli indizi che ci occorrevano per capire che un personaggio secondario stava per diventare un problema da risolvere.
Io e Robert ci avevamo scherzato parecchio quando era comparsa questa svolta nella trama. "Quando uno vuole scrivere una storia di zombie senza usare gli zombie..." era stato uno dei commenti. Oppure: "...chi ha scritto questo libro voleva proprio far morire dal ridere i suoi lettori!"
L'avevamo etichettata come una trovata ridicola finché non ci era capitato di affrontare un manipolo di malati di Insania all'ultimo stadio e di dire addio, nel corso dello stesso capitolo, al Professore in una scena toccante.
– Da questa parte – ci spronò Xari, incamminandosi lungo una fila di lapidi. Noi cercavamo di non starle troppo vicini, dato che l'Insania era contagiosa per contatto. Sarebbe stato ironico arrivare all'ultimo capitolo da protagonisti, garantendoci l'immunità dalle morti stupide che colpivano i personaggi secondari, solo per crepare da eroi.
Xari si fermò e indicò una delle lapidi, mentre uno scenografico colpo di vento ci investì sollevando mulinelli di foglie e turbinii di nebbia. – Eccola. La Cura – pronunciò in tono cupo. Alle sue parole fece seguito una risatina. Io e Robert ci guardammo.
– Puoi... puoi spostarti, per favore? Abbiamo bisogno di spazio, grazie – le chiesi, ma Xari incrociò le braccia e ci fissò da sopra il naso paonazzo con occhi che parevano già folli.
– Sta procedendo in fretta – bisbigliò Robert a labbra strette, proteso verso di me.
– Lo so – replicai, nella medesima maniera. – D'altra parte, ha esaurito la sua utilità... era prevedibile.
Rivolsi a Xari un sorriso forzato, ma molto molto ampio, e le ricordai, indicando me e Robert: – Chi sono i Prescelti Guaritori, qui?
Xari sciolse le braccia e si allontanò di qualche passo, mezzo sbuffando e mezzo ridendo. Una volta sgombrato il campo, noi due ci precipitammo a togliere le erbacce dalla lapide per leggere l'iscrizione al chiarore della luna piena e della lanterna.
– Ma è... – mormorai a Robert, stupito quanto me.
– È la canzone? – completò lui.
– Si direbbe di sì.
– Sai una cosa? Questo libro diventa più ridicolo ogni pagina che passa. Che cosa dovremmo fare, cantarla?
Feci spallucce. – Proviamo.
Fu a quel punto, mentre stavo prendendo fiato per intonare quella cura musicale, che Robert alzò la testa e chiese: – Aspetta un attimo. Dov'è andata Xari?
Mi guardai attorno. Nessuna traccia di lei.
Le campane della cappella in fondo al cimitero emisero un lugubre rintocco, facendomi trasalire. Poi un altro. E un altro ancora.
Fra un rintocco e l'altro, l'eco di una folle risata.
Là, inquadrata nella porta aperta della chiesetta, c'era un clown vestito di colori vivaci, con le vaghe sembianze di Xari sotto al trucco che le impiastricciava il volto. Tra le mani, un grosso martello che però non era affatto di gomma.

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