giovedì 2 settembre 2021

Senza respiro

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Non era la prima volta.
La sensazione era sempre la stessa: avvertivo un peso sul petto, un sigillo che mi serrava le labbra. Nonostante il freddo, e il vento gelido che risuonava come un ululato nelle mie orecchie, non una sola nuvoletta di vapore si condensava dinnanzi ai miei occhi. In quel sogno, o mondo parallelo, io non respiravo affatto.
La prima volta era accaduto per caso. Era stata una giornata pesante, avevo saltato il pranzo, e faceva veramente tanto caldo. Sono svenuta, così mi ha raccontato la mia amica Carly - Carlotta, sulla carta d'identità, ma guai a chiamarla in quel modo! - e lei che mi aveva soccorso racconta che si era spaventata parecchio, non sentendomi respirare. Avevo visto un prato in fiore, quella volta, e la sponda di uno stagno, ma non avevo fatto in tempo a specchiarmi nelle sue acque che già ero tornata indietro, nel mio corpo.
Era un miracolo, dopo lo spavento che si era presa, che fossi riuscita a convincere Carly ad aiutarmi a rimettere piede in quell'altra realtà. Avevamo provato diverse combinazioni di meditazioni, candele e cristalli e tutta quella roba New Age, finché non avevamo trovato quella giusta che mi aveva permesso di riprodurre lo svenimento e l'assenza di respiro. Carly vegliava su di me e mi svegliava, dapprima dopo pochi istanti, poi sempre più tardi.
Mi guardai attorno. Se la sensazione era sempre la medesima, il luogo mutava ogni volta che vi facevo ritorno, e non avevo ancora capito se si trattasse di dimensioni diverse, o di zone differenti della stessa terra. Di fronte ai miei occhi, fiocchi di neve volteggiavano lievi nel blu notturno, al di là di una serie di finestre bifore e trifore, alte e strette e prive di vetri. Mi avvicinai per affacciarmi: sembrava di essere molto in alto. La luna piena rischiarava le cime degli alberi e una terra completamente imbiancata, giù in fondo. Mi trovavo in una torre.
Portai ma mano al petto, pur sapendo che la sensazione di oppressione, per quanto fastidiosa, non mi avrebbe uccisa. Mi voltai per indagare cosa contenesse il resto della stanza, e trasalii a un movimento che mi apparve improvviso davanti. Mi tirai indietro di fronte a un'onda bianca che sembrò aggredirmi, come se il vento impetuoso avesse soffiato una tempesta di neve verso di me. Dopo qualche istante, però, mi accorsi che si trattava di una civetta bianca, appollaiata sul davanzale di sinistra, che ogni tanto batteva le ali silenziosissime. Avrei sospirato di sollievo, se mi fosse stato possibile; tutto quel che potevo fare era sollevare le spalle.
Voltai la schiena alla civetta e al candelabro dalle fiamme ballerine che cercava inutilmente di rivaleggiare con il chiarore della luna. Da solo, quest'ultimo era sufficiente per permettermi di vedere le file di colonne blu dai motivi a spirale, che dal mio angolo sembravano ripetersi, una dietro l'altra, all'infinito. Non riuscii a vederne la fine, né il soffitto immerso nell'oscurità, però almeno il pavimento di mosaico sembrava abbastanza solido da permettermi di esplorare l'immensa sala. Mi inoltrai tra le colonne, consapevole che non potevo perdermi, perché in fondo io nemmeno ero lì. Al momento opportuno, Carly mi avrebbe riportato indietro, perciò non avevo nulla da temere.
Bastò poco, giusto un'eco, per smentire quell'affermazione e incrinare la mia sicurezza.
"...Isa, ...Isa, ...sa, ...sa, ...a."
– Chi va là? – urlai, improvvisamente spaventata. Sembrava che l'eco avesse ripetuto il mio nome, ma no, non era possibile. Tante parole finivano in quel modo. Precisa, ad esempio. O divisa. Indecisa, recisa, condivisa, derisa... uccisa.
– Narcisa – disse una voce diversa, maschile.
Se non fossi stata già con il fiato trattenuto, al suono di quel nome avrei smesso, anche solo per un istante, di esalare il respiro. Era così... giusto, anche se non era il mio.
Colsi un movimento con la coda degli occhi e mi girai di scatto, ma non c'era niente. Poi dall'altro lato, e poi di nuovo alla mia sinistra, ma ogni volta che mi giravo, non riuscivo a scorgere quell'elusiva figura. L'eco ripeté sprazzi di una risata di donna, e io mi chiesi se non fosse di nuovo la civetta, che mi aveva seguito e aveva preso a volteggiare tra le colonne come in cerca di una preda. Le colonne...
Ecco dov'era.
Fissai la più vicina delle colonne lucidate a specchio, e lo vidi. Era come il mio riflesso, ma diverso. La somiglianza era impressionante, ma lui non era me. Ed era in tutte le colonne, a dire il vero, pareva come intrappolato all'interno di quelle spirali ascendenti ma non avevo dubbi che fosse la stessa persona, perché ognuno di loro eseguiva lo stesso movimento, sincronizzato. Mi avvicinai alla colonna che avevo davanti e tesi la mano, ma lui indietreggiò e si allontanò dalla superficie lucida, scuotendo la testa.
In quell'istante, ripresi a respirare.
Non vedevo nulla, ma la sensazione di oppressione al petto era sparita; sotto di me avvertivo la coperta stesa sul pavimento e il cuscino che mi sosteneva la testa. Aprii gli occhi e mi alzai a sedere di scatto. Il quarzo posato sulla mia fronte scivolò via e mi atterrò in grembo.
– Ok, ok, piano campionessa – mi disse Carly, inginocchiata al mio fianco con un cronometro in mano. – Respira... prenditi tutto il tempo... Come ti senti, Isa? Tutto bene?
Sbirciai divertita la sua pantomima: Carly, come avesse avuto paura che non sapessi più come si faceva, accompagnava le sue parole con profondi respiri e ampi gesti delle mani. Le sorrisi, e annuii.
– Quanto sono stata via, stavolta? – indagai.
Carly mi mostrò il cronometro. – Trentatré minuti e cinquantasette secondi. Comincio a credere che tu non sia umana.
– Comincio a crederlo anch'io.
Carly mise da parte il cronometro e si sedette a gambe incrociate. – Allora, racconta. Dove sei stata stavolta?
Lo facevamo sempre. Ogni volta che tornavo da uno di quei viaggi - li chiamavo così, in mancanza di un termine migliore - le raccontavo ogni cosa. Ma quella volta aggrottai la fronte, cercando di riacciuffare dettagli nebulosi che si facevano sempre più distanti.
– Sai che... sai che non lo so? – confessai infine. – È strano, ma non riesco a ricordarmi niente.
Carly mugugnò. Si allungò a toccarmi la fronte, poi sbirciò il cronometro, e infine sentenziò. – Forse ci stiamo avvicinando al tuo limite. Io direi di non rischiare, e la prossima volta fermarci prima della mezzora.
Concordai con lei. Quei viaggi erano divertenti, ma non ci tenevo affatto a smettere di respirare in maniera permanente. Riponemmo tutti i cristalli, le candele, gli incensi e il resto del materiale, e una volta che mi fui cambiata per uscire, ce ne andammo a fare un po' di sano e normalissimo shopping.

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