lunedì 6 settembre 2021

Memorie dal mondo di prima

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Rodolfo Clix da Pexels


L'edificio pareva reggersi a stento, e non era più una casa da molto tempo. Era comunque meglio che stare allo scoperto.
Shana ci ordinò di seguirla su per le scale, perché ai piani inferiori la costruzione era sventrata come una carcassa spolpata fino all'osso, e offriva tanta copertura tra i suoi pilastri quanta ne davano i tronchi della foresta che era cresciuta prepotente tra le strade della città abbandonata. Il secondo piano, dal lato nord, conservava ancora le pareti esterne, sebbene le finestre fossero ormai solo un ricordo, e al loro posto non erano rimaste che le orbite vuote di un teschio. Il vento vi soffiava attraverso, sollevando la polvere dal pavimento e facendo dondolare i brandelli della vecchia carta da parati strappata.
Calcammo le assi di legno scricchiolante, tendendo l'orecchio a ogni rumore che non provenisse dai nostri passi leggeri, ma il fruscio delle foglie all'esterno, l'ululato del vento, i canti degli uccelli che non si curavano del conflitto in corso e l'occasionale ronzio delle mosche erano sufficienti a distrarci e a coprire il respiro di un eventuale estraneo. Con la punta dello stivale colpii qualcosa tra la polvere d'intonaco piovuta a terra dal soffitto scrostato, mi bloccai e abbassai lo sguardo. Gettate alla rinfusa, come cadute dalla vicina libreria semidistrutta, giacevano a terra un mucchietto di fotografie scolorite dal sole. Un gruppetto di bambini, tanto simili da sembrare fratelli, rincorrevano il tempo tra i vari riquadri, che li vedevano ora in posa, ora rilassati nel gioco, a volte assieme, altre da soli o in compagnia di uno o più adulti. Scostai con il piede le prime foto per sbirciare quelle sottostanti: neonati e adolescenti che erano la stessa persona, frammenti di memoria fissati per sempre nello spessore di un foglio di carta. Quei ragazzini erano adulti ormai, e mi chiesi se almeno qualcuno di loro era stato tra i fortunati che si erano imbarcati su una delle tre Caravelle, le navi generazionali che avevano lasciato la Terra in cerca di mondi più pacifici, o se quelle foto fossero tutto ciò che rimaneva di loro. So che non era una cosa bella da pensare, ma una parte di me sperò di sì, che non fossero sopravvissuti, se mai erano rimasti sulla Terra. Perché ora che avevo visto il loro passato, che mi erano diventati in qualche modo familiari, non avevo alcun desiderio di scontrarmi con loro. Non sarei mai riuscito a farli ragionare.
Non ricordavano più per che cosa stavano combattendo. Gli abitanti del pianeta sapevano solo che c'era un Noi e c'era un Loro, e che quel Loro per forza doveva essere formato da gente ostile e pericolosa, perché Loro erano diversi.
Non ricordavano che una volta eravamo stati dalla stessa parte contro un nemico mortale e inumano.
Walden! Non distrarti!
Sollevai lo sguardo su Shana: il suo pensiero era brusco e autoritario come al solito, e in un istante mi richiamò alla missione. Non scendevamo di frequente sulla superficie, avevamo una nave in orbita che era diventata la nostra base e solitamente le battaglie si svolgevano a bordo di navicelle attorno al pianeta, ma ogni tanto Maedbe o qualcun altro del suo Shanekth individuava una "zona cieca", un vuoto tra i pensieri degli esseri umani sopravvissuti su cui valeva la pena di indagare.  Quei vuoti generalmente ci indicavano la presenza di qualcuno della nostra specie, uno di noi cresciuto come un essere umano, che credeva di essere umano, e che aveva imparato a schermare la sua mente dietro una solida barriera fin da piccolissimo per evitare di impazzire in preda ai pensieri di chiunque altro lo circondasse. E quella era l'ipotesi migliore.
L'ipotesi peggiore, quella che tutti noi temevamo, era che prima o poi coloro che ci avevano dichiarato guerra imparassero a proteggersi dalla nostra capacità di leggere la loro mente. Finora la nostra superiorità in questo campo, l'abilità di anticipare le mosse degli esseri umani, ci avevano consentito di proteggerci limitando i danni in entrambi gli schieramenti. Se avessimo perso quel vantaggio, non saremmo più stati in grado di controllare le sorti di quella guerra inutile.

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