giovedì 23 settembre 2021

Non è tempo di far domande


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Foto di Nathan Cowley da Pexels


Avrei dovuto capire che non era il caso di fare domande quando Jashira lasciò la strada di Circumdeserto per puntare con decisione verso le dune, con la sola guida di una bussola. O meglio, che ormai era troppo tardi per fare domande. Ma non lo capii e quelle domande io le feci lo stesso.
– Ehi, Jashy! Non è che stiamo sbagliando strada?
Sì, lo so. Qualcuno con un po' più di coraggio rispetto a me  non glielo avrebbe chiesto, lo avrebbe direttamente affermato. Ma io sono io, e Jashy aveva pur sempre dalla sua parte due enormi elementali che avrebbero potuto rispettivamente bruciarmi o congelarmi. A quel punto del nostro viaggio, appena all'inizio, prima che quello del ghiaccio si sciogliesse riducendo le sue dimensioni a meno della metà e che quello del fuoco cominciasse a vetrificarsi, quei due erano creature temibilissime.
– L'ago punta sempre verso Timing – tagliò corto Jashira. Una bussola magica: avrei dovuto immaginarlo. – Non possiamo perderci nemmeno se volessimo.
Evitai di dirle che in effetti potevamo perderci, volendo: bastava andare in una direzione diversa rispetto a quella indicata dalla bussola. Ma in effetti, finché avevamo quell'arnese, anche andando volutamente fuori strada era facile tornarci, in qualunque punto di quella distesa sabbiosa ci fossimo trovati. Il vento soffiava quel giorno, sollevando mulinelli di granelli gialli, e sebbene quell'alito battesse rovente sulla mia pelle, la sua sola presenza bastava a mitigare il caldo opprimente e asciugarmi il sudore dalla fronte.
– Sì, ma... Cortodeserto non è da quella parte? – indicai la direzione che avevamo appena abbandonato. Questa volta la domanda era d'obbligo, perché non ero del tutto certo di stare indicando dalla parte giusta. Ah, per chi non fosse mai stato a Timing: Cortodeserto era la strada ufficiale per raggiungerla, una via dotata magicamente di ogni comfort che tagliava dritta tra le dune fino a raggiungere la città di archeologi al centro del deserto.
Jashira, tallonata dalle sue fide guardie del corpo di fuoco e di ghiaccio, sbuffò. – Cortodeserto è da quella parte – rispose, correggendo leggermente le mie indicazioni. – Ma Timing è da quest'altra.
Jashy puntò il braccio dritto davanti a sé. Io guardai avanti, ma tutto quello che vedevo era sabbia, solo sabbia, ancora sabbia, con l'occasionale roccia affiorante dalla sabbia, e dello stesso colore della sabbia, e qualche ciuffo d'erba seccato dal sole vicino alle rocce, che se ne stava lì a morire tra la sabbia. Mandai giù: la mia fervida immaginazione ci aveva messo tutti nella stessa situazione di quei ciuffi d'erba, me, Jashy, e i suoi elementali.
– Sei sicura che ce la possiamo fare, Jashy? Io credo che sia una gran bella, o meglio brutta, scarpinata da qui, tu non credi? – le chiesi ancora, trascinando gli stivali sulla sabbia. I miei piedi stavano bollendo, e li immaginai come le patate che zia Rani buttava intere nell'acqua della zuppa, che lasciava sul fuoco finché non si erano completamente sciolte in una pappetta molle. Già me li sentivo un po' più malleabili quei piedi, e mi chiesi con orrore se con tutto quel caldo non avrei perso le dita.
– Sono sicura – replicò Jashira, caparbia come al solito.
Niente, non stava funzionando. Conoscevo molto bene Jashy, e questo era uno dei motivi per cui avevo formulato le mie obiezioni sotto forma di domanda, perché se le avessi detto chiaro e tondo che non ce la potevamo fare e che dovevamo tornare indietro, lei si sarebbe intestardita ancora di più nella sua idea malsana di attraversare il deserto a piedi. I bagagli di Jashira, che per il momento toccava a me portare in attesa che fosse il suo turno (cosa che, conoscendola, non sarebbe mai arrivata) pesavano parecchio, ma ero certo che non fossero completamente riempiti di acqua e di cibo. Azzardai un'ultima domanda, tanto per precauzione.
– E sei sicura che abbiamo abbastanza da bere e da mangiare per il viaggio?
Avevo sognato per una settimana le favolose oasi disseminate lungo la via di Cortodeserto, fornite di banchetti con ogni prelibatezza a disposizione dei viaggiatori. Ne avevo solo sentito parlare, perciò quando Jashy mi aveva proposto di accompagnarla, avevo accettato con entusiasmo. Non immaginavo che quelle oasi sarebbero rimaste nei miei sogni e basta, e io avrei avuto solo sabbia che si infilava tra i vestiti e mi pizzicava gli occhi, sospinta dal vento.
– Falla finita. Basta con tutte queste domande, cos'è, un interrogatorio? Viaggi in compagnia della migliore maga di tutti i tempi, non hai nulla di cui preoccuparti!
Non sapevo se lei fosse la migliore maga di tutti i tempi. Quello di cui ero certo era che lei lo pensava, e che comunque era la migliore maga che avessi mai conosciuto. Non deponeva a suo favore, però, che all'epoca di maghi io avessi conosciuto solo lei, la guaritrice del villaggio che sapeva giusto infilare qualche incantesimo utile tra i suoi decotti alle erbe, e vari ciarlatani che giravano tra i paesini di campagna.
– È una scorciatoia. Arriveremo prima che tu possa dire "ah". – Jashy, e i suoi due elementali, si girarono verso di me agitando un pugno ciascuno. – Non lo dire – aggiunse Jashira in tono minaccioso.
Non lo dissi. Invece, deglutii. Sapevo che non mi conveniva più fiatare a quel punto, perciò cambiai strategia.
– Va bene – mormorai, cercando di restare calmo mentre una vocina nella mia testa gridava "moriremo tutti!". Poi cercai di assumere un tono entusiasta, sempre a dispetto di quella vocina che aveva preso a urlare e basta. – Questa scorciatoia sembra un'ottima idea!
Di solito, concordare con lei la insospettiva e la induceva a considerare altre possibilità, perché se lei aveva sempre ragione, io ai suoi occhi avevo sempre torto. Invece, stavolta Jashira disse: – Visto? Arriveremo prima di tutti gli altri, segnati le mie parole.
Non le segnai. Avrei dovuto, per rinfacciargliele quando avrei scoperto, molto più tardi, che l'ago della bussola magica non puntava esattamente verso Timing, bensì verso gli oggetti magici che la città conteneva, recuperati dagli archeologi in un deserto che ne conteneva almeno il triplo, se non di più; di certo, abbastanza per far girare l'ago verso ogni oggetto magico sepolto nella sabbia a cui per caso ci avvicinavamo nel nostro girovagare.

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