lunedì 20 settembre 2021

Un silenzio che non era silenzio

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Elizaveta Dushechkina da Pexels


Gli aruspici questo non l'avevano predetto.
Non ci avevano mai avvertiti che un giorno sarebbe arrivato un predatore senza artigli e senza zanne, un predatore uguale a noi, che avrebbe invaso la nostra casa e arrossato del nostro sangue le caverne.
Sachara aveva organizzato una linea di resistenza all'imboccatura delle caverne, formata dai cacciatori più anziani, quelli per cui la lotta era finita ormai da molte stagioni. Erano stati i primi a cadere, ma non prima di essere riusciti a sfoltire un po' la schiera degli invasori. In loro, nonostante l'età avanzata, c'era ancora lo spirito del guerriero.
Il loro sacrificio aveva dato a Sachara il tempo di armare il resto del clan e sparpagliarci tra i cunicoli e le caverne che si aprivano nelle profondità della montagna. Chiunque sapesse camminare aveva ricevuto almeno un coltello di selce o un bastone, prima di andare a nascondersi. I bambini che ancora non sapevano farlo invece erano con le madri, che li avevano portati nel luogo degli spiriti, la grotta sacra dove solo gli aruspici osavano recarsi.
Gli aruspici, gelosi dei loro segreti, avevano protestato a questa decisione del capo del clan, ma Sachara era stato irremovibile. Il futuro del nostro clan era nelle mani degli spiriti, e solo loro avrebbero deciso se tenerli al sicuro e proteggerli dagli invasori, o se punirli per aver osato recarsi là dov'era proibito.
La ferita che mi aveva impedito di accompagnare i cacciatori assieme a Chu e alle altre sentinelle, se pure mi aveva permesso di essere lì dove c'era più bisogno di me all'arrivo dei nostri nemici e di dare l'allarme, non mi aveva consentito di trovarmi un nascondiglio migliore. Camminare, anche appoggiato all'asta della mia zagaglia, era una sofferenza straziante. Avevo disobbedito agli aruspici restando di guardia, e lo squarcio nella gamba non stava guarendo bene.
Era per questo che mi ero rifugiato nella cava dell'acqua, tra le più vicine allo sperone di roccia su cui fino a poco tempo prima ero appollaiato a osservare la pianura. Era un ambiente vasto, che somigliava alla bocca di un animale per le numerose zanne di roccia che si elevavano da terra e scendevano dalla volta frastagliata. Mi ero nascosto dietro una delle più larghe, spezzata dal tempo così che solo la base rimaneva, formando un rifugio in cui si poteva restare non visti soltanto se si stava seduti o accosciati. Alle mie spalle, la parete di roccia della caverna mi assicurava che nessuno mi avrebbe attaccato alle spalle.
Avevo sentito dire da una delle madri, una volta, che andare a raccogliere l'acqua in quella caverna troppo umida per essere abitata dal clan la inquietava a causa del silenzio che si riempiva d'echi a ogni sospiro. Per me, che fin da bambino avevo i sensi sviluppati di una sentinella, quel luogo non era mai stato silenzioso. Lo stillare delle gocce si ripeteva in ogni direzione, tanto frequenti e numerose che udite tutte assieme sembravano formare lo scroscio di un torrente. Era una pioggia continua, come quando scendeva l'acqua dalle nuvole. In alto, tra le zanne di roccia, abitavano creature alate che stridevano e strillavano nel volo tra i loro nidi. Le sentivo, anche adesso, dare la caccia a insetti ronzanti e ad altri che strisciavano con le loro mille zampette sulle pareti della caverna. Qualunque sentinella sapeva di non essere mai sola lì nella cava dell'acqua.
Il respiro della roccia era l'ultimo tra i rumori che in quel momento mi distraeva. Volevo ascoltare solo i passi dei nostri predatori, i loro suoni gutturali per poterli individuare nel buio e abbatterli a uno a uno, ma quell'alito freddo che sgorgava dai cunicoli in un basso lamento illudeva le mie orecchie. Inspirai l'odore muschiato delle macchie verdi e viscide che ricoprivano la roccia. Gli invasori, prepotenti, non facevano silenzio, al contrario di me, di Sachara che riuscivo a scorgere dietro un dente di roccia quando mi sporgevo cautamente dal mio rifugio, e di Ahru, uno dei bambini che si erano addestrati per la via dei cacciatori. Mancava solo una stagione al tempo della sua prova, e già cominciava a sembrare un adulto.
Gli invasori nella caverna erano rimasti in sei. Gli altri, a gruppi di due, si erano inoltrati nei cunicoli, o erano entrati nelle grotte asciutte. Erano sparpagliati, potevamo farcela. Stavo per dare il segnale ai miei compagni, quando accaddero due cose. La prima, fu che due dei loro esploratori tornarono trascinando una delle nostre madri, che si dibatteva urlando nella stretta di uno di loro. Non era arrivata in tempo al luogo degli spiriti, o aveva preferito non infrangere i divieti degli aruspici, e stava pagando cara la sua remora. Il piccolo era tenuto per i capelli dall'altro, e non emetteva un fiato.
Non capivo se ci stavano cacciando per mangiarci, ma questa era la nostra casa, e non ci saremmo arresi. Sachara, dal suo nascondiglio, era pronta a scattare, anche se i nemici erano diventati più numerosi. Ero pronto anch'io, ma in quell'istante i miei sensi colsero la seconda delle cose che accaddero. Le voci dei nostri compagni cacciatori, i loro richiami allegri risalivano il sentiero verso le grotte, precedendoli. Erano di sicuro carichi della carne delle prede, ingombrati dal loro peso e ignari della trappola che li attendeva nelle caverne. Dovevamo avvertirli.
Non era più tempo di restare nascosti, di fare silenzio. Presi la mia cerbottana dalla cintura e vi infilai un dardo. Presi la mira su uno degli invasori, ma esitai, e infine sollevai la cerbottana verso la volta della grotta e soffiai. Una delle creature volanti precipitò in una pozzanghera con uno spruzzo rumoroso. Fu sufficiente per attirare l'attenzione degli invasori, che si divisero per andare a indagare sulla fonte del rumore. Sachara e Ahru scattarono fuori dai loro nascondigli, e la caverna si riempì dell'eco delle grida. Avrei dovuto aiutarli, ma non potevo. La mia missione era diventata un'altra. Appoggiato alla zagaglia, arrancai più in fretta che potevo verso l'ingresso della caverna e quando vidi i primi barlumi di luce lanciai il grido di allarme che avevo già dato una volta quel giorno.
Intrusi!
Non potevo che augurarmi che Chu mi avesse sentito e i cacciatori corressero al più presto al nostro soccorso, perché già sentivo i passi dei crudeli predatori alle mie spalle e sapevo che ferita o no, entro pochi istanti avrei dovuto voltarmi e difendermi.

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