lunedì 18 ottobre 2021

Il gatto che sapeva il suo nome

Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero


Com'era finita a girovagare tra gli alberi di una foresta, lontano da ogni sentiero conosciuto, questo lei proprio non lo sapeva. Un attimo prima era rintanata in soffitta a leggere, nel suo angolo di pace, lontana dal fratello che l'aveva per l'ennesima volta presa in giro di fronte ai suoi amici perché si perdeva sempre, anche a pochi passi da casa... e l'attimo dopo era persa davvero chissà dove, senza sapere come o quando era arrivata fin lì. Non che le importasse, almeno, non subito. Era così arrabbiata che qualunque distanza la separasse dalla fonte della sua irritazione era la benvenuta. Perlomeno lì suo fratello non sarebbe venuto a bussare alla porta per provocarla.
Allargò le braccia, godendosi il tepore del sole che faceva capolino tra le foglie, e vagò sfiorando squame di corteccia che le graffiavano i polpastrelli e le più morbide e lisce foglie degli steli d'erba e di giovani arbusti, accompagnata da un sonoro e ritmato ciangottare dai rami sopra la sua testa. Più lontano, di tanto in tanto, sentiva un mugghiare sordo che poteva appartenere forse a un cervo, oppure a un orso, ma non c'era da preoccuparsi dato che era a malapena udibile, più distante di quanto lei intendeva spingersi a piedi. Le mancava la sua bicicletta, il suo fido destriero Astro compagno di tante immaginarie avventure nel cortile di casa, ma si rendeva conto che lì, con tanti tronchi contro cui andare a sbattere e le radici sporgenti a intralciare le ruote, quel mezzo di trasporto sarebbe stato poco pratico. Così proseguì calcando la suola delle scarpe da ginnastica sulla terra e sui sassi coperti in parte da vecchie foglie cadute, sebbene le radici fossero un problema in cui incespicava anche senza ruote, e respirò l'aria pura e leggera del bosco, ben diversa dall'atmosfera stantia della soffitta, con quell'odore di vecchiume che era ormai diventato il familiare compagno delle sue letture. Già, chissà dov'era finito quel libro, non ricordava le ultime pagine lette ma aveva l'impressione di aver lasciato la storia proprio sul più bello.
La ragazza si fermò e si guardò attorno, ma non per cercare il libro, che chiaramente non poteva essere lì. Da qualche passo c'era un'altra sensazione che la metteva a disagio, la strana fastidiosa impressione di essere osservata, e non riusciva proprio a capire se fosse solo la sua immaginazione o se davvero ci fosse qualcun altro lì con lei. Di certo non potevano essere gli uccellini cinguettanti a spiarla, si disse alzando gli occhi verso il frastagliato tetto verde.
Nessun pennuto in vista sopra di lei, quelli si facevano sentire ma mai vedere. Però là, su un albero alla sua sinistra, proprio dove il tronco si biforcava separandosi da un ramo più sottile e flessibile, stava abbarbicata una creaturina pelosa che di primo acchito la ragazza scambiò per un folletto dalle orecchie a punta.
– Ehi, tu! – esclamò la ragazza, indicandolo. – Fermo lì, ti ho visto, sai?
Non si aspettava che facesse ciò che gli aveva detto, perché a una seconda occhiata aveva capito cos'era davvero quella piccola creatura pelosa; men che meno si aspettava che le rispondesse. E invece, una volta scoperto, lo spione sporse il musetto da dietro il tronco dove aveva cercato inutilmente di nascondersi e la fissò per qualche istante a occhi sgranati, prima di aprire la bocca dai dentini aguzzi, circondata da lunghi baffi bianchi sotto a un grazioso naso dalla punta rosa.
– Devi dire "tana per il gatto" – miagolò sornione il piccolo felino, poiché proprio di questo si trattava. – Altrimenti non vale.
La ragazza batté le palpebre un paio di volte. Non era insolito per lei immaginare di poter parlare con gli animali, ma mai prima di allora quella fantasia le era parsa così reale.
– Lo so, lo so – proseguì il micetto, sporgendosi un po' di più, ben aggrappato al tronco con le unghie. – "Aiuto, un gatto parlante!" Ma ti sei mai chiesta se forse quella strana non sei, diciamo... tu?
Il gatto parve irriderla nel piegare all'insù gli angoli della bocca chiusa.
La ragazza sbuffò e puntò i pugni sui fianchi. Era già sufficiente che ci fossero suo fratello e i suoi amici a definirla "strana", senza che ci pensasse pure uno sconosciuto felino.
– Senti, tu... – iniziò a dire la ragazza ma il gatto, dopo un agile balzo che lo aveva portato ad atterrare su un solido ramo poco più in basso del suo precedente nascondiglio, la interruppe con fare sornione.
– Per inciso, era un complimento.
Prese a leccarsi una zampa e a quelle parole la ragazza si sgonfiò come un palloncino.
– Io... credo... grazie? – balbettò, in tono poco convinto.
Di nuovo il gatto piegò il muso in un sorriso. – No, è evidente che non ci credi. Ma ci crederai, un giorno. – Il gatto si alzò sulle quattro zampe , la coda dritta e alta, a parte la punta leggermente piegata di lato. – Ma adesso andiamo, Stefania, abbiamo troppe cose da fare, cose più importanti che restare qui in mezzo agli alberi a scambiarci convenevoli.
– Aspetta... come sai il mio nome? – gli chiese la ragazza, come se quel dettaglio fosse la cosa più sorprendente del suo incontro con il gatto parlante.
Il gatto si sedette brevemente sulle zampe posteriori, alzò una delle zampette davanti e la indicò. – Te lo porti addosso.
La ragazza abbassò lo sguardo alla maglietta. A grandi lettere colorate, in un arco tra il colletto e un riquadro bianco al centro della t-shirt, era ben leggibile il suo nome.
– Se non vuoi che la gente e i gatti lo sappiano, forse non dovresti indossarlo, non credi? – miagolò il micio in tono divertito.
Stefania non rispose. Ovviamente per un gatto che sapeva parlare non era insolito che sapesse pure leggere, si disse, preoccupata piuttosto da quel vuoto nel riquadro bianco, che non ricordava affatto. Non c'era stata forse una foto, lì? Forse la foto di un gatto, sì... un gatto su un albero?
Non ebbe il tempo di indagare oltre nella sua memoria più fallace del solito poiché il gatto parlante sopra la sua testa, che già era saltato sul ramo di un albero vicino, la spronava a seguirlo, e non sapendo esattamente dove andare né dove si trovava, Stefania pensò che fosse meglio affidarsi a qualcuno che invece pareva conoscere fin troppe cose. Anche se quel qualcuno era un gatto che non voleva saperne di stare zitto.

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