lunedì 4 ottobre 2021

Rumore grigio


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Max Vakhtbovych da Pexels


Vera si svegliò con una strana eco nelle orecchie. Non era il ripetersi di una voce, non era un ronzio o un fischio, e non era nemmeno un sussurro o un ululato, sebbene avesse qualche caratteristica di tutte queste cose. Era, piuttosto, il rimbombo di un ampio spazio vuoto che come la risacca in una conchiglia ingannava le sue orecchie, era rumore grigio, costante e opprimente, era l'eco di stanze dimenticate e di cose perdute. I suoi primi respiri dopo l'oblio del sonno - nessun incubo spaventoso, forse per la prima volta da quando si era ripresa dopo l'incidente - le restituirono un odore sabbioso, come di talco, ma meno gradevole. Inspirando più a fondo, nel cercare di dare un senso a quelle percezioni inusuali, la ragazza individuò un altro sentore, lieve e quasi totalmente soffocato dall'altro: un odore metallico, come la puzza che gli attrezzi da allenamento, le sbarre e i pesi con cui aveva ormai preso confidenza, le lasciavano sulle mani dopo ogni sessione. Un odore che le restava per poco addosso, impaziente com'era di lavarselo via una volta che aveva finito.
Con un mugolio Vera aprì gli occhi per ritrovare il soffitto color cenere della sua camera senza finestre, sepolta in profondità nel complesso dei laboratori. Sospirò. Finalmente qualcosa di normale.
– Dottor Eastfield? – Vera provò a chiamarlo un paio di volte, ma lui non era nella stanza, e nessuno venne da lei. Sapeva di essere monitorata ventiquattrore su ventiquattro, e di solito ogni volta che aveva bisogno di qualcosa un'infermiera, o un assistente, o... qualcuno, era da lei in poco tempo. Dopo quello che era accaduto a Marta e a Luisa, le sue amiche, le uniche sopravvissute all'incidente assieme a lei, gli scienziati che lavoravano nel complesso erano divenuti estremamente protettivi. Vera fece un ultimo tentativo con il pulsante rosso accanto al letto, ma dopo una lunga attesa si rassegnò al fatto che nessuno sarebbe entrato nella stanza.
Un'esplosione deformò il rumore grigio che le tappava le orecchie. Una frazione di secondo, e mentre la sua mente le diceva di raggomitolarsi sul letto e stringere gli occhi, il suo corpo era già scattato in piedi, con i pugni alzati, pronto a combattere. Ma non c'era niente, nessun nemico da abbattere tra le pareti bigie. E l'esplosione, quell'esplosione, Vera non era nemmeno più sicura di averla sentita davvero, non nel presente, almeno.
Tante altre volte l'aveva udita nei suoi incubi. Nei suoi ricordi.
Vera si rilassò, si vestì e si avvicinò alla porta scorrevole. La porta non si mosse. Era però appena aperta, giusto uno spiraglio, e tirando e forzandola Vera riuscì a ricavare uno spazio abbastanza ampio da scivolare all'esterno, contorcendosi un po'.
Fuori, le stranezze continuavano. Il suo secondino, un soldato dalla mimetica bigia che stava sempre di guardia alla porta della sua camera, volto diverso, diverso individuo ma stesso atteggiamento giorno e notte, per la prima volta da quando l'avevano portata in quel posto era sparito. Il rumore nelle orecchie di Vera ondeggiò e crepitò, facendola sussultare. Il corridoio opprimente e grigio, che proseguiva in monotone sequenze di porte metalliche prive di qualsivoglia contrassegno o cartellino che ne indicasse il contenuto, sembrava più stretto e basso del solito. Vera si mise al centro del corridoio e allungò le mani verso entrambe le pareti, arrivando a toccarle contemporaneamente con i polpastrelli delle dita. Strano. Prima di allora non ci era mai riuscita. Dunque il corridoio si era davvero ristretto. A meno che, come il personaggio di un libro per bambini, non fosse cresciuta di colpo lei, ma questo era impossibile.
Mentre rifletteva sulle bizzarrie di quella giornata appena iniziata, Vera avvertì un basso ruggito inserirsi nel rumore a cui si era ormai abituata e dal fondo del corridoio un soffio di vento caldo e solforoso, come l'alito mefitico di un'orrenda enorme bestia, la investì in pieno, facendola vacillare.
Altri schiocchi e bisbigli e versi animaleschi provennero dall'alto, dal soffitto e dalle sommità delle pareti grigio piombo dove un paio d'ombre deformi e vagamente antropomorfe strisciavano, avvicinandosi sempre più a lei, e dove passavano la luce impietosa delle lampade a neon veniva oscurata, gettando il corridoio in una oscurità spaventosa.
Quegli esseri impalpabili, orrendi, fatti di buio e di nebbia... Vera seppe all'istante di non poterli combattere.
Si girò e, col cuore in gola, corse nella direzione opposta.

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