sabato 9 ottobre 2021

Torbido

Torbido [tór-bi-do] agg., s. 1. agg. Di liquido, che presenta impurità in sospensione ed è perciò privo di limpidezza e trasparenza. 2. agg. fig. Poco chiaro, non sereno; moralmente impuro, abietto; riferito a periodo storico, inquieto, tormentato. 3. s.m. (solo sing.) Cosa poco chiara; situazione ambigua. 4. s.m. (al pl.) Disordine politico, sommossa.

Etimologia: dal latino turbidus, "disordine rumoroso, confusione, scompiglio".



Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero.
Foto di Petr Ganaj da Pexels


L'acqua del lago era torbida, bruna di fango, ma il ragazzo si lasciò cadere sulle ginocchia e sulle mani e si mise a bere come una bestia. Non avevo pensato che fosse assetato, o gli avrei offerto una delle nostre borracce. Gli altri si tennero in disparte, grati per la sosta dopo la marcia fino alle prime luci dell'alba seguita alla nostra precipitosa fuga, perciò toccò a me interrompere quell'inutile umiliazione.
Gli toccai una spalla, mentre con l'altra mano mi sfilavo di dosso la tracolla di un piccolo otre di pelle. – Non è più necessario che tu faccia questo... – esordii, ma lui si girò di scatto, mi fissò truce e digrignò i denti con un ringhio. Per rassicurarlo stappai l'otre, lo allungai verso di lui e lo scossi, traendone un lieve sciabordio.
Il ragazzo si mise seduto, i talloni piantati a terra e le ginocchia incrostate di fango piegare in angoli spigolosi. Gli avevamo dato una palandrana per coprirsi, ma lui sembrava non avere alcun pudore, e la teneva aperta sul suo corpo nudo. Mi strappò la borraccia di mano e bevve avidamente, lasciando colare l'acqua sul mento e sul petto. Distolsi gli occhi dalle sue parti intime per esaminare i brandelli di tessuto con cui gli avevamo fasciato l'addome, la coscia destra e il polpaccio sinistro. Altre fasciature di fortuna erano celate dalle maniche, e mi chiesi se si stavano arrossando come quelle in vista.
La nostra incursione nelle caverne dei demoni non era servita a salvare i cavalieri rapiti o a raccogliere informazioni sui piani di quelle creature: per i primi era troppo tardi, quanto alle seconde, chi poteva capire che cosa passava nelle loro torbide menti?
Avevamo però trovato il ragazzo, seguendo l'eco delle sue urla mentre lo torturavano. I demoni lo tenevano incatenato come un cane. D'accordo con gli altri, avevo atteso il momento giusto per liberarlo.
Non sapevo chi fosse, o se sarebbe mai riuscito a parlare per rivelarci qualcosa di utile, ma sapevo che non potevo lasciarlo in balia dei suoi aguzzini.

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