giovedì 14 ottobre 2021

Le meraviglie di Madre Natura


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Foto di Irina Iriser da Pexels


Non si può descrivere la meraviglia che i nostri nuovi occhi videro quando i nostri compagni ci guidarono lungo i cunicoli che avevano percorso. Una parte di quelle strade mi erano note per averle esplorate io stesso quando ne avevo ancora la forza, ma non le avevo mai percepite così come mi apparivano in quel momento. La roccia scintillava di bagliori d'oro e d'argento, e sotto i nostri passi, per quanto ci muovessimo più lievemente di quanto avessimo mai fatto, i ciottoli nel ruzzolare emettevano rombi e boati che parevano squassarci fin nel profondo. Ma quei fenomeni inconsueti non erano nulla in confronto al Giardino di Cristallo.
Non immaginavo, prima di lasciar spaziare lo sguardo in quella fantastica alcova, che le forme generate da Madre Natura potessero essere plasmate per mezzo della solida roccia. Cristalli, per la precisione, cristalli azzurri e trasparenti, raggruppati in grappoli di fiori che pendevano da rami di cristallo ricurvi simili ad eterei glicini, mentre spighe floreali della stessa sfumatura cerulea si innalzavano da terra, inframmezzate a formazioni simili a fili d'erba, arbusti, felci e alberi. Non si potevano definire semplici stalattiti e stalagmiti quelle mirabolanti forme, così simili alla variegata vegetazione del mondo al di fuori della nostra tomba sotterranea. Ci incamminammo nell'impossibile giardino, fra lo stupore di chi non l'aveva mai visto e la sicurezza di chi già conosceva la strada.
Ovunque, il cristallo vibrava, un suono limpido che non avevo mai udito, e rispondeva al nostro tocco mentre ci muovevamo con reverenza tra i fiori di cristallo, variando quella musica pura man mano che sfilavamo lungo il sentiero in direzione della fonte. E fu lì, in quell'incanto che pareva provenire da una terra soprannaturale, che ripensai ad Amryn, a quanto desideravo che lei avesse potuto vederlo. Ma Amryn, come tanti altri tra i nostri compagni, non era lì con noi, e non avrebbe mai potuto sperimentare quella gioia, la gioia di sentirsi più vivi di quanto non fossimo mai stati.
Al ricordo, uno schianto spezzò il mio cuore fragile come il cristallo. Mi piegai in due, subito sorretto e rinfrancato dalle mani dei miei compagni, che probabilmente avevano compreso, con quella nuova lucidità che ci aveva donato l'Acqua della Vita, quali pensieri e quali ricordi avevano fiaccato il mio corpo.
Poiché ero stato tra i più deboli tra coloro che attendevano la morte nella grande caverna, io ero stato tra i primi a ricevere l'Acqua della Vita. Il liquido salvifico che gli ultimi esploratori con ancora forza nelle gambe ci avevano portato mi aveva subito rinvigorito. Erano bastati pochi sorsi per schiarire la mia mente annebbiata, per restituirmi anche più della forza e della salute che avevo avuto prima che iniziassimo a razionare il cibo. Aiutai gli esploratori a condividere l'incredibile scoperta, e io stesso ne feci bere qualche sorso ad Amryn, la mia amata compagna, il cui respiro era rimasto il più forte sotto la volta oscura della caverna. Ignorai le grida che si levarono da più parti fin quando quel respiro così forte si affievolì fino a cessare qualche istante dopo che lei ebbe bevuto l'Acqua. Solo uno sciocco avrebbe negato l'evidenza, solo un ingenuo avrebbe potuto affermare che quell'effetto così diverso su di me e su di lei non proveniva dalla stessa causa.
Soltanto allora, con il peso immobile del suo corpo tra le braccia, capii le grida e i pianti che mi circondavano, e seppi che altri tra i nostri compagni non erano stati salvati, bensì uccisi, da quello che avevamo creduto un elisir miracoloso, la fonte dell'eterna giovinezza delle leggende. Non tutti eravamo sopravvissuti a quel prodigio, e noi che lo avevamo fatto avremmo sempre dovuto ricordare coloro che erano scivolati così dolcemente nella morte.
Così pensavo, di fronte a quella fonte che sgorgava dalla roccia, per formare una polla limpida tra i fiori di cristallo che si piegavano, come sospinti da un immobile vento, sulle sue rive. Non ero del tutto certo che fosse stata Madre Natura a creare quell'incantevole orrore, ed ebbi l'impulso di distruggerla, neutralizzare in qualche modo il suo potere, anche se non sapevo come. Ma i miei compagni erano d'accordo nel ritenere che la Fonte fosse la soluzione ai nostri mali, che fosse più saggio condividerla con l'umanità, in previsione del Cataclisma che di lì a poco avrebbe travolto il mondo, perché i benefici, coloro che aveva salvato, erano maggiori dei danni.
Io non riuscivo a chiamare in quel modo coloro che ci eravamo lasciati alle spalle in una tomba di roccia.
La loro idea non venne mai messa in pratica, poiché vagammo ancora per molto tempo in cerca di un'uscita, senza l'ausilio del sole per poter contare i giorni; e quando emergemmo dalla montagna, ci rendemmo conto che quelli che avevamo ritenuto mesi trascorsi con il solo sostentamento dell'Acqua della Vita erano stati in realtà secoli. Scoprimmo che l'umanità era almeno in parte scampata al Cataclisma che aveva modificato il nostro mondo, e lo aveva rinominato Penterra. Immemori dei progressi che i loro antenati avevano compiuto, sopravvivevano in un modo arcaico, ma efficace.
Quanto a noi, eravamo cambiati a tal punto da non poter più essere riconosciuti come loro simili. I nostri corpi erano mutati più lentamente dei nostri sensi e delle nostre menti, ma tuttavia lo avevano fatto. Nell'oscurità del nostro isolamento la pelle si era fatta pallida, il nostro fisico che non aveva più toccato cibo era divenuto asciutto e tornito, e le orecchie allenate a udire la musica dei cristalli si erano allungate verso l'alto in una strana punta. Eravamo divenuti simili alle creature di una favola, e i sopravvissuti all'esterno come tali ci identificarono.
Facemmo voto di proteggere la Fonte e di non rivelare mai la verità ai Vita Breve, e per noi stessi scegliemmo come dimora le foreste candide della terra che ora è chiamata Elara, che Madre Natura dopo il Cataclisma aveva fatto crescere per guarire quelle pianure così simili a noi.

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