lunedì 22 novembre 2021

Basse aspettative


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Tima Miroshnichenko da Pexels


Nessuno si aspettava che io sopravvivessi. Forse per questo non inviarono qualcuno a cercarmi. Gli bastò a malapena sorvolare la zona per avere conferma che il jet privato dell'azienda presso cui lavoravo si era schiantato. Ma questo lo seppi solo molto tempo dopo.
In condizioni normali una persona come me non sarebbe nemmeno stata su quel jet, né avrebbe ricoperto la prestigiosa posizione di segretaria di un dirigente d'alto rango. Non abbastanza bella, né ruffiana, e senza alcun legame di parentela o di amicizia con chi sedeva nel consiglio di amministrazione, il giorno in cui mi avevano comunicato quella promozione inaspettata pensai a uno scherzo. E invece no, era tutto vero, e dopo breve tempo venni a sapere che ero stata caldamente raccomandata dalla moglie del suddetto dirigente, che era nientemeno che la figlia del gran capo, proprio perché si aspettava che per il marito non avrei rappresentato una distrazione, né una tentazione. Anche perché avevo la fama, tra i colleghi, di essere una donna algida, tanto che più di qualcuno aveva cominciato a sospettare che le mie preferenze fossero altrove.
E fu così che mi trovai a bordo di quel maledetto jet, e il maledetto jet si schiantò sulla montagna.
Le prime ore dopo il mio risveglio furono le più penose. Non c'era una sola parte del corpo che non mi facesse male, ero confusa, intontita, e per un istante non riconobbi nemmeno dove mi trovavo. Iniziai piano a ricordare, come se la mia mente funzionasse al rallentatore, e tremando mi liberai dalla cintura e cercai gli altri passeggeri, chiamai, chiesi aiuto. Nessuno mi rispose, e nessuno mi avrebbe più risposto.
Non avete idea di quello che ho dovuto fare per sopravvivere. Fuori dalla carlinga la temperatura era probabilmente inferiore allo zero, e soffiava un vento gelido, che portava con sé grossi grumi bianchi che picchiavano come pugni. Non ero al riparo, lì, poiché un ampio squarcio nella fusoliera si stava rapidamente riempiendo di neve. Voi non sapete che cosa significa davvero congelare dal freddo. Non sapete che cosa vuol dire battere i denti per le stilettate di un gelo bastardo, implacabile, e sentire che le dita, i piedi, il naso fanno male di continuo, tanto male, un male che non passa nemmeno strofinandoli, e quando finalmente passa e non li senti più, cominciare ad avere paura sul serio perché è allora che rischi di perderli.
Fui abbastanza fortunata da trovare una grotta, un anfratto non troppo grande e con un accesso stretto e riparato dal vento. Lì potei accendere un fuoco, ogni tanto, quando dalle mie escursioni all'esterno, sempre in pieno giorno e quando la tempesta di neve si placava un poco, riuscivo a portare del materiale infiammabile saccheggiato dai resti dell'aereo e da qualche solitario arbusto nei dintorni. Era difficile allontanarsi troppo, impossibile pensare di scendere a valle, con la nuova neve che si accumulava in mucchi traditori, piatti e rassicuranti anche quando celavano un crepaccio in cui affondare molto più che fino alle ginocchia. Ogni volta che uscivo, andavo anche a prendere qualcosa da mangiare. No, non vi dirò che cosa, inorridireste al solo pensiero. Ma lassù, al freddo, con la fame che divora le viscere, basta poco per vincere il ribrezzo e affondare i denti in qualunque carne sia possibile trovare.
Anche se quella carne un tempo aveva un nome.
Cercavo solo di sopravvivere. Un'ora alla volta. Un giorno alla volta. Non sapevo che altrove, tra la gente che se ne stava al sicuro, al caldo, e con la pancia piena, mi avevano già dato per morta. Non si aspettavano che io sopravvivessi.
Mi trovarono, per caso, un gruppo di scalatori. Smagrita, selvatica, viva. Unica sopravvissuta.
Perciò, nonostante le basse aspettative, eccomi qui.
E adesso quando qualcuno mi dice che sono algida, beh, non ha davvero idea di quanto il freddo sia diventato mio amico.

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