giovedì 17 febbraio 2022

Il mostro in agguato


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Adriaan Greyling da Pexels


Le mie ferite stavano guarendo ed ero perfino riuscito a saziarmi quando, innumerevoli passi barcollanti più tardi, trovai rifugio dal calore di un sole impietoso e per me sconosciuto sotto una fitta coltre di verde. Il paesaggio era mutato a poco a poco: dapprima bassi arbusti spinosi erano spuntati qua e là tra l'erba secca e giallastra della savana, e si erano fatti sempre più numerosi e rigogliosi; nel frattempo ai gruppi di acacie e alle palme, la cui forma avevo presto imparato ad associare a una fonte d'acqua presso cui abbeverarmi e trovare nutrimento, si erano mischiate nuove specie di quelle torri vegetali, che nel corso del mio pellegrinaggio senza meta si erano fatte sempre più audaci e vicine fino a nascondermi del tutto ogni orizzonte e, alla fine, perfino la vista del cielo.
Ogni giorno in cui io vivevo, a dispetto di colei che mi aveva mandato lì a morire, una risata malevola mi sgorgava dal petto. Resistevo, tenace, ostinato, aggrappato alla vita con le unghie e con i denti, con ogni oncia della mia volontà pervicace. Non che avessi piani di vendetta, non mi dicevo "quando sarò più forte, tornerò e la distruggerò", no, non era questo il mio intento. Volevo soltanto continuare a esistere. Anche se in quel mondo aspro, abbacinante e rumoroso, ogni piacere era offuscato da un'immane fatica.
Trascinai le mie membra a un corso d'acqua dove stemperai i resti seccati del sangue che mi incrostava il viso in un fiume tanto lento da parere immoto. Sopra e attorno a me, più forti di quelli che mi avevano lacerato le orecchie nelle notti trascorse a vagare nella savana, la cacofonia di fischi, schiocchi, strepiti, versi belluini e cori animaleschi mi stava facendo impazzire. Urlai e agitai le braccia, invano. E poi lo vidi.
Fu dapprima un movimento al limite del mio campo visivo a tradirlo. Grigio come le rocce affioranti dall'acqua su cui aveva trovato riposo, basso e zigrinato, nell'immobilità la mia poca dimestichezza con le forme di vita locali mi aveva indotto a non ritenerlo degno di nota. Ma quando tornai a fissarlo, dopo quel lampo bigio colto con la coda dell'occhio, lo vidi aprire una lunga bocca irta di zanne e rivolgerla verso di me. Mi accovacciai sulla riva e allargai le braccia, afferrai manciate d'erba, le strappai, poi piantai le unghie nelle radici degli alberi. Il mio nervosismo era evidente, e crebbe in una frenesia ansiosa man mano che il tempo trascorreva a fissarci l'un l'altro da lontano, senza accennare a una mossa. Forse la creatura aveva fiutato qualcosa in me che lo rendeva sospettoso, nonostante le armi evidenti di cui disponeva e che suscitavano la mia invidia. Avessi avuto io una bocca così larga, così ben fornita di pugnali aguzzi creati apposta per afferrare e lacerare la carne morbida, non avrei esitato ad attaccare. Sbirciai tra il fogliame animato da ombre volanti e dall'intreccio di un variegato pandemonio, scelsi una di quelle voci e la feci mia, un rapido e acuto strillo che indirizzai alla creatura adagiata sulle rocce, una provocazione.
Funzionò: quella scivolò pigramente in acqua e non la vidi più. Scrutai la superficie del fiume, ma le increspature provocate dal suo tuffo mi avevano nascosto la direzione che aveva preso, e non riuscii a capire se si fosse allontanato alla chetichella o se si fosse avvicinato di soppiatto per tendermi un agguato. Nel frattempo, però, al chiasso incessante si era unito un altro rumore, più flebile: un fruscio cauto e strisciante alle mie spalle, più vicino, sempre più vicino. Stando accovacciato, mi girai verso la nuova fonte di un possibile pericolo alla mia esistenza.
Era forse lei? Era tornata a completare ciò che aveva lasciato a metà?
La creatura che emerse dalla giungla mi somigliava più di qualunque altra avessi mai visto. Era più alta, più massiccia e più scura, ma si muoveva su due gambe, e aveva due braccia che pendevano ai fianchi, e un viso piatto proprio come il mio.
Le mancavano le ali, e forti artigli al termine delle dita. Altrimenti, avrei giurato di essermi trovato di fronte a un altro Incubo vivente, un altro sopravvissuto in quel mondo atroce. Se solo avessi conosciuto le parole per giurare.
La nuova creatura simile a me ci mise meno tempo della precedente per valutarmi e reagire. Mi ero appena alzato in piedi quando quella urlò e mi lanciò contro un lungo aculeo che solo più tardi imparai a identificare come una lancia. La sua reazione, seppur più immediata, fu comunque troppo lenta per causarmi un reale fastidio. Schivai facilmente la lancia piegandomi di lato, e non appena mi superò, mi raddrizzai e scattai verso la creatura. Alle mie spalle, la lancia non era ancora caduta in acqua con un tonfo che già avevo afferrato il mio bersaglio. Quello riuscì a urlare solo: – Demone! – e poi: – Spettro, – prima che lo gettassi a terra sulla riva del fiume. O almeno, tale fu il senso delle sue parole, che ricostruii nella mia memoria molto tempo dopo.
La sua scarsa resistenza mi sorprese. Nonostante la stazza, ero bastato io, un adolescente ancora debilitato per le ferite inferte dalla sua solerte genitrice, per avere la meglio su quell'essere debole e lento.
No, non era davvero come me.
Puntai un piede sul suo petto e tirai verso di me il suo braccio, torcendo e strappando con forza finché non cedette con uno schiocco, perfettamente udibile tra le sue urla e la gazzarra di versi chioccianti e fischianti che era proseguita imperterrita sopra e attorno a noi. Il sangue sgorgò copioso dalla carne lacerata e io immersi la bocca in quella cascata cremisi, saziandomi del suo terrore quanto del nettare che bevevo avidamente. Poi gettai a terra il braccio e risi, risi a lungo, in maniera scomposta, e trattenendolo sempre a terra col mio piede gli afferrai una gamba e la sollevai. Piantai le unghie nella caviglia e nel polpaccio, ascoltandolo modulare le urla in modo diverso. Quello sì che era un concerto soddisfacente, gradito alle mie orecchie, il canto dell'agonia.
All'improvviso dall'acqua emersero le fauci della creatura grigia che si strinsero sul braccio ancora attaccato al corpo. Giocammo a tirarlo da una parte e dall'altra, io e la creatura grigia, finché le urla non si smorzarono e quello giacque inerme, e allora lo lasciai alla creatura grigia, che se lo trascinò in acqua. Il mio primo istinto, quando l'avevo vista sulle rocce, era stato di ucciderla, ma dopo tutto quello non mi andava più di ammazzare qualcosa che mi assomigliava molto di più per indole di quanto non mi fosse stato simile l'essere con le mie stesse sembianze esteriori. D'altra parte. la sola carne non soddisfaceva i miei appetiti, che si erano fatti con quell'ultima uccisione più sofisticati, perciò la creatura poteva averla tutta per sé. Io dovevo trovarne degli altri. Il suo dolore, il suo terrore, accresciuto dalla ragione e dalla consapevolezza di ciò che si era trovato di fronte prima ancora che iniziasse il mio attacco, erano stati molto più intensi di quelli delle bestie incaute che mi avevano attaccato nella savana, credendo che un Incubo ferito fosse una preda facile. Altri miei simili lo erano stati, ma non io. Io ero più forte di quel mondo ostile. Io avevo trovato il modo di trarre godimento dal mio esilio. E anche la cacofonia di voci ferine che attutiva i miei passi e il frusciare delle foglie man mano che mi allontanavo dal fiume iniziava a suonare in modo piacevole e familiare alle mie orecchie. Percorsi a ritroso la strada che la creatura simile a me aveva compiuto verso la sua morte. Un unico pensiero mi ronzava in testa.
Dovevo trovarne altri. Dovevo trovarne altri.
Ancora non sapevo che quelli erano uomini, e che quel mondo gli apparteneva. Che se da soli erano una facile preda, insieme, e con le armi giuste, potevano diventare un pericolo per la mia esistenza. Che erano loro il mostro dal quale dovevo proteggermi, nascondermi, fino a prenderne le sembianze, l'identità e le abitudini, se volevo sopravvivere. Celare me stesso persino a me stesso.
Questo sarei arrivato a fare pur di muovermi indisturbato tra loro, nel loro mondo.
Ma allora, in quel momento, tra quei primi passi nel mondo degli uomini, mi sentivo invincibile.
Io ero il mostro in agguato, ed era solo naturale, e giusto, che fossero loro a tremare inermi al mio cospetto.

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