giovedì 24 febbraio 2022

Punizione esemplare


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Foto di KoolShooters da Pexels


Chiunque conoscesse il Corvaccio sapeva che con lui non c'era da scherzare. Io lo avevo imparato nei primi mesi passati con lui, e ci tenevo meno che mai a tornare legata sulla sedia, a sentire di nuovo gli spilli infilati sotto le unghie. Al solo pensiero, mi bruciavano le dita. Ero diventata scaltra e sapevo che non dovevo farlo arrabbiare.
Io e il Furetto lo conoscevamo molto bene, molto da vicino, ma non era così per quella gente. Si vedeva che ne avevano un sano timore, per come bisbigliavano al nostro passaggio mentre ci inoltravamo in quell'antro buio e umido accompagnati da un uomo alto, magro e cencioso, di poche parole, che rispondeva al nome di "Il Brusco". All'inizio, quando ci eravamo presentati alla sezione crollata delle fogne che faceva da ingresso alla loro tana, alcuni di loro avevano urlato minacce e cercato di allontanarci. Io ero mi ero messa all'erta, ma il Corvaccio, serafico, ci aveva spiegato che quelli erano solo schiamazzi da cornacchie, e che sarebbero cessati presto, non appena quei luridi mendicanti avessero capito che gli conveniva tacere e lasciarci passare.
Non era la prima volta che il Corvaccio faceva affari con la gente dei bassifondi. Informazioni comprate e vendute, soprattutto, ma anche manodopera a basso costo per certi affari loschi, o la vendita di refurtiva scottante per farla sparire al più presto dalla circolazione. Sapevo che a volte ricorreva alla feccia della società per facilitare il suo lavoro, ma io non c'ero mai stata a uno di quegli incontri. Almeno, non fino a quella notte.
Anche se il Corvaccio faceva affari con loro, di quella gente non c'era da fidarsi; perciò, per la mia sicurezza, per tutti loro sarei stata un maschio, un ragazzetto dai capelli rossi che il Furetto teneva sottobraccio con fare protettivo. La mia autentica espressione schifata era perfetta per dare l'impressione di un fratello minore seccato da quelle smancerie e dall'essere, appunto, trattato ancora come un bimbetto da tenere sotto controllo, per evitare che si mettesse nei guai.
Col senno di poi, sarebbe stato meglio passare tutta la sera col braccio del Furetto che mi pesava sulle spalle.
Invece, quando Il Brusco accompagnò il Corvaccio oltre una serie di tendaggi sistemati alla bell'e meglio a separare un salottino formato da casse sgangherate dal resto delle catacombe puzzolenti in cui quella gente aveva trovato rifugio, e noi fummo costretti ad attendere fuori, esclusi dalle trattative degli adulti, il Furetto se ne andò alla chetichella, attirato dal rumore metallico, tintinnante dei catenacci e di quello prolungato, ritmico e strisciante delle lame che venivano affilate. Se c'era qualcuno che stava per essere ammazzato, lui non si sarebbe perso la scena, anche se non era lui stesso a tenere il coltello. O almeno, questo era il motivo per cui immaginavo se ne fosse andato.
Non mi era mai passato per la testa che anche lui avesse i suoi affari, affari per i quali non voleva testimoni, non soprattutto qualcuno che fosse così facile da interrogare per il Corvaccio.
Così mi ritrovai da sola, e fu facile, per quella gente imprevedibile e violenta, accerchiarmi mentre vagavo smarrita in casa loro, buttarmi a terra e poi colpirmi.
Al Corvaccio non piacque affatto il taglio che mi lasciarono sullo zigomo. Lui ci teneva molto che i suoi angioletti pigliamonete apparissero presentabili, innocenti e lustri. A differenza della maggior parte dei mocciosi che abitavano quella fogna, che già avevano cicatrici, dita mancanti o una zoppia più o meno pronunciata, noi non dovevamo avere alcun segno che potesse identificarci, o denunciare la nostra appartenenza a uno stile di vita sregolato e pericoloso.
Il Corvaccio, quando mi vide col sangue che mi colava sul mento, si arrabbiò molto. Con me, per essermene andata in giro, con il Furetto per non avermi controllato, ma soprattutto con i responsabili di quello che considerava un grave danno a qualcosa che gli apparteneva. Oltre a quel taglio avevo dei lividi, e le nocche doloranti per essermi difesa, e il farsetto da maschio in parte strappato, tanto che me lo tenevo stretto con un braccio per non rivelare il corpo ancora acerbo da bambina che nascondevo al di sotto. E avevo un bel dire che non era poi così una cosa così grave, che lui poteva guarirmi con la stessa pozione che aveva usato la volta che ero caduta dal tetto, e che tutto si sarebbe sistemato.
No, il Corvaccio voleva i nomi di chi aveva osato farmi quello, voleva sapere chi meritava una punizione. Insisteva, ma io non lo sapevo, era troppo buio là dove mi avevano attaccato, non li avevo nemmeno visti in faccia.
Per me fu una vera sorpresa scoprire che gli importava così tanto della mia incolumità quando lui stesso mi aveva torturato per giorni su quella sedia, e quando non si era limitato a uno scrollone o a uno schiaffo le volte in cui lo avevo deluso.
– Brusco, voglio tutti gli uomini in una fila ordinata. Subito.
Il Corvaccio non alzò la voce nel dirlo, ma il suo tono mortalmente serio e l'occhiata che gli scoccò bastarono a convincere la mano destra del capo di quella combriccola che gli conveniva obbedire. Lo stesso Zambros, che tirava i fili di chiunque in quella baracca, lasciò il riparo delle tende, parlamentò un po' con il Corvaccio ed esaminò le mie condizioni afferrandomi per il mento con una mano lercia dalle unghie rotte, in modo da potermi girare il viso da una parte dall'altra. Infine inviò Schizzo e Battitacchi, due ragazzetti che erano rimasti di guardia all'ingresso della tenda, a facilitare il compito del Brusco.
In breve tempo una fila di uomini smunti, logorati dalla fame e dalla paura sopportò l'esame del Corvaccio che li passava in rassegna con lo sguardo, mentre allo stesso tempo esortava i responsabili a farsi avanti.
Fece tutto un discorso, a dire il vero, molto convincente, con quel suo tono mellifluo e scaltro, che in breve si riduceva alla dichiarazione di quanto fosse amareggiato dalla mancanza di rispetto che gli avevano dimostrato toccando qualcosa che non apparteneva a loro. Mi definì proprio così, una cosa di sua proprietà, il che mi costrinse a rivalutare la mia prima impressione: la sua premura non era rivolta a difendere me, bensì sé stesso, la sua reputazione tra quella gente.
Capii quella notte perché chi lo conosceva lo temesse tanto. Eravamo solo in tre, un adulto e due ragazzini, contro un'intera comunità sotterranea, eppure nessuno osò muoversi per farci fuori e risolvere in questo modo il problema. E, nello stesso tempo, nessuno si fece avanti dalla fila di uomini a prendersi la colpa. Solo cauti bisbigli riempirono il silenzio al termine del suo discorso, e il Corvaccio li fissò truce, ripeté un'altra volta la sua richiesta, e infine si avvicinò alla fila di uomini, come se volesse studiarli più da vicino per carpire segnali rivelatori dai responsabili.
– Nessuno? – chiese il Corvaccio. – Bene. Va bene. Se questa è la vostra scelta...
Accadde tutto all'improvviso. Io fui presa alla sprovvista, così come quell'uomo. Forse solo il Furetto si aspettava ciò che stava per succedere, anzi, lo pregustava col suo ghigno sadico e gli occhi attenti. In una mossa fulminea, il Corvaccio sguainò un pugnale e lo piantò nella gola dell'uomo che aveva di fronte. Quello rantolò, si portò le mani alla gola, e si accasciò a terra, con una pozza di sangue che si allargava sotto di lui.
– Ora capite – annunciò il Corvaccio, mentre l'uomo agonizzava a terra. – Toccate ancora qualcosa che mi appartiene e nessuno di voi, nessuno, sarà al sicuro.
Alla vista degli ultimi spasmi dell'uomo il Furetto, al mio fianco, si leccò le labbra. In tanti, me compresa, erano scioccati, incapaci di muoversi; solo chi stava alla destra del morto fece per attaccare il Corvaccio, ma quello che lo affiancava dall'altro lato lo trattenne e scosse la testa. Seppi solo più tardi, dal Furetto, che se gli fosse arrivato abbastanza vicino il Corvaccio lo avrebbe ucciso, e oltre a lui qualcun altro, così, a caso, per ritorsione.
Non provava piacere nella violenza il Corvaccio, diversamente dal Furetto, ma non esitava a usarla come mezzo per suscitare quel reverenziale timore che gli permetteva di camminare incolume nella tana di un branco di cani rognosi.
Quel sanguinoso promemoria bastò per evitare incidenti simili le successive volte in cui lo accompagnai a trattare i suoi affari tra i ladri, i tagliagole e i mendicanti delle fogne.

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