lunedì 21 febbraio 2022

Sacrificio


Immagine liberamente disponibile su Pexels sotto licenza Creative Commons Zero
Foto di Engin Akyurt da Pexels


Aspetto. Non posso far altro che aspettare. Con la fronte appoggiata al tronco di un albero, al limite esterno dell'accampamento del clan, e le unghie divenute lunghi artigli che scavano nella corteccia. Aspetto, e ascolto i segreti dell'aria.
La brezza scuote le fronde degli alberi in un fruscio sommesso e porta i suoi messaggi a questa povera vecchia. Soffia calda e umida all'alba di un nuovo giorno, risvegliando i tafani infreddoliti dalla notte che subito riprendono a ronzarmi addosso, note stonate, fastidiose, tra le voci ovattate e gracchianti delle cicale. Alle mie spalle, plasmo una coda per scacciare le mosche, mentre sollevo il viso e inspiro. L'aria odora di muschio, odora di cibo, qualche volta odora di morte, quando le carcasse delle prede non sono gli unici fardelli che i cacciatori portano sulle spalle al loro ritorno. La palude non è clemente con i giovani incauti.
Oggi, da qualche parte, qualcuno ha ucciso un ruamaku.
Ne sono certa, il vento è pregno del sentore acre e appiccicoso, simile a resina, del loro sangue rosso. Creature potenti e distruttive, i ruamaku. Invadono la nostra casa, uccidono i nostri cacciatori con la magia e con l'inganno, rapiscono i nostri cuccioli. A chi resta, non rimane che piangere e disperarsi per ciò che ha perduto. Soltanto di rado uno di loro trova la morte nella palude, e quello è un gran giorno, dicono, un giorno da ricordare.
Oggi, da qualche parte, qualcuno festeggerà una vittoria. Folli, io dico, perché non hanno idea di quanti ancora ce ne siano fuori dalla palude, al di là delle montagne. Non hanno visto le loro città formicaio, mucchi di terra e roccia che sorgono nelle piane alla luce accecante del sole, dove ogni albero è stato estirpato e ogni stagno, prosciugato. Non amano le forme di vita che non sono come loro, i ruamaku, e me lo hanno dimostrato cavandomi gli occhi. Io, più di chiunque altro, ho visto da vicino la loro crudeltà, prima di cessare del tutto di vedere.
Aspetto, qualche altra alba ancora, e lei sarà al sicuro, di nuovo con noi, con il clan, con me. La figlia di mia figlia, tutta la famiglia che mi sia rimasta. Aspetto, ma so quello che temo.
Ieri notte mi sono allontanata dal calore dei fuochi del clan. L'aria ha soffiato voci nelle mie orecchie, voci diverse da quelle dei grilli, dal gracidare dei rospi e dalle urla delle scimmie notturne. Voci diverse persino dal ruggito possente della bestia che si annida nell'oscurità. Ho seguito un sentiero di fango che cedeva sotto i miei piedi, molli gorgoglii odorosi d'acqua stagnante che passo dopo passo si è insinuata tra le mie dita, mi ha avvolto le caviglie, è salita ad accarezzarmi le gambe. Lottavo per camminare nel liquido limbo, finché un ruglio lontano non ha risvegliato in me la prudenza. L'acqua mi lambiva la vita, e io ero lontana dalla mia casa, lontana dalla sicurezza del clan, che cosa facevo lì? Il verso tremendo, minaccioso, si ripeté più volte, e io mi voltai per scappare, ma lì da dove venivo la strada era bloccata. Una collina di terra e di alberi sorgeva dallo stagno, e saliva, sempre più alta, risucchiando dentro di sé tutto ciò che la circondava. Vidi anguille e serpenti dibattersi al suo interno, vidi zampe di coccodrillo e ali di corvo, la pelliccia delle scimmie e le pinne dei pesci, e colonie di formiche e ragni zampettare ovunque sulla collina. Tutto ciò che era nella palude, era lì dentro, in quel monte di melma in continuo mutamento. Sulla sommità emerse il muso lungo e piatto di un eigk, ma senza le zampe sottili e scattanti, senza il lungo collo flessuoso. L'eigk mi fissò con i suoi grandi occhi scuri, poi aprì la bocca, ma quel che ne uscì non fu il verso di un eigk, bensì parole che io potevo comprendere.
– Quando lei te lo chiederà, lasciala andare.
Dopo quelle parole non vidi più nulla, e sollevai le mani a toccarmi le orbite vuote e raggrinzite. Non potevano essere quelli gli occhi con cui avevo visto il prodigio, e il crepitio e il calore dei fuochi, e le voci del clan, mi rivelarono che non mi ero mai mossa. Era stato con l'occhio-di-dentro che avevo visto la montagna che conteneva la palude, e quando me ne resi conto, capii anche che cos'era che avevo incontrato. La montagna era tutto ciò che esiste. Era Aku.
E adesso sono qui, e aspetto, e temo, perché le sue parole sono un sacrificio troppo grande per me. So che parlava di lei, la figlia di mia figlia, tutto ciò che mi resta. Sta affrontando da sola, nella palude, il passaggio tra la sua vita da cucciolo e quella da adulta, e non tutti ritornano da quella prova, e il sangue di ruamaku nel vento mi dice che altri di loro sono qui, perché quelle creature codarde non cacciano mai da sole, o comunque altre ne verranno per vendicare il loro simile ucciso.
Ho avuto altre visioni dopo quella prima, ma non so se dicano il vero o se siano nate dalla mia paura. Ho visto la figlia di mia figlia coprire le sue squame con la pallida e viscida pelle di un ruamaku, l'ho vita cambiare la sua forma in quella del nemico, ho visto il suo sangue candido scorrerle sulle mani, l'ho vista incatenata e sacrificata da una di quelle immonde creature al loro dio morto, immobile in un simulacro di pietra.
Aku non poteva volere questo. Non volevo crederci.
Ma oggi lei è tornata, e addosso ha l'odore di un ruamaku, e la voce di un ruamaku è dietro di lei. E a me sembra che ogni voce, gli strilli spaventati e rabbiosi del clan alla vista del nemico tra noi, il frinire delle cicale, i ritmici canti degli uccelli, persino il soffio del vento tra le fronde, ogni voce tace di fronte alla sua.
– Devo andare – dice lei, la figlia di mia figlia, tutta la mia vita. – Mi ha salvato. Gli devo altrettanto, è la legge.
Io non voglio, anche se lei me lo chiede, anche se Aku stesso me lo ha chiesto. La figlia di mia figlia, ancora senza un nome, non può dover già affrontare un viaggio così pericoloso in compagnia della più spregevole tra le creature. Lei però insiste e mi racconta ciò che lei stessa ha visto con l'occhio-di-dentro. E allora so che Aku l'ha scelta per un compito molto importante, una prova che ci salverà tutti, e io non posso impedirle di andare.
Troverà colui che è perduto, lo riporterà da noi, e lui ci guiderà alla più grande delle vittorie, alla sconfitta dei ruamaku. Questo farà la figlia di mia figlia, la discendenza di una reietta.
Solo al compiersi del mio tempo, solo al mio ultimo respiro comprendo davvero la portata del suo compito, il cambiamento che il suo apparente sacrificio porterà nel nostro mondo e nel mondo dei nostri nemici, e anche se so che non ne potrò godere il frutto, che non sarò qui ad accoglierla quando lei tornerà assieme al suo ruamaku per unire ciò che prima era diviso... io ne sono felice.

Nessun commento:

Posta un commento